"Lo scopo dell'arte è di presentare non l'apparenza esteriore delle cose, ma il loro significato intrinseco; poiché è questo e non la maniera o il dettaglio esterno che costituisce la vera realtà"
Aristotele

La ritrattistica nel 1400 riuniva tutte le idee del Rinascimento in una struttura che assumeva un ruolo importante nell’elevazione dello spirito umano. L’interesse scientifico per il mondo della natura ed un rinnovo dello studio delle antiche civiltà greca e romana, che focalizzavano l’uomo come centro dell’universo, diede vita ad una filosofia di “nuova nascita” che spinse la cultura a cercare realismo ed emozione nell’arte.

Stimata come oggetto e rappresentazione di successo e posizione sociale, la distinta somiglianza in ritrattistica racchiudeva l’identità personale. Al culmine di tutta l’arte creata a quel tempo, il ritratto mostra l’importante materializzazione del Rinascimento in Europa. Dopo lunghi secoli in cui non specifiche raffigurazioni furono abituali, il volto divenne lo specchio dell’individuo con una sua storia personale. Michelangelo e Leonardo da Vinci furono certamente i più noti per lo sviluppo artistico del periodo, come lo furono gli ecclettismi che formarono “l’uomo rinascimentale”, ma anche Pisanello, rinomato come uno dei più qualificati artisti del Quattrocento, era noto per i suoi ritratti su medaglia, che emulavano il profilo degli imperatori Romani sulle monete con scene allegoriche, oltre che per i suoi dipinti.

Durante tutto il Rinascimento, l’amore e lo studio della natura prosperarono e questo fascino è evidente nell’uso di fiori e foglie, identici all’originale, come decorazioni ornamentali nelle parti dei dipinti che servivano da sfondo alla scena. Scienza ed arte erano intimamente connesse nel primo Rinascimento, dato che la scienza si basava sulla frequente osservazione, ed il miglior modo di studiare il mondo naturale era di disegnarlo. L’artista studiava l’arte classica, ma desiderava anche studiare ed imitare la bellezza dell’intricata vita naturale della terra. Dato che ogni erba e fiore aveva un legame mitologico, la loro presenza nel dipinto aveva il potere di esprimere molto di più del semplice valore scientifico ed intrecciava efficacemente antiche leggende nel singolare carattere del modello, usando questi elaborati dettagli naturali per creare uno schema complesso in una composizione bilanciata.

La ritrattistica esprimeva il concetto di celebrità in un linguaggio puramente pittorico, o almeno tutto quello che era imposto dal mecenate, e rafforzava quel “manifesto dell’Umanesimo”, il saggio De Hominis dignitate del filosofo Giovanni Pico della Mirandola che accentrava tutta l’attenzione sulle conquiste umane. Dale dimensioni del quadro alla posizione del modello, dal come erano adorni di costumi e gioielli alla posizione assunta nel contesto architetturale o paesaggistico, o semplicemente circondati da una collezione di oggetti, utensili o piante ed animali simbolici, il pittore compilava una significativa imagine che rivelava il ruolo sociale del modello, il suo valore e ricchezza, e convertiva questi ideali in simboli, tutti determinati dal benefico mecenate per comunicare un messaggio agli spettatori. “ La vocazione umana é una vocazione mistica che deve essere realizzata attraverso un passaggio a tre stadi, che necessariamente comprendono la trasformazione morale, la ricerca intellettuale la perfezione finale nell’identità con l’assoluta realtà. Questo paradigma é universale dato che può essere visto in qualsiasi tradizione” - Orazione sulla dignità dell’uomo (De hominis dignitate) - Pico della Mirandola.

Pisanello, nato a Pisa, disegnò e produsse una medaglia commemorativa in bronzo per l’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo nel 1439 (6), che gli spianò la strada per la residenza degli Este ed il lavoro per loro nel creare ritratti ed affreschi ma anche medaglie ritrattistiche: sculture intricate create sul modello di un bassorilievo bronzeo, una tecnica altamente superiore a quella della crezione di semplici monete. Le medaglie, così come i dipinti, includevano allegorie, come l’unicorno nel ritratto di Cecilia Gonzaga, una metafora che descrive le nobili qualità della principessa.

