Fino al 24 luglio gli spazi di Casa Testori a Novate Milanese si fanno temporalmente trasversali e geograficamente globali, è infatti possibile immergersi nei dieci anni di performance dell’artista vicentino, classe’74, Andrea Bianconi.

La mostra, a cura del critico Luigi Meneghelli, approfondisce con grande precisione la poetica di Bianconi, il quale, da sempre nei sui gesti performativi ha esplorato come un vero funambolo il complesso e prismatico rapporto con l’altro. You and Myself è una mostra dunque che indaga l’io nostro e degli altri in una perpetua oscillazione di senso. Gli interrogativi di Bianconi hanno tappezzato tanti luoghi, e l’artista infatti vanta fra le sue recenti esposizioni, una public performance tra la Piazza Rossa, il Cremlino e il Manege Valencia, Madrid, New York, United Arab Emirates, Basilea, Palazzo Reale, Milano, Shanghai. Nel 2011 Charta ha pubblicato la sua prima monografia, nel 2012 Cura.Books il suo primo libro d’artista Romance e nel 2013 il secondo dal titolo Fable. Entrambi fanno parte della collezione del MoMA, NYC. Consigli per la fruizione: dimenticate chi siete e fate di ogni dettaglio la vostra gabbia temporanea.

Ami raccogliere, accumulare, mescolare oggetti, come ricorda Luigi Meneghelli nel testo di presentazione alla mostra citando Italo Calvino che definisce “redenzione degli oggetti” il riscatto del banale. Che rapporto hai con gli oggetti dunque? Ce lo racconti solitamente tramite le performance, a parole?

Cerco continuamente oggetti, li accumulo nei miei studi, li colleziono, cerco tra di loro una possibile relazione, un rapporto, un legame. L’oggetto è da una parte strumento, dall’altra soggetto, cerco di dargli una nuova vita, una seconda possibilità. Come li scelgo? Non li scelgo, loro mi si presentano di fronte… inaspettatamente. Mi rivelano l’altro. Pensa che in ogni studio ho una gabbia appesa, vuota, e sopra la mia sedia, serve a contenere i pensieri o le idee, quando sono troppe.

Ogni tua performance è corredata, composta da disegni, fotografie e scrittura. Ti chiedo, che rapporto hai con ognuno di questi medium? C’è qualcosa che in fondo prediligi?

Il disegno mi segue ovunque, è parte di tutto, del progetto e della realizzazione, per me non c’è un confine tra disegno è performance, il segno è sempre gesto e il gesto segno. Quando per esempio ho disegnato Romance, un libro fatto di 5000 disegni-scritti, dove ripercorrevo la storia della mia vita, l’ossessione era dominante, era dominante il fatto che ogni segno o ogni parola fosse legata alla precedente e al seguente, come un’infinita catena parentale. Mi interessava il segno, il gesto, la ricerca di tracce di qualcosa che potrebbe anche non esserci, come direbbe Calvino. Tutto era legato a un momento, sia l’azione che la reazione, tutto diventava corpo. Poi questo libro è diventato un video dove proiettavo sulla maschera della mia faccia tutti questi segni, come se la mia vita mi scorresse davanti agli occhi. Quindi, quando uso diversi media, che possono essere anche foto, video, parole, suoni, musiche, tutto è in relazione, tutto è una grande catena, è un grande tutto.

In questa intervista mi avvalgo spesso della parola “rapporto”, ho riscontrato negli appunti delle tue performance che sia un concetto fondamentale, un approccio irreversibile che hai con il mondo, e ne sembri romanticamente consapevole. Che rapporto ha l’artista con l’amore? Penso a You always go down alone, Forever and Ever, Love story … Secondo te il romanticismo è sempre disobbediente? È una frase che ho letto da qualche parte e mi ha personalmente colpita molto.

Cerco continuamente rapporti, tra gli oggetti, tra le culture, indago i rapporti… l’altro è fondamentale in tutta la mia ricerca, non ci può essere You senza Myself, e viceversa. Con Forever and Ever ho iniziato a chiedermi cos’è il matrimonio, il legame tra due persone... io e mia moglie ballavamo con due gabbie la canzone del nostro matrimonio, vestiti con gli abiti nuziali. In Love Story, mi immaginavo re dei fiori, l’idea mi era venuta a Toronto in una giornata freddissima, gelida, piena di ghiaccio, due persone camminavano tenendosi per mano, senza guanti… quelle mani mi hanno raccontato una Love Story. Mi chiedo cos’è l’amore, dov’è la poesia… credo nel romanticismo, in quella cosa che ti fa vedere e sentire dolcemente, in quel sentimento che mi fa vibrare e illuminare, in quel gesto che mi fa vivere.

Sono recidiva, che rapporto ha Bianconi con gli altri artisti? C’è qualcuno che ti ha ispirato fin dagli esordi? Con chi condivideresti una possibile residenza in un posto remoto e isolato?

Gli altri artisti… non mi piace la parola altri, in questo caso, gli artisti sono sentimenti di Passione, sono atti d’amore, lo scambio e il confronto sono vitali, perché tracciano un tempo. Per esempio alla Biennale di Mosca, o al MSK Museum of Fine Arts a Ghent, ho collaborato con Mark Licari e Ricardo Lanzarini a degli enormi wall drawing, lavoravamo insieme giorno e notte, i miei disegni si sovrapponevano con i loro, e viceversa, cercavamo un dialogo, un Dialogo Illuminato ( così si chiamava il lavoro di Mosca), ci rispettavamo… Abbiamo un nuovo progetto assieme in un posto isolato. Ultimamente poi, guardando il cielo, ho trovato una stella Blue. Con la mia nuova performance Draw Me sto chiedendo a tutti di disegnare sulla mia faccia in una cartolina, di spedirla a Casa Testori, sto cercando di realizzare un World Drawing Project, un progetto collettivo.

