Fratelli a un tempo stesso, Amore e Morte / ingenerò la sorte…

Tra le mille sfaccettature di questo binomio, che ha impresso e imprime la storia e la realtà della cultura umana, ci sono anche reperti, oggetti, opere d’arte o di artigianato, che testimoniano l’affetto e l’effetto che queste due tappe fondamentali della vita hanno stimolato. Fino ad arrivare ai giorni nostri, quando il simbolo del cuore, ormai depauperato di significazioni esoteriche, è finito sulle bancarelle di chincaglieria o sui sacchetti dei supermercati e teschi e tibie, persa la connotazione ammonitoria, sono diventati corredo ordinario delle tifoserie sportive.

In una mostra, Cuori e Vanitas – l’indissolubile intreccio tra Eros e Thanatos, tenuta nel cuore (altra metafora cardiaca urbana) della Milano bohémienne, si confrontano, si scontrano e s’incrociano, in un’inedita esposizione, amore e morte sotto forma di cuori e vanitas, dove la serietà del tema viene anche stemperata e addolcita dalla bellezza e dalla bizzarria di un repertorio tra riflessione e meraviglia. Ne abbiamo chiesto al prof. Sergio Baroni, ideatore della mostra.

Da dove è venuta l’idea di accostare cuori e vanitas?

Il cuore e il teschio-vanitas rappresentano due icone intramontabili, in quanto temi fondanti della condizione umana: il cuore simbolo di eros, forza creatrice, amore e il teschio simbolo di thanatos, distruzione, impermanenza, sono apparentemente contrapposti, in realtà indissolubilmente intrecciati nel ciclo vita-morte. Da qui l’idea di una mostra che unisse gli “opposti”.

Il cuore come simbolo, metafora, feticcio, letteratura, è abbastanza conosciuto, mentre le vanitas sono meno note: ce ne può descrivere la storia e i significati?

Se sono meno conosciute forse è perché si tratta di un termine poco usato, ma le vanitas pervadono la storia, anche quella odierna. Nel libro dell’Ecclesiaste leggiamo “Vanitas vanitatum omnia vanitas” (vanità delle vanità: tutto è vanità), da cui il termine che si usa da secoli per indicare l’effimera condizione umana, la caducità della vita, rimandando al mistero della morte, sentito in ogni civiltà, occidentale e orientale. Nell’ampio repertorio di simboli, il teschio, assieme allo scheletro, è il più rappresentato e da qui nasce la nostra scelta per la mostra, ossia di concentrarci sul teschio-vanitas. È un tema che raggiunge il suo apogeo nel Seicento, con numerosi simboli, come lo specchio, la clessidra, gli strumenti musicali, la frutta bacata, fra i quali il teschio rimane il principale, tanto da giungere alla contemporaneità nelle espressioni più disparate, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia ai fumetti… I teschi e gli scheletri appartengono all’immaginario di ogni società, dalla preistoria fino all’epoca moderna, anche se oggi il teschio è spesso lontano dalle implicazioni originali, svuotato dalle valenze simboliche ed escatologiche (soprattutto quelle ecclesiastiche) per diventare un semplice cranio o un cliché di morte, pericolo o provocazione. Tanto da approdare su gadget di ogni genere e accessori moda, assumendo spesso le sembianze del teschio con le tibie incrociate dei pirati.

Vanitas può avere una doppia accezione, quella di carattere etico e penitenziale e quello, invece, edonistico di piacere e lusso, non per niente una nota casa di moda ha chiamato una sua collezione “Vanitas”…

