Classe 1983, Christian Fogarolli vanta già un curriculum di tutto rispetto sia a livello nazionale che internazionale. L’interesse che dedica alla costituzione dell’identità e dell’essere lo porta inevitabilmente a dedicarsi a molteplici ricerche tra le più disparate discipline, come la medicina, la scienza, l’antropologia, la psicologia, o l’archeologia. L’artista si misura sempre con materiali diversi tra loro e ciò è tangibile nelle opere, che assumono spesso e volentieri la forma di installazioni: il topos della sua poetica viene raggiunto nella forma dell’archivio della multidisciplinarietà.

Fogarolli, anatomista e custode di memorie individuali e collettive, è elegante e minuzioso, scientifico e poetico, nei suoi interventi nulla è fuori posto, nulla è mai in eccesso, tutto convive in un’armonia di riflessioni e forme. L’artista incontra e si scontra con la vita, cattura dettagli e si mette alla ricerca dell’origine. L’artista archeologo allora scava tra i residui di una vita talvolta troppo misteriosa e complessa per farne parte. Questa intervista nasce con la volontà di raccontare l’ultimo progetto in corso d’opera di Fogarolli, Phantom models, nato da incontri fortuiti durante la residenza al De Appel arts centre di Amsterdam, ma non solo, tra le pieghe delle parole dell’artista, tra le ombre di una risposta e l’altra si può carpire l’essenza di uno dei giovani artisti italiani e la sua attitudine verso un contemporaneo sempre piè disattento all’essere delle cose, alla loro costituzione e genesi.

Phantom models è un progetto culturale minuzioso e ambizioso volto a promuovere il patrimonio artistico-scientifico attraverso l’arte contemporanea. Che importanza ha realmente l’arte secondo te oggi? E la componente educativa?

Cosa può esserci di più affascinante di una cosa indispensabile e totalmente inutile? Personalmente non ho mai creduto nella componente educativa dell’arte come suo obiettivo primario e impostato da colui che l’arte la crea. Non ho mai creduto nell’arte per gli altri, nell’arte formativa; l’arte non nasce per formare o educare nessuno, nasce e basta. Credo che l’opera possa diventare socialmente utile nel momento in cui l’artista lavora senza porsi il problema di creare opere utili a qualcosa. Ho sempre diffidato molto dagli artisti che educano o pensano di farlo. Credo che l’artista, non pensando in nessun modo di essere utile all’umanità, diventi utile proprio per questo.

Ci racconti come è maturata la voglia di esporre il primo modello cerebrale rappresentante le fibre nervose e le aree emozionali del cervello umano? Come sei arrivato al testo del 1884 del professor Aeby?

Nel giugno dello scorso anno mi trovavo ad Amsterdam per sviluppare un progetto di ricerca su invito del de Appel arts centre. Iniziai così un lavoro con i curatori Inga Lãce e Chiara Ianeselli basandomi sulla ricerca archivistica presso alcune istituzioni pubbliche olandesi. Presero avvio una serie di collaborazioni con Il Tropenmuseum, il VolkenkundeMuseum di Leiden e il Museo VrolikAcademicMedical Center. È nei depositi di quest’ultimo che tra migliaia di oggetti e materiali di ogni sorta dell’ambito medico scientifico trovai isolato un intricato modello cerebrale, quanto mai contemporaneo nelle sue fattezze estetiche e formali. Da quel momento prese forma una ricerca approfondita su questa creazione, anche grazie alla collaborazione del curatore del museo Laurens de Rooy. Non era un modello qualsiasi, ma il primo modello cerebrale mai costruito che rappresentava le fibre nervose e le aree emozionali dell’encefalo umano divise per colore. Continuando le indagini negli archivi è emersa una pubblicazione del 1884 dell’anatomista che studiò e realizzò tutto questo, da lì prese piede un processo arduo, ma quanto mai straordinario.

Il progetto Phantom models mira ad essere lungimirante attraverso una lista di istituzioni internazionali fino al 2020. Come pensi si evolverà nel corso degli anni? E soprattutto che riscontro hai ottenuto fin ad ora da parte delle persone?

Con “arduo processo” intendevo proprio questo. Leggendo il manuale di Aeby sono riuscito a stilare una lista di 23 città in tutto il mondo che acquistarono questo modello per 500 franchi svizzeri. Si stavano formando i ricercatori del futuro e la creazione di Aeby/Büchi era la migliore e la più avanguardistica. È incredibile come questo modello così importante tra la fine del XIX secolo e del XX sia stato quasi dimenticato nel tempo e che non abbia ricevuto il giusto merito. Io vorrei restituire all’incredibile lavoro di Aeby/Büchi un valore assoluto: è un patrimonio del mondo intero e accomuna ogni individuo, differenziandolo. Stilando così la lista delle città mi sono imposto di ritrovare i modelli originali che furono acquistati, di valorizzarli, mostrarli; e nel caso essi fossero andati perduti o distrutti, di ricostruirne di nuovi con le mie stesse mani, così da permettere ad ogni luogo di rimpossessarsi di questa creazione. Sono partito lo scorso anno concludendo due fasi, due città, Amsterdam dove tutto è partito, e Mosca. Ho fissato come termine temporale la data ipotetica del 2020, ogni cosa ha una fine. Le persone che hanno conosciuto questa storia incredibile attraverso la ricerca e le opere ne sono rimaste sorprese e affascinate: è come se il cervello stesso della gente automaticamente si rispecchiasse in questa creazione artistica.

