L'altro Dalì. Quello che non ci saremmo mai aspettati di trovare in un artista che ha costruito attentamente il suo personaggio sulla stravaganza dei comportamenti, sulla provocazione e l'originalità dei gesti. Quello che credevamo soffocato dalla sua assoluta mancanza di umiltà. Lui, che dopo aver accarezzato il sogno infantile di diventare Napoleone, si sentiva invece il genio destinato da solo a salvare il mondo, lui, il surrealista per eccellenza, l'istrione sprezzante, lo sperimentalista, il rivoluzionario che si è giocato i favori della critica, sollecitata più dai suoi atteggiamenti che dalle sue opere. E invece eccolo il Salvador Dalì fuori dal suo delirio di onnipontenza, quello che si confronta, che impara la lezione dei classici e non la tradisce, pur adattandola alle sue esigenze stilistiche, quello che cerca l'immortalità passando attraverso un Rinascimento reinterpretato dalle luci e dai colori del sogno.

È una mostra speciale quella in corso a Palazzo Blu, sui lungarni di Pisa, fino al 5 febbraio. Speciale perché per la prima volta, non solo in Italia, il grande maestro di Figueres viene messo faccia a faccia con la tradizione antica, con Michelangelo e con Raffaello, concentrandosi su un aspetto inedito della sua personalità e della sua produzione. Non è il Dalì "classico", quello degli orologi liquefatti, del sogno liberato da qualsiasi limitazione della realtà, l'artista che incontriamo nelle sale di Palazzo Blu, ma è un Dalì che incorpora il surrealismo nella tradizione, che incanala la sua fantasia nel solco dei maestri rinascimentali. Quattro le sezioni in cui si divide la mostra Dalì. Il sogno del classico, organizzata da MondoMostre, con la collaborazione della Fondazione Gala-Salvador Dalì.

"È originale e straordinaria", sottolinea nel catalogo di Skira la curatrice Montse Aguer, direttrice dei Musei Dalì di Figueres. "Insiste in particolare sull'importanza dell'Italia, del Rinascimento e di Michelangelo nell'opera dell'artista spagnolo, a partire da una selezione di oli assai poco conosciuti, quattro dei quali inediti, che figurano tra le sue ultime creazioni degli anni Ottanta". Insieme alle altre "chicche", un olio proveniente dai Musei Vaticani, La Trinità , inserito nella prima parte della mostra, in cui si propone la fase mistico-nucleare di Dalì, quando il pittore, in volontario esilio negli Stati Uniti in seguito alla Guerra Civile spagnola, subì le suggestioni della nuova fisica e delle sue conseguenze, tra cui la bomba atomica.

Così, se da una parte le sue Madonne si dematerializzano e atomizzano, dall'altra solo il misticismo e la spiritualità gli sembravano poter controllare quel processo di disintegrazione violenta della materia che la scienza moderna aveva rivelato. Dalì osservatore del suo tempo, dunque, ma con profonde radici nel passato. "L'unica possibilità concreta per creare un'opera d'arte originale sta nell'aggiungere qualcosa alla tradizione", professava lo stesso artista mentre dipingeva e reinterpretava le molte figure michelangiolesche della Cappella Sistina che si ammirano nell' esposizione. E l'unione di originalità e tradizione è evidente nella grande tela a olio Alla ricerca della quarta dimensione, dove le citazioni classiche e scientifiche si moltiplicano: da una parte un dodecaedro e una porta da cui si accede ad altre dimensioni, dall'altra personaggi che arrivano direttamente da Raffaello e dal Perugino, insieme a un enigmatico orologio molle al cui centro c'è il tuorlo di un uovo, immagine che a Dalì rievocava l'utero materno.

Altre due sezioni della mostra sono dedicate ad altrettanti temi classici. Le illustrazioni della Divina Commedia, oltre cento e tutte esposte, gli vennero commissionate dall'Istituto Poligrafico dello Stato Italiano, ma poi il contratto fu rescisso perché a qualcuno non sembrò corretto che un artista di nazionalità straniera rappresentasse la maggiore opera letteraria italiana. Allora Dalì, che aveva già completato tutti gli acquerelli, si rivolse all'editore francese Joseph Foret, che ovviamente pubblicò l' opera. Con le illustrazioni per l'Autobiografia di Benvenuto Cellini, ultima sezione di Palazzo Blu, si sostiene infine un confronto tra due uomini di secoli diversi, eppure così affini. Thomas Clement Salomon ce lo suggerisce nel catalogo: "Come perennemente Dalì si autodefinisce geniale, così Cellini 'primo omo del mondo'. La modestia è a loro estranea e il confronto con i loro contemporanei si riassume in un sostanziale disinteresse per l'operato altrui nel caso di Dalì, mentre per il fiorentino in una contesa continua che assume spesso connotazioni anche violente".

Sono 27 gli acquerelli e i disegni esposti in cui la graffiante ironia di Dalì si unisce al fine tratto dell'inchiostro in una duttilità tecnica e stilistica che ancora una volta rivela i suoi riferimenti ai grandi maestri dei tempi passati. Insieme all'immortalità nella storia dell'arte, che già aveva raggiunto, Dalì attraverso i classici cercava costantemente la perfezione. Ma, per una volta lasciando da parte la sfrontatezza che gli era propria, lui stesso riconobbe che non c'era speranza: a quella non si arriva mai.