I miei occhi conoscono il dritto, il rovescio, il risvolto, lo sfumato della deformazione, il bianco e il nero dell'assenza. Passano - attraverso - sempre pronti a ritrovare il centro segreto da dove è possibile tracciare altri spazi, altre vie che furono già echi e passi. Ho avuto la fortuna di nascere di fronte alla biblioteca. Le finestre della mia casa guardavano il suo interno e vedevo uomini che trasportavano volumi. Questo andare e venire, non di libri normali, ma di volumi enormi e rilegati in pelle scatenavano la mia curiosità: alla distanza di un braccio dal mio corpo c'era un mondo parallelo al mio.

E ancora. Il gioco nel Chiostro di San Francesco, ora restaurato. Noi bambine sprigionavamo una tale forza nel gioco creativo che erano sufficienti i ciottoli del cortile, le crepe del muro, le transenne di ferro che sostenevano le arcate, per costruire le nostre cattedrali. Nel mio tempo in quel luogo spirava l'abbandono dei secoli: era lì come se niente fosse, come se ci fosse sempre stato. Con la biblioteca e con il chiostro ho antiche parentele: da questi luoghi ha inizio la mia memoria, cioè il corso naturale delle cose che sono accadute poi. Leggo in Marina Cvetaeva: "Ci sono fatti nostri - nostri contemporanei. Ce ne sono altri - nostri predecessori, i fatti prima di noi... Tali sono tutta l'infanzia e l'adolescenza. Antenati, predecessori, precursori. Sono proprio loro che bisogna ascoltare". I miei giochi in quegli spazi carichi di storia, il mio sguardo incantato sul viaggio dei grandi volumi e la mia mano che riempie di disegni - di storie - i quaderni dalla copertina nera altro non sono che gli antenati profetici e ciechi di quella che sono io, oggi.

Questa è la ragione che mi ha riportata dopo sessant'anni, "a casa" a conversare con quel mondo parallelo che vedevo dalla mie finestre e che ora mi pone dall'altra parte. Come lo specchio di Alice. Con il dritto e il rovescio.

Il dritto e il rovescio

Forse sono schizofrenica. In me convivono più donne di età e di carattere molto diversi. Alla complessità interiore si aggiunge una zona d'ombra che imprigiona L'Urlo di Munch. Vorrei aggiungere anche la mia passione (da pati, patire) per la condizione femminile e per la devastazione degli elementi della natura qui accanto e nel resto del mondo. Nel lavoro porto con me queste voci e queste esperienze. Partendo da quell'età che come un fiume in piena s'allarga si dilata, va verso, passa oltre e con disarmante innocenza tutto sconvolge, ho ricostruito mappe originarie. Procedendo all'indietro come fanno i gamberi ho tentato e tento di riportarne alla luce la memoria e di contraccambiare. Quando poi nella mia vita è avvenuto l'incontro della mano con la mente, della conoscenza con la coscienza e l'istinto si è saldato con essa, è nata la prima tela con il dritto e il rovescio. Da quel momento, pur attraversando diversi territori dell'arte, credo di avere tentato di dare risposta o d'interrogare il senso arcaico di quelle lontananze.

Le storie e le figure tracciate nei quaderni dalla copertina nera hanno preso all'inizio, la forma della Scrittura Visiva, sono poi diventate Manoscritti e quando ho incontrato la vita e le opere di Ildegarda di Bingen, di Anicia Giuliana e di altre grandi donne del passato e del presente sono nate, per onorarle, le Grandi Pagine. La biblioteca che contiene in sé il sapere ha ispirato scrittura e tavole botaniche. I segni sul terreno per il gioco "della settimana" nel Chiostro di S. Francesco sono l'origine di quella specie di "Magico Primario" che ancora non mi abbandona. La passione per la natura mi ha ritrovata a creare eventi in riva al mare, nella cenere di una pineta bruciata, nella valle e lungo il fiume. Questa suddivisione mi aiuta a compiere un ulteriore passo perché non tutto è così chiaro; le contaminazioni sono sempre presenti, tra loro si confondono, e confluiscono nella memoria arricchita così di ciò che ora è quel "contraccolpo" al quale da tanto tempo cerco di dare risposta. Da qualche parte dovrò iniziare e come al solito vado "obliqua", guardo le chiome dei pini marini che mosse dal vento anche loro tracciano segni nell'aria. E vado nel tempo in cui avevo due case.

