L'interesse di questa mostra sta, non tanto nel quando come e perché Peggy Guggenheim e, prima di lei, suo zio Solomon, abbia comprato il tale pittore o artista, ma nel fatto che il tenace e appassionato collezionismo dal quale entrambi erano mossi permette oggi a noi, grazie alla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, di vedere in mostra tante opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna come Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray e dei cosiddetti informali europei come Alberto Burri, Emilio Vedova, Jean Dubuffet, Lucio Fontana, e, insieme, grandi dipinti e sculture di alcune delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni Cinquanta e Sessanta come Jackson Pollock, Marc Rothko, Wilhelm de Kooning, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Cy Twombly.

Oltre 100 lavori dell’arte europea e americana tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, curato da Luca Massimo Barbero, sono in prestito dalle collezioni Guggenheim di New York e Venezia e da altri prestigiosi musei internazionali. La mostra, che dura fino al 24 luglio, suscita forte la domanda su cosa spingesse gli artisti a esprimersi in tali modalità, accomunate dall'essere profondamente diverse dal passato e spesso connotate da angoscia profonda.

Siamo di fronte a un periodo della storia dell'arte di difficile interpretazione, talvolta liquidato con disprezzo. Proprio come fece il sindaco Bargellini rifiutando il dono che della sua collezione voleva fare Peggy Guggenheim alla città di Firenze, dopo la mostra per la quale nel 1949 le avevano messo a disposizione gli ambienti denominati La Strozzina, al piano interrato del Palazzo Strozzi che ora dà alla mostra gli onori dei piani alti.

La cronologia degli eventi storici della prima metà del '900 dalle due parti dell'Oceano ci dice di un drammatico susseguirsi di scenari di guerra, inframmezzati dalla recessione del '29 e culminati con l'esplosione della bomba atomica sul Giappone. Scrive al riguardo lo psichiatra Domenico Fargnoli: "Negli anni Quaranta gli artisti dipingevano in uno stato d’animo di disperazione assoluta, cercando valori nuovi con i quali ovviare al vuoto enorme che li circondava e nel quale erano immerse la cultura e le istituzioni. Alcuni critici parlavano, in quella fase storica, di un’arte sull’orlo del baratro".

L'anno di nascita dell'artista può talvolta essere determinante per la scelta di un certo tipo di ricerca espressiva. Kandinsky, nato nel 1866, a una sufficiente distanza dall'inizio del '900, dopo una ricerca che parte dal paesaggio, si cimenta in una fase “colore” e approda ad opere astratte scaturite dalla sua passione per la musica. Egli fonda la sua estetica su di un'analogia fra pittura e musica, denominando i quadri con un linguaggio da questa mutuato , e cioè "impressioni", quadri in cui resta ancora visibile l'impressione diretta della natura esteriore; "improvvisazioni" se nati improvvisamente dall'intimo e dal non cosciente; "composizioni" se alla costruzione partecipa il cosciente, ovvero, in altri termini, arte concettuale.

Utilizza indubbiamente quest'ultima modalità Marcel Duchamp (1887-1968),con i suoi ready made, oggetti d'uso comune da lui dotati di statuto artistico. Fin dal primo, Ruota di bicicletta, del 1913, si tratta in verità di antiarte, nel senso di una voluta rottura con l'estetica tradizionale. Quegli anni sono pervasi da nuove teorizzazioni. È del 1913 anche il Breviario di Estetica di Croce, che sostiene che l'arte è nella spiritualità di chi la crea, non nelle opere prodotte. Il movimento dei Fauves, pochi anni prima, aveva sostenuto che l'importante non era più, come nell'arte accademica, il significato dell'opera, ma la forma, il colore, l'immediatezza. I Fauves attingevano al mondo esterno, restituendolo però con una libera trascrizione. Dopo essere passato con irrequietezza e velocità attraverso parecchie tecniche pittoriche, Duchamp si spinge molto oltre, negando che l'ispirazione possa venire dall'esperienza sensibile e che vada invece cercata nei concetti. La sua razionalità fredda e lucida, che lo porta a teorizzare l'inutilità del fare pittura e infine ad abbandonarla a favore del gioco degli scacchi, gli procura incredibilmente parecchi ammiratori e seguaci.

