Non deviare dalla Legge né a destra né a sinistra
perché tu abbia successo in qualunque tua impresa

(Giosuè 1,7)

Entrate per la porta stretta
(Matteo 7,13)

Cebete. Chi era costui? Si sa poco: un filosofo platonico citato da Senofonte, Dionigi Laerzio e nel Fedone di Platone. Il testo greco a lui attribuito è certamente assai più tardo, in quanto già filosoficamente sincretistico presentando influssi stoici, cinici e pitagorici, ma appare comunque interessante dal punto di vista linguistico in quanto in esso il filosofo spiega un’immagine a sua detta presente nel tempio di Saturno di una città e raffigurante una complessa e articolata allegoria della vita.

Quello che qui ci interessa non è il dialogo filosofico contenuto nel testo antico, ma la fortuna figurativa che esso ebbe per circa due secoli in tutta Europa, dando vita anche ad opere artistiche autonome dalle edizioni del testo costituenti una sua ri-figurazione integrale. Siamo quindi in presenza di un raro anello linguistico completo, dialettico e speculare fra racconto per immagini e immagine narrativa. La Tabula Cebetis quale soggetto estetico-artistico si pone quale visione così totalmente e intensamente narrante da assomigliare all’araldica, ai rebus, al “gioco dell’oca”, ai cartelloni dei cantastorie siciliani, alle gesuitiche, erudite e cortigianesche “macchine teatrali barocche” dei numerosi esempi di theatrum scientiae et sapientiae.

Nella Tabula l’intento morale-pedagogico è universalizzante in quanto filosofico e teso a celebrare una saggezza che supera i saperi specialistici mentre i “teatri editoriali barocchi” sono al contrario finalizzati a celebrare saperi di settore, pur trionfalmente universalizzati tramite l’abile utilizzo di allegorie, emblemi, simboli. Le macchine retoriche barocche a livello di trattatistiche erudite sono tutte tese a celebrare il trionfo post-neorinascimentale del progresso umano e del Sapere, tramite una saturazione totalizzante, un’operazione di amplificazione cosmica.

Questo format è l’internet del Barocco: un processo di interazione globale dove ogni spicchio di mondo è il mondo, dove ogni frammento di sapere viene messo in scena allegorizzandolo, retoricizzandolo, poliedricizzandolo. Già allora nei vari “Teatri di chimica, filosofia naturale, historia, ecc. ecc” avevano capito che è il net l’essenziale, non lo scenario semantico, il significante, il mezzo, non il prodotto, né la res. Ricordiamo le meravigliose macchine teatrali allestite a Milano in piazza del Duomo e dentro la Cattedrale per i funerali dell’Imperatore Filippo IV di Spagna. Qui nasce il teatro moderno: il trionfo dello spettacolo quale scena mundi dove l’artificio e la tecnica prendono possesso anche della pedagogia controriformistica che servono, mescolandola a ideali di “scienza quale nuovo Mito; nuova Atlantide” dirà Bacone.

Questo mondo immaginale cerca di esorcizzare varie paure: epidemie, apocalittiche guerre di religione, il crollo post-rinascimentale degli ideali di renovatio, la crescita politico-economica delle nazioni americane, dell’europa nordica e protestante. La Tabula Cebetis condivide in parte alcuni aspetti con questo format didattico, come ad esempio lo stile che sembra mescolare ordine e caos (pensiamo al “caos controllato” del Ritrovamento del corpo di San Marco del Tintoretto a Brera) mentre in realtà opera linguisticamente in senso opposto. La Tabula schematizza per sottrazione, “essenzializza”, “de-fabulizza” assorbendo tutto in se stessa e fondandosi su una reductio ad unum tanto stoica quanto cristiana. Il “moto circolare” che affascina nella resa artistica in realtà è l’aspetto moralmente negativo in quanto la via giusta dell’ascesi è quella dritta, senza ombra di deviazioni. La folla delle figure non è mai sterile retorica in quanto esprime il clamore vitale delle apparenze che il pellegrino dovrà superare.