La prima era la dimora dell'immagine visiva e la seconda la dimora della scrittura. All'inizio vivevano ognuna per conto proprio; poi ho sentito la necessità di unire le due esperienze. Sono nati così i Manoscritti nei quali convive la memoria della partitura musicale e della pittura: ho tentato di tradurre il suono e la visione in scrittura. Il gioco nella mia vita ha avuto un'importanza fondamentale e forse ha dato origine ai lavori più complessi e più ricchi di significato che ho realizzato.

Quando all'inizio degli anni '80 mi sono imbattuta in un libro - un colpo al cuore - che parlava della civiltà Nazca, ero pronta. E, cosa che mi accade raramente, ho condiviso questa esperienza con tutte quelle donne così diverse tra loro che abitano un corpo solo, il mio. Abbiamo lavorato sperimentando forme e tecniche quasi impossibili come il tentativo di far convivere i fogli di acetato con gli inchiostri di china. Il mistero e la potenza di questa civiltà devono avere colpito profondamente la nostra immaginazione perché ancora tentiamo di tradurne l'enigma. Abbiamo lavorato e lavoriamo soprattutto all'elaborazione degli animali tracciati da quell'antica popolazione nella Piana di Nazca (la balena, la lucertola, il colibrì, il condor, il ragno, il cane). E soprattutto la scimmia che le popolazioni del Perù associavano all'acqua. Per cui tutto torna: l'acquarello in una lettera di mia zia Maria del 1947 che mi dipinge con le sembianze di una scimmietta e l'acqua marina che credo rappresenti il mio stato di grazia - oggi ho fatto una lunga nuotata di millecinquecento bracciate, le ho contate.

E ancora il gioco: i graffiti nel terreno del Chiostro di San Francesco per la magia e l'energia dei nostri giovani corpi. E "nascondino" in luoghi bui e misteriosi con il cuore che batteva forte e che ora sono diventati Scudi dove ancora mi nascondo - nel rovescio della scimmia e della lucertola. Mi piace ricordare qui che l'immagine della scimmia fu scoperta nel 1954 dall'antropologa tedesca Maria Reiche. Questa studiosa si trasferì nella Piana di Nazca e tenne pulite e lottò perché le grandiose figure di animali, di vegetali, di umani incise nella terra non venissero distrutte.

Ho lavorato con gli acetati, con le chine, con la polvere del vulcano. Andavo a Torino alla Galleria delle Donne di via Fabro, senza opere, con solo tre rotoli di scotch trasparente in tasca. Le mie amiche mi lasciavano in Galleria e quando ritornavano, il mio lavoro dal niente, "miracolosamente" era fatto; erano insetti in volo, metamorfosi, ali trafitte, grandi scritture trasparenti. Mi è sempre piaciuto confrontarmi con lo spazio, compreso quello del foglio.

Il magico primario o, come li chiamavo allora, Il luogo degli Dei, Tre Scudi, Vulcanalogie, Mano sinistra e gli Intoccabili: questi i cicli del mio lavoro fino ai primi anni del 1990. Erano piccole o grandi aggressioni ai fogli di acetato o di carta, al vetroresina, al cartone. Era il libro d'arte Pesce fuor d'acqua. Aggredivo in superficie e in profondità e in compagnia del lavoro andavo a fondo. Andavo a fondo anima e corpo. Infine con gli Intoccabili ho raggiunto un limite oltre il quale non potevo più andare. La polvere nera degli Intoccabili ricopriva lo studio e i suoi oggetti, ricopriva il terrazzo e le sue piante e dal terrazzo -l ieve, lieve - volava sulla città. Se è vero che la mia anima andava a fondo in compagnia del lavoro, la mia anima a quel tempo era nera. Anzi oscillava tra il bianco e il nero perché m'immergevo nella polvere nera, poi con panni bianchi pulivo. Il mio tempo si consumava così in un ciclo continuo nero, bianco e di nuovo-nero. La luce negli Scudi e negli Intoccabili nasce dal rovescio.

