Per comprendere realmente le origini dell’uomo è necessario connettere la nostra evoluzione a quella di altre specie non ultima quella delle piante. Fino al 1900 l'uomo ha causato l'estinzione di una specie ogni quattro anni; dal 1900 ai nostri giorni si sono estinte da una specie all’anno a più di una specie all’ora.

Si stima che entro la fine del 21° secolo si saranno estinte circa la metà di tutte le specie viventi. Le zone con la maggiore biodiversità si trovano nelle aree dei tropici. La perdita della biodiversità sta colpendo tutto il mondo in modo più o meno grave. Witjai, che in lingua Shuar significa “io esisto”, è un viaggio nella bio-diversità: diversità nel vedere, nel conoscere e nel condividere la ricchezza del nostro pianeta.

Witjai e Cosmogonia Shuar sono il risultato di un progetto artistico, non una raccolta di fotografie fatte in un viaggio. Durante un lungo percorso nella foresta ho lasciato che l’azione si manifestasse al di fuori del mio controllo e all’interno del proprio contesto reale secondo un metodo di ricerca che ho evoluto e sperimentato in trent’anni di ricerca fotografica: non fare ma fare accadere. L’approccio con cui ho condotto questa ricerca ha unito e incrociato tre elementi fortemente connessi in un territorio senza apparenti riferimenti: l’intelligenza collettiva della foresta a partire dai semi, il legame shuar-pianta e la memoria storica di un missionario biologo del primo ‘900, Carlos Crespi. Questo lavoro è stato realizzato in collaborazione con piccoli clan o famiglie Shuar senza alcuna forzatura, in un contesto vero e assolutamente spontaneo.

La memoria nella foresta

Con la scomparsa degli Shuar perderemmo irrimediabilmente un pezzo importante di memoria della nostra storia e della foresta. Sarebbe un blackout culturale e una delle ultime possibilità di recuperare il linguaggio segreto che ha connesso, in un tempo lontanissimo, uomo, piante e ambiente. La vita degli Shuar si è fortemente connessa alle piante attraverso il lungo processo evolutivo di uomini ed etnie che li hanno preceduti per migliaia di anni. Le piante per il popolo Shuar cambiano di significato, nome e finalità a seconda dell’uso che ne viene fatto. Ogni pianta o parte di essa diventa un rimedio: contro il morso di serpente, la febbre, il cancro, la caduta dei capelli, i dolori del parto, l’infezione batterica e ogni altro problema che può colpire e affliggere l’uomo che vive nella foresta. Ci sono piante la cui corteccia è velenosa e serve per la pesca e la caccia, altre la cui polpa è commestibile in piccole dosi. Ci sono piante contro il dolore, piante per pregare e meditare, altre per costruire case, imbarcazioni, armi, suppellettili e oggetti artistici. C’è poi una mitologia vastissima che lega l’uomo Shuar alla sua foresta. Arutam, la divinità animista che si manifesta in moltissimi modi non fa differenza tra mondo vegetale e animale: può essere cascata, albero buono o pianta velenosa.

Il codice invisibile

Accecato dal mio stesso sguardo e impreparato all’incredibile dominante verde della foresta primaria, mi sono ritrovato con una ridotta capacità di memoria e alcune insolite difficoltà di percezione. A poco è servito l’esercizio quotidiano alle immagini che per lavoro faccio ogni giorno della mia vita. Nella foresta non ci sono le proporzioni a cui siamo abituati che ci possono dare le coordinate generali e i punti di riferimento del campo visivo: alberi di quaranta metri scompaiono nella massa verde, l’immensa varietà di forme e di specie che si contendono ogni centimetro di suolo e di luce mettono in difficoltà la nostra capacità di distinguere il soggetto dal campo visivo.

In questo ambiente multidimensionale l’apparato visivo di un uomo cresciuto al di fuori di questo contesto risulta insufficiente. Le piante dotate di 16 livelli sensoriali per adattarsi al luogo colonizzato sanno relazionarsi in modo sinestetico al proprio ambiente, sia animale che vegetale. Chi vive da sempre in questi luoghi come gli Shuar ha sviluppato una capacità simile alle piante che noi “civilizzati”abbiamo quasi completamente perso: la percezione sinestetica.

Per saperne di più leggi:
Naked Plants