Una rassegna profonda e ben articolata che si snoda lungo le sale del Palazzo della Gran Guardia a Verona. Maya. Il linguaggio della bellezza si manifesta da subito in un colpo d'occhio di fascino e mistero. È la grande civiltà di un popolo che muove nel corso dei secoli, a distanza del tempo, in una continuità di nuove suggestioni e profonde emozioni. La mostra a cura di Karina Romero Bianco, con la consulenza scientifica dell'americanista Antonio Aimi, si snoda lungo un percorso di oltre 2000 anni, con 250 reperti provenienti dai principali musei messicani, e affronta un importante e fondamentale concetto che diventa però il motivo conduttore dell'esposizione: la decifrazione di una scrittura, che passa attraverso i maestri, le scuole e gli stili. Una lettura storico-artistica delle opere che si accompagna a quella squisitamente archeologica.

Tre grandi periodi – preclassico, classico e postclassico – che dal 2000 a.C. Al 1542 hanno visto fiorire questo popolo – sono rappresentati attraverso straordinarie opere dell'arte maya quali ad esempio I Portastendardi, una pregiata scultura risalente all'XI secolo realizzata da un maestro di Chichen Itza (un complesso archeologico a nord della penisola dello Yucatan, inserito tra le sette meraviglie del mondo moderno) che rappresenta la migliore opera di una tipologia tipica di molte città del Periodo Postclassico); la Testa raffigurante Pakal il Grande che visse dal 603 al 683 dopo Cristo e fu il più importante re di Palenque; la Maschera a mosaico di giada raffigurante un re divinizzato, quale tipico esempio di maschera funeraria; ed ecco un'altra imponente scultura risalente al periodo tardo classico: si tratta dell'Adolescente di Cumpich, dall'omonimo sito archeologico.

Ma è nelle sezioni tematiche che si ritrova l'identità e la forma dei Maya. Un'impronta legata ora al corpo in quanto tela, superficie rivestita ovvero l'abbigliamento, o come controparte animale sino alla sezione dedicata ai corpi delle divinità. Così nella sezione del “corpo come tela” si scopre che tra i Maya la bellezza era una vera e propria forma di culto che si manifestava anche attraverso la pittura sul viso e sul corpo, oppure con ornamenti che venivano riservati per le occasioni di festa. Molti sono anche i ritratti di persone ed esseri mitologici con deformazioni del cranio come nel caso di Testa di uomo con copricapo del periodo classico tardo. E sempre dello stesso periodo assai interessante risultano essere Donna con denti limati , Viso con scarificazioni e copricapo e Personaggio con ascite.

Ma per I Maya i ritratti facevano riferimento all'essenza vitale delle persone e la loro esistenza veniva determinata da come queste venivano raffigurate. Così le rappresentazioni di prigionieri, personaggi legati in uno spazio minimo, come quello dello Scalino con personaggio, appartenente alla scala dell'Edificio 13 di Dzibanché, che mostra graficamente l'umiliazione e la sottomissione dei prigionieri sotto la dinastia dominante. Nel “corpo rivestito” è l'abbigliamento a caratterizzare la scena, con opere nelle quali la popolazione viene rappresentata impegnata nei lavori agricoli con le donne nella tradizionale blusa chiamata “huipil” e la gonna o la tunica, mentre gli uomini in un costume legato intorno alla vita o a volte con un lungo mantello sulle spalle. La classe nobile, invece, indossava costumi elaborati con accessori come cinture, collane, copricapo, pietre preziose e piumaggi, e tessuti ricchi di colori.

Rilevante è anche il ruolo degli animali nella cultura Maya, e molti degli stessi animali erano considerati sacri, simboli di forze naturali e livelli cosmici, epifanie di energie divine, demiurghi tra gli dei e l'uomo, protettori di stirpi e alter ego degli esseri umani. E altrettanto singolare è l'ultima sezione dedicata ai corpi delle divinità. I Maya infatti adoravano divinità ed entità di natura diversa che potevano incarnare i poteri più grandi o o essere custodi di piccole piante, di piccoli corsi d'acqua o delle montagne. Le loro rappresentazioni includevano caratteristiche umane e animali, elementi naturali o immaginari.

Il “pantheon” Maya risulta così assai complesso, in quanto ne fanno parte divinità con caratteristiche contrapposte: allo stesso tempo maschili e femminili, giovani e vecchie, animali o umane, creative o distruttive come la natura a cui si ispirano. In questo senso la mostra veronese diventa ancor più elemento di fascino e bellezza, identità e mistero, forze che messe insieme delineano la grande cultura Maya che connota questa antica popolazione, e la rende motivo di nuove conoscenze e per future scoperte.