Ed è arrivato così un pomeriggio di fine di settembre nel 1996. In quel pomeriggio ero in studio e stavo mangiando un grappolo d'uva, ne ho staccato tre chicchi e li ho appoggiati sul tavolo bianco. Con quel gesto la mia vita ha cambiato direzione. Mi sono scrollata di dosso la polvere nera e sono passata, come disse la mia amica Anna, "dall'inferno al paradiso". Ho aperto gli occhi su tre chicchi d'uva - quasi nulla - che in realtà hanno segnato in me e nel mio sguardo una rivoluzione. Quel pomeriggio cosa ho fatto di tanto importante? Ho fatto una piroetta e sono passata dalle tenebre alla luce. Ho aperto gli occhi su tre chicchi d'uva e mi sono chiesta se attraverso qualche cosa di molto semplice, sarei riuscita a dare risposta alla mia passione. Stavo mangiando il mio frutto preferito, ne ho lasciati cadere tre chicchi e sotto il pennello li ho fatti germogliare. Per realizzare tutte le potenzialità dell'uva mi sono abbandonata all'acqua. Da quel giorno si consuma così il mio incontro scontro con acque diverse.

All'inizio il pennello controlla piccoli flussi, rivoli, poi sotto la mano scorre un'acqua piena di luce e di colore che prima non esisteva. Sono nati così i tre chicchi d 'uva. Sono nati da luci e ombre che creano arcaiche lontananze. Per me luogo d'origine, una natività. Con la lente d'ingrandimento ho tentato di rivelare le minime circostanze di un mondo naturale intricato e luminoso. Contemporaneamente ho continuato la strada del manoscritto e dal desiderio di far convivere nello stesso lavoro, in reciproche intimità, scrittura e vocabolario botanico, sono germogliate grandi pagine che evocano le antiche miniature. Nel 2011 ho dato un'accelerazione al mio lavoro; sono nata nel 1941 e convivendo con donne di età diverse, tra le quali anche una bambina ribelle, non ho mai dato importanza a quel tempo che velocemente cancella le nostre giornate. Nel 2011, appunto, ho avvertito per la prima volta che di tempo me ne è rimasto poco. In un anno ho realizzato con amiche e amici molto disponibili la mostra personale nero scarlatto e ho pubblicato due libri. E mi sono allargata moltissimo. Nel mio lavoro ho inserito in modo sempre più visibile l'arte delle relazioni.

Nei seguenti eventi ho lavorato con decine e decine di artiste, artisti e docenti e allievi del Liceo Artistico Nervi, Severini di Ravenna. Soprattutto nel coro erano presenti amiche, amici, parenti stretti. Avrei voluto vedere la mia genia intera, come testimone dei miei affetti, della mia tenacia, e della mia fatica. In questi lavori parto da una memoria personale e insieme collettiva di tempi in cui era ancora possibile vivere in una natura non degradata e arrivo a contemporanee devastazioni: gironi infernali con distruzioni, lapidazioni, mondi di cenere e di plastica dove si aggirano coscienze accecate.

Nel mio ultimo lavoro, Ritratti di donne, concerto a più corpi, penso di avere fatto qualcosa di rivoluzionario. La rivoluzione parte dalla prima scena quando Gigi, appoggiata la mano sulla spalla di Cristina e con la sua voce virile e autorevole, dice: "Sono Silvana e vengo da Novi Ligure... " E mentre il concerto prosegue con azioni di più corpi e suoni Gigi continua: "Io sono Argia... , io sono Isotta... , io Sono Giorgina... , io sono Cordula... ,io sono Augusta... , io sono Gabriella... , io sono Cristina... ". Voglio così che un uomo con la sua voce s'immedesimi nella vita dell'altra e ne riconosca l'irripetibile unicità. Il desiderio di indagare l'origine e il percorso del mio lavoro è nato pensando all'organizzazione visiva di una mia mostra personale dal titolo Il dritto e il rovescio che verrà inaugurata venerdì 7 ottobre 2016 alle 17 nell'Aula Piana della Biblioteca Malatestiana di Cesena.