Peggy, che fino dalla giovinezza aveva trovato nel mondo dell'arte un antidoto alla noiosa vita cui era destinata per posizione sociale, si propone di creare una collezione storica dei movimenti artistici, a cominciare dal cubismo, nel 1910. Lei farà proprio di Duchamp un consigliere privilegiato delle sue scelte in campo artistico. La Guggenheim ama infatti i quadri e, date le sue disponibilità economiche, li compra, non prima però di avere studiato gli autori ed essersi consigliata con gente del mestiere. Da quello che è dato capire, le interessa il prodotto più del processo. Il suo è un lavoro di gallerista, e pertanto la vendibilità deve essere garantita. Della genialità di Pollock è convinta prima che diventi famoso. Gli dà uno stipendio mensile, dicendogli che glielo conserverà se riesce a vendere i suoi quadri. È sicuramente un aiuto per la sua affermazione come pittore. Ma leggiamo che non era un rapporto facile, dato che l'artista, amatissimo dalla moglie Lee, era molto raramente sobrio. Un uomo tormentato, che, a un certo punto della sua svolta stilistica, sta per ore e ore di fronte alla tela bianca per il rifiuto di dipingervi ciò che vedono i suoi occhi, alla ricerca invece di quelle immagini, estremamente nebulose, che sorgono quando, nei primi mesi di vita, il bambino “vede” la linea ( cfr. la Teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli).

Pollock dipinge su grandi tele poste a terra, preferibilmente in uno spazio aperto, muovendosi da un capo all'altro della superficie, per trasferirvi linee di colore con gesti decisi cui partecipa con tutto il corpo. La mano brandisce il pennello, o uno stecco, lo immerge nel colore e lo muove verso la tela, senza poggiarvelo, e lasciando che il colore vi goccioli sopra in forme studiate, mai casuali. Questa tecnica non è nuova, dice a chi lo incensa, molte pitture orientali sono state fatte a terra. I suoi ispiratori sono i primitivi, gli autori messicani e i surrealisti. Ben 18 suoi quadri sono presenti in mostra, a descrivere il percorso che l'autore ha fatto prima di trovare, nella costruzione delle sue tele, un terreno fertile di ricerca. Per meglio comprendere le ragioni più profonde della distruttività insita in questa sua geniale espressività, rimandiamo all'Introduzione di Homo Novus. Novus Homo- Psichiatria e arte 2004 di Domenico Fargnoli, un libro dove, forte di una visione innovativa dell'essere umano basata sulla teoria della nascita, l'autore fa un po' di chiarezza su chi possa essere considerato un artista. Uno psichiatra che evade dal suo campo specialistico per entrare in quello della critica d'arte? No, precisa l'autore, non è un'invasione di campo perché la psichiatria “non è chiamata storicamente a pronunciarsi solo sul patologico. Come la medicina generale si occupa della fisiologia, così lo psichiatra deve conoscere la fisiologia della mente”.

Sono d'altra parte le parole stesse di Pollock che ci guidano a una spiegazione psichica della sua arte: “We express feelings, instead of describing reality”. A differenza degli artisti del passato che dipingevano il fuori di sé, ora finiscono sulla tela i moti interni dell'animo. E un critico d'arte, parlando di lui, dice espressamente che dipinge l'inconscio. Anche Rohtko era fra i preferiti di Peggy, che lo sosteneva economicamente. Cinque i quadri nel catalogo, mostrati in un capitolo a parte, trattamento di riguardo del curatore che solo a lui e a Pollock ha dedicato un capitolo personale. Egli svolge una ricerca dell'impossibile, la Perfezione (o la Divinità?), attraverso la creazione di forme colorate sempre più semplici. Nel corso degli anni abbandona via via i colori brillanti a favore di colori sempre più scuri. Il raggiungimento del nero, assenza di colore, coincide con la sua morte per suicidio. Anche lui, come Pollock, passava le ore a fissare la tela bianca, alla ricerca di un'ispirazione. Diversissimo come estetica ma ugualmente disperato. Dopo la sua morte i quadri hanno raggiunto delle quotazioni astronomiche.

Accomunato da una fine tragica ai due precedenti, è Tancredi Parmeggiani, pittore italiano cui Peggy, quando si sposta a vivere a Venezia, aveva offerto un aiuto economico, apprezzando molto i suoi quadri. Quasi che la genialità che lei intravedeva in alcuni artisti, sollecitata a esprimersi compiutamente, divenisse motivo di troppa sofferenza, impossibile da reggere per loro, senza dimenticare la tragicità degli eventi storici susseguitisi fino alla metà del '900. Comunque va ricordato che il valore economico delle opere non è più collegato, per l'arte moderna e ancor più contemporanea, con la funzione, che l'arte dovrebbe avere, di trasformare positivamente la vita di chi viene in contatto con essa.

Non questa mostra, ma il film-documentario di Lisa Immordino Vreeland, Peggy Guggenheim: art addict, che esce in Italia in questo periodo, aiuterà forse a gettare luce sudi un personaggio controverso, visto da alcuni come un mecenate e collezionista, da altri più come un mercante d'arte.