Il desiderio di dedicarsi più intensamente alla grafica, anche con l'intenzione di far conoscere i propri soggetti a un pubblico più vasto, spinge Edvard Munch nel 1896 a recarsi a Parigi, alla ricerca di ispirazioni e di abili stampatori. L'elemento propulsivo di questa scelta è da ricercare nella sua spinta verso la grafica a colori: la diffusione della conoscenza della xilografia giapponese e lo sviluppo della cromolitografia per la realizzazione dei manifesti per gli spettacoli facevano di Parigi la città in cui poter approfondire lo studio delle potenzialità della grafica, in ambienti professionali di altro livello, in un contesto dominato dalla circolazione delle idee.

Nei primi tempi di permanenza in città, Munch si concentra sull'incisione e la litografia; in seguito pratica anche la xilografia per la quale diventa uno dei primi artisti moderni a utilizzare il legno lungo la fibra, procedura che gli permette di realizzare immagini anche piuttosto grandi e di integrare le asperità del legno nel lavoro finito, di cui gli accidenti diventano parte integrante e fondamentale. Con la stessa disinvoltura sperimenta pratiche più veloci rispetto alla tradizionale grafica, come il ricorso a una versione semplificata dell'acquatinta, consistente nel procurarsi lastre di zinco già lavorate attraverso la sabbiatura, saltando così la lunga operazione di preparazione della matrice, e si avvicina a un tipo particolare di mezzatinta, consistente nella divisione della lastra originale in piccole zone stampabili separatamente.

Munch conosce questo metodo - utilizzato nelle arti grafiche per realizzare cliché tipografici per le illustrazioni – grazie all'amicizia con Paul Hermann, un grafico tedesco che aveva vissuto molti anni negli Stati Uniti, dove la mezzatinta era utilizzata soprattutto in ambito commerciale e meno per le sue applicazioni artistiche. Occorre dire che altri artisti coevi utilizzavano analoghe procedure di frazionamento del soggetto, come il danese Jens Ferdinand Willumsen, che per le sue acqueforti tagliava la lastra di rame in due parti inchiostrandole separatamente per poi ricomporle, e lo stesso Gauguin, le cui tavole di legno ritagliate e sagomate per la stampa a colori, erano probabilmente conosciute da Munch. Sappiamo che l'artista norvegese applica tecniche analoghe a una serie di acqueforti a colori del 1896-97 e nelle xilografie a partire dal 1896.

Anche per la xilo a colori, infatti, il procedimento tradizionale consisteva nel realizzare una tavola per ogni colore: la difficoltà stava nella giustapposizione del disegno, che deve essere perfetto, operazione che richiede una grande precisione. Munch semplifica questo procedimento ritagliando i pezzi della tavola con un seghetto da traforo, colorandoli separatamente con diverse tinte, e ricomponendoli nel tutto come un puzzle: in questo modo ottiene una stampa a colori da un'unica matrice e con un solo passaggio sotto il torchio.

Il frazionamento del soggetto che ne consegue viene sfruttato dall'artista per conferire alla composizione tensione e rigore, così come l'impiego di colore sempre più trasparente e leggero, in grado di fare risaltare la venatura del legno, finisce col diventare effetto intenzionalmente perseguito nella costruzione dell'immagine. Come sempre, impertinenza e audacia premiano l'arte: Edvard Munch non si risparmia nello sforzo di piegare la tecnica della sgorbia e del raschietto alle esigenze dettate dalla sua volontà espressiva.