Il “Ritratto di una Principessa” di Pisanello dipinge la storia di una giovane donna (2), la cui identità non fu mai completamente rivelata. Alcuni dicono che potrebbe essere Margherita Gonzaga, la moglie di Lionello d’Este, ma il ritratto è estremamente simile a quello di Cecilia Gonzaga (4), la figlia del Duca di Mantova, e la prima medaglia rinascimentale che si conosca rappresentare una donna. La medaglia incisa con la firma da Pisanello e le parole “CICILIA. VIRGO. FILIA. IOHANNIS. FRANCISCI . PRIMI . MARCHIONIS. MANTVE.” permise senza ombra di dubbio l’identificazione del ritratto inciso. Cecilia divenne una monaca Clarissa nel monastero di Santa Paola in Mantova, e la medaglia commemora la sua castità. La personificazione nuda dell’Innocenza siede in un panorama roccioso con un unicorno che appoggia la testa sul suo grembo. L’unicorno poteva essere catturato solo da una vergine ed era perciò un simbolo di castità. Sul retro, Cecilia Gonzaga, la figlia del Duca di Mantova, è ritratta di profilo e l’immagine è molto simile a quella del “Ritratto di una Principessa”, datato tra il 1435-1449.

Quelli che dicevano che il “Ritratto di una Principessa” rappresentava Ginevra d’Este, la identificavano dal simbolismo legato al vestiario. La casa d’Este era una dinastia principesca Europea, divisa in due rami, quello dei Guelfi e quello degli Este. Gli Estensi governarono Ferrara dal 1240 al 1597 e Modena e Reggio dal 1288 al 1796, con un costante forte potere. É fuori di dubbio che il dipinto “Ritratto di una Principessa” rappresenti un membro della famiglia d’Este dato che un vaso a due manici, uno dei simboli degli Este, è ricamato sulla manica. Lo stesso vaso si ritrova sul retro della medaglia che Pisanello disegnò per Lionello d'Este. Ma quello che evidenzia ancora di più che la modella era Ginevra D’Este è il ramoscello di ginepro sull’orlo della cordonatura del coprivestito che indica il suo nome, il significato di Ginevra.

La storia di Ginevra D’Este, raccontata nel contesto scenico del giardino, infiorato da garofani, aquilegie e farfalle e contrassegnato da un rametto di ginepro direttamente sulla sua persona, avvincentemente segnala un matrimonio nel bel mezzo di una battaglia politica. É possibile che il dipinto sia stato creato dopo la sua morte nel 1440, dato che il passaggio del tempo avrebbe permesso all’artista di colmare il ritratto con simbolismi da interpretare. Ginevra, la figlia di Niccolò III d'Este, Marchese di Ferrara dal 1393 sino alla sua morte nel 1441, era sposata con un parente materno, lo zio Sigismondo Pandolfo Malatesta, chiamato il Lupo di Rimini (5). Le leggende sul ginepro attribuiscono poteri magici ambigui all’arbusto nel ritratto e presentano la modella come una persona potente. Si diceva che il ginepro potesse difendere dal demonio, ed era efficace nel proteggere la persona da malattie contagiose. Le bacche di ginepro erano raccomandate contro una morte premature, ma Ginevra D’Este fu assassinata nel 1440, all’età di 22 anni, dal marito quando, si disse, scoperse la sua infedeltà. Ironicamente, la scoperta dell’ infedeltà avvenne a pochi giorni di distanza dalla visita di un’altra possibile, e politicamente più adatta, moglie per Sigismondo Pandolfo Malatesta, Maria Bianca Visconti.

I Visconti inviarono 6000 cavalieri a minacciare i territori dei Malatesta, e non c’erano molte altre scelte per risolvere la pericolosa situazione. Un matrimonio con la famiglia Visconti sarebbe servito ad influenzare potenti condottieri, soldati mercenari ingaggiati da diversi stati italiani e dal Papato durante il Rinascimento e Malatesta doveva essere libero di sposarsi, una porta che si apriva nel momento opportuno. Anche se non si sposò con una Visconti, un paio d’anni dopo riuscì a risolvere alcuni dei suoi problemi sposando Polissena Sforza, alleati in battaglia. Comunque, per la giovane sposa Ginevra, si può dire che neppure il leggendario potere magico del ginepro poté proteggerla quando forze più potenti entrarono in gioco.

Immagini botaniche e zoologiche proliferarono nei dipinti durante tutto il Rinascimento. Oltre al valore artistico nella composizione, flora e fauna divennero la chiave per un tema associato al modello. Il ciclo di una pianta o di un animale e le relative proprietà fisiche, oltre alla loro forma, colore, sapore, profumo e stagione di fioritura potevano essere interpretati deontologicamente. Questi elementi recitavano tutti i ruoli teatrali, rapportando la storia alle ben conosciute favole dei classici greci o romani, ma potevano anche diventare lezioni morali per gli spettatori, che avrebbero dovuto essere a conoscenza del loro significato simbolico. Perciò un’erba, un fiore od un insetto avrebbero potuto diventare un simbolo, e sviluppavano una trama di caratteristiche del modello e delle sue aspettative e virtù.