E con la critica invece? Che rapporto hai? Come vedi e vivi il rapporto tra poiesis e riflessione filosofica?

La poesia è ciò che mi lascia senza parole, la riflessione filosofica è ciò che mi fa usare le parole. Dipende dai giorni, dai momenti, dagli attimi, … alcune volte alcuni fatti ci influenzano… noi pensiamo e ripensiamo e vediamo due vie di fuga: la poesia o la riflessione… se siamo capaci a unirle diventa espressione. Ho sempre avuto come punto fermo l’essere critico verso me stesso, alcune volte non so se la critica guarda, osserva, capisce o cerca di intuire, è una domanda che continuo a farmi.

Dieci anni di performance vengono documentati e raccontati in questa mostra You and myself. Di tutte quelle presentate, se dovessi sceglierne una e una soltanto, quale ha provocato in te il sentimento nobile e precario della vertigine?

In ogni performance cerco una caduta, cerco quella perdita di equilibrio che mi fa andare altrove, che mi fa andare talmente in alto fuori da me stesso e talmente in basso dentro che stesso, in profondità, e se “la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare”, io in ogni performance cerco la caduta della performance stessa, cerco la voglia di cadere per poter volare. D’altronde quando avevo 15 anni volevo fare il pilota di caccia. La vertigine più intensa l’ho provata con Time is Timing (2015), dove 300 sveglie suonavano a distanza di un secondo l’una dall’altra… alla fine tutte suonavano contemporaneamente, e io immobile al centro, paralizzato.

Mi ha incuriosita la tua passione e ammirazione per l’illusionista Harry Houdini, e sempre Luigi Meneghelli, nel testo critico, riferendosi a Sound of a charmed life realizzata nel 2010 a Praga, New York, Houston ti ha definito appunto come “fantomatico mago”. L’artista, e a maggior ragione quando esso diviene performer, è a tutti gli effetti colui che si fa beffa dell’osservatore? L’artista è sempre implicitamente un performer, anche non utilizzando la performance?

Mi piace Houdini perché lui sapeva come incatenarsi e sapeva sempre come liberarsi, in tutta la mia ricerca voglio fuggire da me stesso, voglio imprigionarmi e trovare una via di fuga, ecco perché uso la gabbia, che è si prigione, ma anche protezione e liberazione. Mi sento mago per questo motivo, voglio sempre fuggire dalla realtà, ma so che la realtà esiste. La realtà è ogni giorno, la mia vita è ogni giorno, il mio modo di esprimermi è ogni giorno, la mia mente è ogni giorno, il mio corpo è ogni giorno, l’altro è ogni giorno. L’essere o il sentirmi mago è il confrontarmi e vivere l’ogni giorno, è il rapporto continuo con l’altro. L’artista vive ogni giorno la realtà e cerca di fuggirne attraverso gesti, sentimenti, visioni o semplici segni. Per me fare una performance è cercare tutto ciò, per esempio quando ho fatto la performance Fantastic Planet nel 2016 , ripetevo all’infinito le parole Fantastic Planet, quasi fossi alla ricerca di questo fantastico pianeta… se esiste??? È un rito sciamanico, un gesto, un segno. Esiste?

Ritorniamo ai rapporti con i medium artistici. Sei un amante di cinema e letteratura? Suggeriscici un film e un libro. E con la musica? Una soundtrack per questa intervista?

Sono amante di tutto ciò che mi fa immaginare la possibile o impossibile esistenza di altri mondi, quindi guardo documentari, pochi film, tante interviste… leggo libri, ma mai partendo dall’inizio. Un film: Rat Race del 2001… superdivertente. Un libro: Lezioni Americane di Italo Calvino, ne ho 4, 5, sparsi nei vari studi. Ma anche Finnegans Wake di James Joyce. La soundtrack sicuramente è Too Much, è una canzone che avevo fatto sovrapponendo le 7 canzoni della mia vita, quindi la colonna sonora di questa intervista è la canzone della mia vita ( Eugenio Finardi sovrapposto a Michael Jackson, a Domenico Modugno, ad Aretha Franklin, a Gloria Gaynor, a Luciano Pavarotti e a Bob Dylan).

Gli Stati Uniti sono in qualche modo una terra d’adozione per te. Che rapporto hai con questo gigante dell’economia e della politica?

Era il 2007, stavo inaugurando la prima mostra negli Stati Uniti, da Barbara Davis, a Houston in Texas, avevo un grande sogno e avevo arruolato i miei Pony Express (la mostra si chiamava così)… messaggeri portatori di un messaggio. Di lì a poco, un mese dopo, mi trasferii a New York, me ne innamorai. Dopo anni considero gli Stati Uniti una seconda casa, ho la grande sensazione di un grande abbraccio, ho ossigeno che entra, certo è un paese molto complesso e difficile, ma l’importante è conoscersi per non perdersi.

Ultima domanda. Sei seduto su una sedia al tavolo di un bar di una città sconosciuta. Cosa vedi?

Ahhhh… è una situazione che mi capita spesso… Mi immagino seduto su una sedia gialla a un tavolino color legno in un incrocio tra due strade. Davanti a me persone che camminano che forse non rivedrò più, macchine che passano che forse non rivedrò più, cani che passeggiano che forse non rivedrò più, parole e discorsi di persone che non conosco, ma che mi fanno immaginare storie, …ahhh ma ricordo che ho già vissuto questo… ero in un’isola.