Il secondo appuntamento della stagione espositiva di Monitor vede protagonista Elisa Montessori (Genova, 1931), che debutta negli spazi della galleria con una personale accompagnata da un testo critico di Ilaria Gianni. La mostra mira ad investigare la ricerca della Montessori sin dai suoi esordi negli anni Settanta, passando per alcune opere significative degli anni Ottanta (celebre La terra dei Masai presentato alla Biennale di Venezia del 1982) fino a incorrere nelle opere più recenti, caratterizzate da un piglio fresco e attualissimo. Raffinata nel segno e nella composizione, nella ricerca della Montessori si rintraccia l’influenza di due mondi: la fertilità culturale dell’ occidente e quella più segnica e nascosta dell’oriente.

Ed è proprio nel suo particolare utilizzo del segno che emergono al contempo le avanguardie storiche e le suggestioni orientali che vedono nel gesto stesso del tracciare una totalità di esperienze fisiche e mentali. Dalla sua dichiarazione “lavorare per me è il desiderio di eliminare”, la Montessori ha, nel corso dell’intera vita, continuato a produrre opere basate sul concetto di accumulazione e sottrazione. Artista dalle molteplici visioni, nelle sue opere si percepisce in particolare la ricerca di un rapporto profondo tra donna e natura, inteso come momento di trasformazione e di metamorfosi . Racconti mitologici e corrispondenze con testi letterari, derivanti da un rapporto privilegiato che l’artista ha con la letteratura e la poesia, fanno si che le opere di Elisa Montessori ci accompagnino in un armonico viaggio nella mente, un camminamento mai finito nel paesaggio, un attraversamento nella memoria del mondo e nelle emozioni.

A volte antiche conoscenze relegate ai margini del nostro cervello riaffiorano, ma è necessario che siano le voci opportune a risvegliarle. Quella di Elisa Montessori mi ha rammentato che secondo Plinio il Vecchio la pittura ebbe origine quando una donna tracciò il profilo dell’amato attorno all’ombra proiettata dal suo viso, facendo così la propria comparsa sotto il segno di un’assenza / presenza. Ha riportato alla mia memoria il postulato fondamentale di Lavoisier, che recita: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutti si trasforma. E poi, ancora, mi ha ricordato l’esistenza del Libro dei Mutamenti e dell’ontologia taoista di Lao-tzu e Chuang-tzu. L’ombra, la metamorfosi, il vuoto, sono tutti elementi che ricorrono nella grammatica dell’arte rapida e ritmata, passarella tra due mondi e culture, che nell’artista genera il segno e il conseguente disegno.

Entrando nel suo studio a Via della Lungara, dinnanzi ai lavori che escono da armadi, cassetti, rastrelliere, si è colpiti dalla coerenza di un lungo percorso folto e sfaccettato, a tratti interrotto dagli eventi della vita, eppure impossibile da considerare discontinuo. A partire dagli anni cinquanta, Elisa Montessori fa uso di linguaggi e tendenze stilistiche diverse, utilizzando una cifra minimale tra astrazione pura e evocazione figurativa, senza mai assoggettarsi ad una tendenza, un movimento, una moda. La sua è la storia della costruzione di un linguaggio indipendente, seduttivo, forte, generante; e al contempo un percorso di emancipazione femminile basata su una libertà creativa e politica che non ha mai creduto in una differenziazione di gender inscritta nella definizione di un immaginario e di uno stile, piuttosto nel diverso modo di osservare, relazionarsi e tradurre la visione.

La poetica di Elisa Montessori parte proprio dall’atto del guardare e rapportarsi con il mondo in quanto corpo e sguardo, rifacendosi alla prima scrittura della mano, compulsiva, libera, a tratti violenta, che porta a riprodurre non ciò che si vede dinnanzi a sé ma ciò che si conosce. Una mano che sa più dell’occhio, con una memoria che non traduce la realtà ma registra l’esperienza. Il segno, come lo sguardo, è un’incisione in costante trasformazione e quello di Elisa Montessori è un tratto cumulativo e sottrattivo, che spinge, avanza, sposta l’orizzonte sempre più lontano. Cattura le linee interne delle cose e fissa le relazioni tra di esse, da qui l’importanza delle forme stagliati contro un fondo che rappresenta l’ignoto, che danno spazio alla metamorfosi. Il suo segno deriva dalla natura: struttura e imprimitura di ogni lavoro dell’artista. Una natura composta da respiri vitali che animano l’universo, intesa nel suo incessante divenire, nella sua costante germinazione e tradotta in gesto automatico. E’ la trasformazione del paesaggio, un paesaggio vegetale, a volte evidente, altre appena suggerito, che gioca con la linea e con i tanti modi di interromperla, dedicandosi a variazioni spontanee e impercettibili. Elisa Montessori è interessata all’imperfezione, al casuale, all’irregolarità, alle sorprese e ai rischi. Ogni sua opera cela l’imprevedibile, racchiude un segreto.