Torniamo ora per un momento al contesto storico di documentazione della Tabula. I maggiori musei mondiali ne detengono esemplari unici realizzati con le più differenti tecniche (dipinti, disegni, incisioni, arazzi): Metropolitan, Louvre, British Museum, Capodimonte, Rijksmuseum. Persino un artista quale Hans Hoblein il giovane si è cimentato con questo soggetto. Quali sono le costanti strutturali di questo racconto filosofico allegorico? I modelli utilizzati e incrociati sono tre: 1) il labirinto (basti ricordare il labirinto del Minotauro del Maestro dei Cassoni Campana) 2) il corteo delle maschere di Luciano 3) la Città ideale o l’Età dell’oro, di matrice edenica e di struttura circolare.

Ma non c’è un vero modello/soggetto narrativo se non il testo greco e la sua fictio narrativa artistico-pittorica. La Tabula è una funzione vuota, come il diritto, equazione sociale sempre semplice per Aristotele, 1:1 , come la bilancia della Giustizia, sempre in pari per sua natura. La forza del suo fascino espressionista viene dall’incrocio fra cerchio e linea, fra confusione centrifuga e opposta intenzione focalizzante, centripeta. Un racconto/percorso di ascesi morale articolato in tre stadi concentrici e culminante in un Monte/Centro simbolico dove regna Felicità o Sapienza, date quali sinonimi. La struttura tematica genetica, funzionale, resta quella del tema dell’"Ercole al bivio" (Senofonte, Macrobio, Cicerone) fra virtù e piacere/vizio, mentre il ritmo del racconto è circolare, spiraliforme in quanto ascetico ed iniziatico.

Tutto il complesso racconto della Tabula potrebbe ridursi senza nulla perdere al Sogno del cavaliere di Raffaello, qui semplicemente dinamicizzato e moltiplicato parossisticamente in una dualità etica incessante, multiforme. La prima soglia della Tabula mostra già una dialettica conflittuale fra “Genio” e “Persuasione” che si contendono fin dall’inizio l’orientamento delle anime pressate da una tempesta di passioni, illusioni, opinioni e vizi dove sguazza solenne la tipica allegoria della Fortuna, già dureriana: alata e in bilico su di una sfera. Se l’anima riesce ad avanzare senza deviare “né a destra e né a sinistra” trova la seconda porta che introduce al mondo delle arti liberali e dei mestieri. Anche qui però, sebbene a un livello più alto, ritorna un caos chiaroscurale fra vera e falsa dottrina e il contendere di diverse opinioni/specializzazioni. Chi riesce ad andare avanti salendo sul monte della Sapienza, sempre più scosceso, entra nella terza soglia, grazie alle virtù della perseveranza e dell’umiltà, dove avverrà l’incontro con donne allegorizzanti le virtù e la finale e superiore incoronazione.

Esistono molte allegorie dei vizi e delle virtù nel periodo manieristico-barocco, già anticipate da espressioni quali le stupende allegorie pittoriche e incisorie di Dosso Dossi e di Lorenzo Lotto. Ne ricordo fra le molte una sola: la bellissima Allegoria della Fortuna di Lorenzo Leonbruno esposta alla Pinacoteca di Brera. Il modello della Tabula Cebetis tuttavia presenta un’articolazione più approfondita. In varie edizioni compare addirittura la numerazione di legenda al fine di rendere più comprensibile questa allegorica pedagogia. Rispetto al rapporto figura/racconto anche sotto questo aspetto la Tabula Cebetis appare un’opera di metalinguaggio (o espressione di terzo livello) in quanto è strutturalmente costituita dalla messa in scena dinamico-teatrale di singole allegorie, ponendosi quale allegoria di allegorie, fluidificazione di figure convenzionali.

