Non sappiamo se per l’impazienza di vedere gli effetti dell'acido sulla lastra incerata o se per un’innata propensione all'imprevisto, ma quando attorno al 1630, il genovese Giovanni Benedetto Castiglione detto Grechetto, si spinge a intervenire sulla superficie della lastra di rame direttamente con l'inchiostro da stampa, modulando, graffiando o aggiungendolo con stecche e garze, quando decide di passare la matrice così lavorata direttamente sotto il torchio, inventa quello che in seguito sarebbe stato chiamato monotipo.

Per il Castiglione, quel lavoro di aggiunta e di sottrazione di colore e di segni direttamente sulla lastra era funzionale a una ricerca chiaroscurale, ad effetti luministici e teatrali caratteristici della sua pratica pittorica e incisoria. Il monotipo nasce quindi nell’ambiente dell’incisione, ne usa mezzi, colori e macchinari, ma in realtà si colloca in una posizione intermedia tra incisione e pittura vera e propria: si ottiene, infatti, impressionando un foglio di carta inumidita con un'immagine dipinta su un supporto, con colori a olio o calcografici. Il trasferimento, che deve avvenire prima che i colori si secchino e che comporta un ribaltamento del senso dell'immagine, si esegue mediante un torchio, ma anche con un cucchiaio o con le mani. Rispetto all’incisione, l'opera non è riproducibile perché non ha una matrice: è originale e unica, da cui il nome, unione dei termini di origine greca monos, uno, e typos, immagine.

Il monotipo non è da non confondere con la “prova unica”, che dipende dalla volontà dell'artista di limitarne i numeri di esemplari, e neppure con la “controprova”, pratica diffusa dal XVI secolo, consistente nell’ottenere una seconda copia facendo passare sotto al torchio, una stampa appena ottenuta. Il monotipo è un procedimento di difficile codifica e forse, proprio questa sua ibrida collocazione non gli ha permesso di avere grande spazio all'interno del circuiti delle rassegne artistiche, almeno fino all'inizio degli anni '70 del secolo scorso.

Dopo l’esperienza del Grechetto, solo nell’Ottocento, parallelamente al rinnovato interesse per l'acquaforte, si assiste alla ripresa di questa tecnica caratterizzata da un forte carattere di originalità e libertà. Per queste sue caratteristiche, il monotipo diventa oggetto di interesse da parte di artisti forti sperimentatori, quelli che amano contravvenire alle regole del’incisione tradizionale, che utilizzano materiali differenti, inventano gesti e modalità non convenzionali e avviano percorsi artistici alla ricerca di nuovi linguaggi. I loro nomi sono William Blake, Paul Gauguin, Edgar Degas, Henri Matisse, Paul Klee, Willem de Kooning, Henri Toulose-Lautrec, Felice Casorati, Pablo Picasso, Marc Chagall , Stanley Hayter, Benedict Friedlaender, Henry Goetz, Emilio Vedova, Riccardo Licata e Rina Riva, solo per elencarne alcuni. Per costoro, protagonisti di una tecnica mai insegnata o spiegata, il monotipo è stato riscoperto e reinventato con esiti personali e unici.