La progressione del dipinto racchiuse un momento di tempo nella vita di una giovane donna. Pisanello, inoltre, catturò lo spirito del movimento del Rinascimento con l’integrazione di elementi della natura nell’immagine. La Thera juniperata, una farfalla notturna della famiglia Geometridae, la cui larva si ciba esclusivamente di ginepro, è posata sulla spalla della modella. Si potrebbe forse estrarre una correlazione con la necessità di esclusività e devozione da Sigismondo Pandolfo Malatesta, per la sua Ginevra? O si potrebbe dire che lo sfruttamento della donna fosse da considerarsi come una relazione tra predatore e preda?

Il motivo ripetuto dei fiori di aquilegia incorniciano il volto della modella in uno scenario floreale (1). L’aquilegia é una pianta tossica, e le farfalle notturne attratte dal fiore non solo sopravvivono la tossicità, ma ne hanno bisogno per propagarsi, un attributo che potrebbe essere vero per famiglie del tipo dei Malatesta. La scelta di Pisanello dell’aquilegia potrebbe anche far riferimento al modo in cui Ginevra morì avvelenata, e dà peso all’idea che il dipinto potrebbe essere stato eseguito dopo la sua morte. L’aquilegia é anche conosciuta come “colombina” e la colomba era il simbolo di Venere, dea dell’amore, che successivamente divenne il simbolo dello Spirito Santo nell’Europa medioevale. Con i fiori secchi dell’aquilegia si preparava una tintura usata come antitossina dalla medicina medioevale, perciò un’erba che portava una specie di risurrezione. La comune conoscenza delle erbe e del loro uso medico divenne il linguaggio visivo usato dagli artisti per comunicare la storia, e “colombina” era amore oltre che restaurazione, un’immagine descrittiva sia in politica che in religione.

Il nome in greco del garofano, dianthos, significa “fiore di Dio” e, secondo il mito, il fiore nacque dopo che Artemide, dea della caccia, ritorno’ da una battuta a mani vuote. Per la strada incontrò un pastore che stava suonando il flauto e lo accusò di aver spaventato gli animali. Nella sua collera gli strappò gli occhi e li buttò a terra. Più tardi, colta dal rimorso, fece nascere garofani dagli occhi interrati.

La leggenda del “fiore di Dio” si trasferì facilmente al racconto delle lacrime versate da Maria mentre seguiva Gesù verso la sua crocefissione, e dove le lacrime caddero i garofani crebbero. Chiaramente il simbolo è sia di perdita che di rimpianto ed è presente nel “Ritratto di una Principessa”. Pisanello rappresentò la natura esattamente com’era, mentre sceglieva gli oggetti naturali connessi al soggetto. Il pittore, conosciuto per i suoi studi dettagliati sulla vita animale e vegetale, creò un poetico naturalismo usando il “fiore di Dio” nel contornare una figura vestita elegantemente, intrecciando nel dipinto un artistico messaggio di lamento per chi poteva interpretarlo.
Il concetto di se stesso derivava dallo sguardo del modello, e dall’ambiente in cui era posto, ambedue determinati dal mecenate che seguiva il proprio desiderio di raggiungere un’alta posizione sociale. L’identità deve comunque passare attraverso l’interprete, l’artista, che l’esegue tramite la sua tecnica e la studiata conoscenza della storia.

Delicate sfumature di colore applicate con leggeri tocchi del pennello, un dipinto composto da spazi negativi e positivi, rivelano il ruolo sociale del modello, il suo valore e ricchezze, e convertivano questi ideali in simboli. Il mondo sociale, politico e religioso potevano essere osservati come da una finestra che si apriva su un volto. Il dipinto, come tutta l’arte, permetteva un rapido sguardo in un momento storico, ed in questo dipinto, la natura relativa a tempo e spazio rivela non solo una giovane donna con un pizzico di tristezza negi occhi, ma anche i suoi legami famigliari ed il peso di essere principessa. Il “Ritratto di una Principessa” permette di connetterci a quel momento nel tempo e la sua accurata composizione dà alla nobile figlia, alla farfalla notturna, al ginepro, ai garofani ed all’aquilegia, una duratura e colorita identità, qualcosa che la semplice storia scritta non avrebbe mai potuto dire.

Testo di Janette Wesley

Bibliografia:

Germain Bazin, "The Louvre (New Revised Edition)", English edition trans. M. I. Martin, Thames & Hudson (1979)
M.F. Todorov, L'Italia dalle origini a Pisanello (I disegni dei maestri), Fabri Editori (1970), s.v. "Antonio di Puccio Pisano".
www.treccani.it/enciclopedia/malatesta-sigismondo-pandolfo-signore-di-rimini/ (Dizionario-Biografico)
www.nga.gov/exhibitions/2001/virtuebeauty/fig02.htm
it.wikipedia.org/wiki/File:Pisanello_Medal_of_Cecilia_Gonzaga.jpg