L’accezione originaria è quella del memento mori: ricordati che devi morire; che poi in realtà è un incitamento alla vita, al carpe diem. La mostra presenta l’icona nelle sue differenti accezioni: per le opere di antiquariato ricordo il teschio di Adamo su cui dorme il Bambin Gesù in una scultura e in un dipinto seicenteschi; una collezione di circa 100 teschi di epoca, materiali e funzioni diverse; gli elemosinieri e gli stendardi della confraternita delle Buona Morte e molto altro ancora, fra cui dipinti sei e settecenteschi. Alle opere antiche si aggiungono quelle moderne e quelle degli artisti contemporanei selezionati e ospitati dalla galleria, come la Vanitas di Bertozzi e Casoni, mix fra le diverse accezioni cui lei faceva riferimento, con il piglio ironico e originale che contraddistingue i due famosi ceramisti romagnoli. Ancor più lontano dal significato originario sono il cranio in corda di canapa dell’artista Jim, di ispirazione etnica, e l’opera Diagnosi incerta di Alessandro Papetti, che include perfino una radiografia cranica. Le accezioni sono dunque molte e aperte a ulteriori sviluppi.

Anche il simbolo del cuore attiene a una doppia valenza, da una parte sentimentale, ascetica e religiosa, dall’altra sensuale e sessuale…

Certo, anche il cuore assume significati diversi a seconda del contesto. La prima grande divisione è tra oggetti di concezione laica e oggetti di concezione religiosa. Ricordo innanzitutto il cuore sacro di Gesù , trafitto e incoronato di spine, dal significato sì religioso ma poi anche politico. È un’iconografia apparsa all’inizio del Seicento, che viene in seguito investita di implicazioni reazionarie, in quanto vessillo in difesa della Chiesa cattolica da parte di pontefici e correnti (come quella vandeana) di fronte alla laicizzazione innescata dagli ideali della Rivoluzione francese. Citerei poi il cuore addolorato di Maria, che in mostra troviamo raffigurati in un unico dipinto sottovetro di provenienza siciliana; e ancora, i cuori simboli iconografici di alcuni santi, come quello trafitto di Teresa d’Avila, di reminiscenza classica. Si aggiungono, sempre in ambito religioso, oggetti d’uso a forma di cuore, come un elemosiniere o le scatole da cucito delle suore. Il cuore simbolo di eros pagano è invece rappresentato in una rara e preziosissima specchiera di grandi dimensioni, che fu dono di nozze nella Venezia del Settecento: in legno dorato con otto cuori rossi laccati decorati a cineserie. Tutti di natura laica sono invece i cuori degli artisti contemporanei, che spaziano da quelli ironici e ludici in ceramica di Faenza a cuori in marmo, in acciaio, in bronzo, ognuno con una storia particolare e un’accezione diversa in base all’ispirazione dell’artista. Nella mostra fa capolino anche la fotografia, con le “configurazioni provvisorie”, di grande forza estetica e simbolica, opera di Emma Vitti.

C’è un filone dell’arte contemporanea che si può ricondurre al tema della vanitas?

Assolutamente sì, come accennavo prima. Il simbolo della vanitas, in particolare con il teschio, ha esercitato una tale fascinazione da diventare moda, con i pro e i contro. Sono innumerevoli gli artisti, anche di grande calibro, che lo hanno reinterpretato, troppi per citarli. Ne voglio ricordare uno, per l’impatto che ha avuto nell’immaginario collettivo: Damian Hirst, con il suo For the love of God, il teschio tempestato da quasi 1000 diamanti, irriverente simbolo del lusso sfrenato.

Quali sono i pezzi della mostra che meritano una particolare attenzione?

Sicuramente la specchiera sopracitata, direi un pezzo unico e di pregio museale, così come la collezione di teschi antichi e moderni, oltre ad alcuni dipinti. Fra gli artisti contemporanei ho citato i più famosi, ma sono molti di più e tutti presentano opere apprezzabili per la loro fattura, il piglio creativo e la piacevolezza di oggetti che possono abbellire e valorizzare l’atmosfera di uno spazio.

Gli oggetti presentati dalla mostra, oltre che all’antropologia, all’iconologia e alla storia dell’arte, possono avere un’incidenza nell’antiquariato e nel suo “mercato”?

Direi di sì, esiste da sempre un collezionismo che ha interesse intramontabile per questi temi e oggi a questo si aggiunge il gusto per l’oggetto unico, soprattutto se tocca corde profonde dell’animo umano come queste due icone.