Hai recentemente chiuso una personale a Parigi dal titolo Le monde du ticqueur, c'è un filo conduttore poetico con Phantom models oppure stiamo parlando di due progetti distinti e separati?

I progetti pur essendo differenti sono legati da una forte base concettuale univoca, in sostanza la stessa che unisce tutto il mio lavoro e dalla quale non mi discosto: la rappresentazione reale, tattile e interpretativa di alcune dinamiche artistiche in ambito medico, antropologico, psicologico, archeologico. Far emergere passaggi specifici di come e dove queste scienze abbiano usato l’arte in maniera involontaria a scopo progressistico. Il progetto Phantom models ne è una testimonianza tangibile e immediata; personalità che hanno dato vita a delle creazioni a metà tra arte e ricerca medica. In base al punto di vista che si sceglie il campo di indagine varia, artefatti senza tempo e spazio che possono adattarsi perfettamente a un museo sulla storia della ricerca scientifica e a un museo di arte contemporanea. Alcuni lavori della mostra Le monde du ticqueur sono invece delle vere e proprie esperienze partecipative riguardanti stati dissociativi e di interferenza nei sensi umani, a livello visivo, uditivo, tattile. Lo spettatore può confrontarsi in prima persona con alcune situazioni che ricordano gli studi e gli esperimenti di Oliver Sacks, gli scritti di Aleksandr Lurjia o Ian Hacking.

Sappiamo bene che da sempre geni artistici e scientifici convogliano in un perpetuo incontro di scambio. Qual è il tuo pensiero a riguardo? Come definiresti il rapporto tra creazione e teorizzazione? Tra ipotesi e dimostrazione?

Il settore artistico credo che esuli dal rapporto ipotesi/dimostrazione, l’arte non deve dimostrare nulla alla sua radice e non credo debba nascere con questo scopo. In un successivo momento può farsi carico di aspetti dimostrativi e teorici, magari nel momento in cui successivamente se ne parla. Chiaramente sembra che sempre più ci sia un continuo scambio tra diverse discipline a livello artistico, credo che questo possa essere una lama a doppio taglio. Da un lato il beneficio di una continua contaminazione che porta a letture sempre più ampie; dall’altro la difficoltà della lettura stessa in cui sembrano nascere nuovi cliché standardizzati in cui spesso gli artisti si buttano. A volte sembra che oggi nei grandissimi musei espongano solamente esecutori di passi di danza e di pseudo scene teatrali, meglio se abbigliati con un vestito ridicolo.

È una domanda che sovente faccio agli artisti che incontro, Christian Fogarolli ha qualche artista di riferimento a sua volta? C’è qualcuno in particolare a cui ti senti, o ti sei sentito vicino? Magari anche quando eri uno studente.

Mi sento ancora uno studente e per il momento non sento di avere artisti di riferimento. Non perché non esista alcun artista verso il quale sento affinità, rispetto o ammirazione, ma solamente per il semplice fatto che i miei riferimenti non sono artistici. Preferisco dare maggiore attenzione e peso a uomini che hanno fatto dei loro studi una disciplina, o presunta tale, e che hanno cercato di seguirla in vita. Trovo interesse in quegli uomini che hanno creato inconsapevolmente aspetti artistici in discipline diverse, come l’antropologia, la medicina, l’estetica, la psicologia. Se devo citare qualche nome direi Charles Darwin, Jean-Martin Charcot, Benjamin Rush, Giovan Battista della Porta, Cesare Lombroso.

Nei tuoi lavori è sempre presente una forte idea di tempo. Oggi il tempo è mutato sembra quasi sfuggire da se stesso. Nella tua mente il tempo ha una forma? Un’immagine? Un’identità?

Credo che il tempo sia il ritratto e l’immagine dello spreco. Il tempo oggi ha erroneamente la forma del denaro e non del ricordo.

C’è un’opera, che sia essa di letteratura, cinema, teatro o musica, che ha cambiato o influenzato il tuo modo di operare e vedere?

Una no. Nel cinema, per le ambientazioni, i personaggi e la linea di pensiero David Linch sicuramente, in un paio di occasioni avevamo dei lavori esposti insieme, lo vidi da lontano ma non ho ancora avuto la fortuna di conoscerlo. Nel teatro credo la figura del Rigoletto verdiano, forse perché l’ho sempre accostato proprio a uno dei personaggi del cinema di Linch. Nella letteratura sarebbero molti, a volte anche solo per piccole fasi dei loro lavori, cito solo Michel Foucault, Dostoevskij, Georges-Didi Huberman, Freud e Barthes.

Progetti futuri? Puoi svelarci qualcosa?

Il minimo indispensabile, sto lavorando su Torino con alcune istituzioni come il Museo Luigi Rolando, che conserva l’unico esemplare italiano del modello di Aeby. Fu Torino infatti l’unica città italiana ad acquisirne uno nel 1885, è custodito all’interno del museo in ottime condizioni. Oltre a questo e qualche fiera sto portando avanti alcune ricerche in istituzioni mediche di Parigi, Dresda e Praga; quest’ultima fu la città natale del prof. Chr. Aeby, e dove probabilmente è conservato uno dei primi prototipi del modello.

Ultimissima domanda. Cosa non è mai stato chiesto a Christian Fogarolli?

Credo molte cose, tra cui certamente questa domanda.