Nulla si crea, tutto si distrugge, tutto si trasforma. Ne sono un esempio i Tropismi (1975) esposti a Parma per la prima volta e poi presso lo Studio Lia Rumma a Napoli nel 1977, tre grandi lavori 149×148 cm ciascuno, composti di tanti cartoncini quadrati incollati leggermente distanziati su una base di garza. I disegni a china di trame astratte quasi reticolari lasciano il posto a una serie di aereofotogrammetrie a formare un intreccio di immagini, una morfologia naturale di terreni visti dall’alto. I Tropismi, termine preso in prestito dalla botanica, dalla psicologia e dalla musica, sviluppano una percezione visiva lenticolare, una combinazione, tra il paesaggio-ideogramma dai tipici tratti illusivi e rarefatti del disegno orientale e quello documentato meccanicamente. Lo spazio aereo permette di muoversi in un paesaggio senza punto focale, o meglio con una prospettiva sempre in un divenire relazionale. Le opere testimoniano un percorso tra vista e visione mentale, tra l’impalpabile e l’esistente.

Calligrafico eppure intriso di un bagaglio culturale proveniente dall’arte occidentale di paesaggisti come Gaspard Dughet o Hercules Pieterszoon Seghers è 14142 x 14142 = 2 square meters of art (1976), dove un segno insistente e attivo costruisce a poco a poco lo spazio occupato dal mondo vegetale. Una selva, a volte trasparente, altre fitta e minacciosa, composta dall’insieme di inchiostro su cartoncino e collage di foto, genera un’interdipendenza tra il pieno e il vuoto. Il vuoto, fondamenta dell’ontologia taoista, è inteso così anche esso proprio come segno. E’ respiro, è ritmo, è azione. Sembra ripotare alla luce l’interdipendenza tra presenza e assenza, insito nel rapporto tra il tratto e la sua ombra, riflesso proprio di quella citata nascita della pittura secondo Plinio il Vecchio.

Un dualismo evidente nella celebre opera La terra dei Masai, esposta alla Biennale di Venezia nel 1982. Una terra lontana dove l’orizzonte fatto di calda sabbia ocra, le nuvole, il riflesso del sole, costruiti da una sinfonia di segni compositivi leggeri, si distinguono su un fondale di aria pura e trasparente, descrizione del vuoto, dell’assenza, dell’ignoto, generando un paesaggio al limite tra il verosimile e l’onirico. Leggerezza, trasparenza, vuoto, sono anche alla base dei Paesaggi trasparenti (1974), piccoli fogli leggeri di plastica stropicciati e lasciati cadere a formare un’opera bidimensionale che si fa scultura. Un lavoro ripreso nei Kew Gardens (2015), in cui l’artista utilizza grandi fogli di cellofan su cui disegna, appoggiati a formare una sorta di serra. Ambigua, imprevedibile e in trasformazione, ogni cosa è un’altra. Non è solo la natura o il mito ad essere oggetto di metamorfosi, ma lo stesso processo del vedere, dell’esperire e del costruire.

Nel cammino di Elisa Montessori, che ha discretamente e indipendentemente attraversato la storia dell’arte italiana con un’inimitabile integrità e coerenza, ogni opera è un percorso sfaccettato, personale e relazionale, avviato da un gesto accennato capace di aprire una successione di eventi e pensieri. La sua poesia è un incessante lavoro di scavo, la sua mano e i suoi occhi si riempiono di esperienze fisiche e mentali, alla ricerca di un intreccio tra uomo e mondo, nella consapevolezza che l’arte sia sacra pur senza religione, ponendosi in una zona liminare che apre “una porta sul buio” (Seamus Heaney). Elisa Montessori è un’artista che vive il mondo.

Lo vive e lo guarda scavandone la superficie, traducendola attraverso una gamma di tratti che ci rivelano che ciò che ci si trova dinnanzi non è univoco, che un quadro racchiude sempre una domanda, aperto alla sguardo altrui, che vedere una cosa equivale sempre a trovarne un’altra.

Testo di Ilaria Gianni