Con Look Afar, l’artista italiana Chiara Dynys propone negli spazi della M77 Gallery a Milano, fino al 12 marzo 2017, un corpus di opere inedite modulate attraverso diversi medium, frutto di una lunga ricerca e di un viaggio nella Lapponia svedese. L’esposizione Look Afar sarà accompagnata da un catalogo a cura di Michele Bonuomo. È un nuovo obiettivo realizzato dall’artista, per il carattere del suo lavoro “sempre affacciata sul bordo del precipizio”, concentrata sulla poetica del materiale e su quelle difformità del reale che ci permettono di intuire la presenza di una dimensione altra, oltre alla fisicità che ci appartiene.

In tre spedizioni diverse, Chiara Dynis ha documentato l’aurora boreale. E, dalla memoria visiva, dai documenti fotografici raccolti e dall’esperienza vissuta ha elaborato un gruppo di opere pittoriche a parete che mettono insieme visioni simultanee distinte, piccole sorprese che testimoniano le diverse tappe del percorso, racchiuse entro lenti che enfatizzano il dettaglio.

Look Afar è la Luce del Nord, l’aurora boreale che ha ispirato la sua nuova ricerca artistica. Testimonianza e narrazione che lei stessa definisce “liquida”. Può spiegare nel dettaglio la genesi del suo progetto?

Nonostante la civiltà dell’immagine ti permetta di vedere e vivere apparentemente questo fenomeno anche sullo smartphone, arrivare fisicamente in questo luogo ed entrare in una sorta di aura cosmica è il vero guardare oltre. Proprio per il carattere del mio lavoro mi sono sempre affacciata sul bordo del precipizio (guerre siriane, vissute a Damasco e Palmira all'inizio delle dimostrazioni del 2011, la mia presenza ai primi conflitti a Beirut, il mio lavoro su Sabra e Chatila quando il luogo era in grande fermento, il mio laboratorio al Cairo ai tempi delle dimostrazioni, le traversate dei deserti e le scalate di vulcani in eruzione per il lavoro Clean Your Eyes) e ora questa traversata nella Lapponia svedese che, al di là del grande sforzo fisico, degli appostamenti notturni, del rischio al bordo delle cascate di ghiaccio, di salite nella notte sulla funivia che ti porta al punto più alto dell'osservatorio, con un freddo così intenso che ci richiedeva un'attrezzatura simile a quella degli astronauti, è stato per me molto probante e la coscienza del sapere che non c'era nell'intorno un posto consolante, non c'erano luci e neanche un piccolo luogo di ritrovo, ma solo un rifugio dove si poteva dormire senza nessun impianto né televisivo, né di internet mi ha portato a riflettere profondamente sull'intero corpo del mio linguaggio. Io che soffro di claustrofobia e di una forma depressiva molto comune negli artisti, ho ritrovato qui dei segni chiari dei miei limiti di resistenza nervosa e psichica, che ho riportato poi in questo lavoro. Su questa traccia ho sentito il bisogno di includere all'interno dei grandi lavori che sono il frutto del viaggio, due semisfere di cristallo in forma di lenti in cui inserisco sulle basi dei diversi momenti di caduta dei colori cosmici, delle visioni simultanee, dei flash, quasi fossero delle immagini subliminali che sono i punti per così dire fermi che mi sono rimasti negli occhi durante il percorso e gli avvistamenti del fenomeno, per esempio una linea di migrazione di renne, delle costruzioni di ghiaccio, dei semplici alberi intessuti di "pizzo" ghiacciato, una luna dietro un abete, una piccola baita nel nulla, le formazioni ghiacciate di una cascata eccetera.

E la summa di queste esperienze sconvolgenti e al limite della resistenza si traducono in un corpus di opere molto particolari esposte nella sua nuova mostra a Milano.

Tutto questo l'ho inscritto in una forma liquida che è quella della cornice che ho disegnato in questi luoghi "copiando" letteralmente le evoluzioni dell'aurora boreale. Io ho indagato fin dagli inizi del mio lavoro sulla luce, ma durante questo viaggio nel nord ho avuto la precisa cognizione che la mia indagine sulla luce sia un'indagine sull'archetipo percettivo della luce e quindi: l'Orizzonte, inteso come un punto finale in un cono ottico, che sto percorrendo al buio, perché al buio, dove sono stata per 40 giorni, ho aspettato di essere "abbagliata" da ciò che sempre attendiamo che ci possa e debba arrivare alla fine del tunnel. Ecco, per questo, ho guardato lontano.

Come è riuscita a elaborare pensieri, ricordi e visioni di forza ed energia utilizzando diversi mezzi espressivi?

Io perseguo non uno stile ma un linguaggio attraverso diverse esperienze, tecniche e materiali. Il mio linguaggio si è sempre nutrito dell’idea dell’attraversamento fisico-mentale dei luoghi che mi permette di descrivere una situazione totalizzante attraverso il racconto di un’anomalia. Come in Sabra Beauty Everywhere, attraverso le immagini dei giochi dei bambini descrivevo la realtà di Sabra e Chatila, così adesso la messa in scena di un deserto di ghiaccio ai confini del mondo mi permette di raccontare la luce.

Lei ha scritto: «Quella luce siamo noi. La luce è passaggio, ma anche architettura di un altrove che è dentro di noi, perché l’uomo, seppur sospeso fra il Tutto e il Niente, fra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo razionalmente incomprensibili, è contenitore capace di infinito nel folle volo che lo spinge a guardare lontano». In due parole, cosa significa?

Dobbiamo trovare tutto dentro di noi.

Relazione tra l’artista, l’Infinito e la luce del Nord anche in un video che seleziona in questo immenso corpus di scatti una serie di vedute montate in sequenza secondo la tecnica del time-lapse. Si può parlare di una dimensione spirituale nel suo nuovo progetto artistico?

Più che spirituale si può parlare di una dimensione fortemente metafisica nelle forme ed esistenziale nei contenuti.