I mondi della Tabula affascinano anche per i dettagli differenziali, non solo per le costanti: l’edizione inglese del testo del 1670 mostra sia allegorie tradizionali che codici linguistici più rari. Per il primo gruppo ricordiamo la donna che regge un cuore fiammante (carità o fede), la donna reca una coppa e un volatile (colomba o pernice = la voluttà), la donna che impugna un cuore (dominio di sé) e quella che imbraccia una colonna (la forza). Sembra un riassunto dell’Iconologia di Cesare Ripa. Abbiamo poi due emblemi che ricordano quelli degli Hierogliphica di Orapollo: la figura maschile che presiede alla seconda porta reca un libro aperto con un egizio occhio alato da una parte e una figura geometrica simile a un trapezio dall’altra, mentre all’ultima soglia compare trionfalmente un essere con lunga fiaccola e capo raggiante (tipo ierofantico come Mitra, Phosphoro) e una donna seduta che mostra un libro con disegnata una mano aperta, segno di veritiera rivelazione.

In questa versione della Tabula la donna ingannevole della porta d’entrata, la più ampia, ricorda l’apocalittica Babilonia nel suo sfarzo e con la sua coppa da dove abbevera le anime di ignoranza e di errore. Nella versione di Hans Holbein il giovane il Genio alla prima entrata ricorda Hermes con la sua lunga bacchetta e il copricapo simile al petaso, mentre l’esemplare di David Kandel del 1596 si distingue per il modularsi geometrico delle tre porte: la prima ad arco, la seconda con un timpano triangolare e la terza quadrangolare. Dopo la seconda soglia il pellegrino si inerpica su per una salita passando per un piccolo arco che chiude una stretta valle. La via giusta è sempre quella più scomoda! Nella scena finale viene descritto il pellegrino anche dopo la sua rituale incoronazione/rinascita: sembra un re che passeggia, a braccetto con due donne, e non a caso vicino a una fontana.

Nella versione di Capodimonte il Centro finale viene reso in modo ancora più preciso: una grande città fortificata secondo il costante archetipo della Gerusalemme celeste dell’Apocalisse, nuovo Eden, alla cui luce va apprezzato il dialogo mistico fra la fontana/sorgente e il trono/porta della Sapienza incoronante. Stupenda anche la versione di Amsterdaam che punta il focus invece sul tema dell’ascesa verticalizzando il Centro in un alto Monte roccioso, assai purgatoriale, la cui sommità lussureggia di palme e di virtù che attorniano l’Arx Felicitatis illuminata dal Nome tetragrammatico di Dio. Le virtù per salire sono: coraggio, forza, perseveranza, pazienza e all’inizio della scalata il pellegrino entra dentro la roccia per poi riemergere poco dopo.

Il messaggio della Tabula è etico-logico e possiamo sintetizzarlo in senso laico e in senso cristiano con due motti: a) electa una via non datur recursus ad alteram, b) stat crux dum volvitur mundum. La molteplicità dei fenomeni, dell’esistente con i suoi dissidi e i suoi conflitti apparentemente irrisolvibili, fatali va attraversata con decisa leggerezza, senza farsi sottomettere dal fascino illusorio del divenire. Ogni polarità già data viene risolta in unità dalla Tabula quale macchina ricombinatoria, risolutrice: atto/potenza, incostanza/felicità, talenti/virtù, fato/libertà, perdita/compimento, caso/scelta, ossessione/ricerca. Agitando il latte esce il burro! Preso l’aratro della nostra vita mai volgersi indietro, come insegna anche il Vangelo.

Nella Tabula c’è già, implicito, l’ideale della semplicità saggia che esploderà con il classicismo postbarocco dell’Arcadia, del Parnaso, del Trionfo dell’Amore di Maurivaux. La “direzione giusta” secondo la Tabula per superare il caos della vita ordinaria è ternaria: avanti, salendo, dentro. Intus-legere, dopotutto. Il Centro è al centro. Non si sposta. Le porte ci aspettano per aprirsi e si mostrano se le cerchiamo. Lo stile spirituale generale della Tabula, come per le ascese al Sinai di Gregorio di Nissa e al Carmelo di San Giovanni e di Santa Teresa, e come per la Scala animica e angelica di San Giovanni Climaco, si rivela sempre anagogicamente ottimistico, pur diventando la crescita e l’elevazione selezione anche diacronica e quantitativa. Coraggio novello Atreiu, le porte si stanno aprendo: Ultreja.