La mostra pittorica di Simone Pellegrini si muove in uno spazio di silenzio nel quale i confini fisici si dileguano e prendono forma situazioni interiori. La sua personale si sottrae alle parole senza per questo nascondere l’afonia del suo procedere. Con la mostra di Pellegrini si accede a un luogo intimo, ma allo stesso tempo alla rappresentazione di una stanza: la stanza dell’"esausto" di deleuziana memoria, uno spazio disertato e deserto pur essendo storicamente determinato.

Uno slittamento simbolico atopico, una tensione urgente e friabile che oltrepassa i margini di quanto è indagato: l'incedere di Pellegrini è un lento movimento che sbiadisce ogni trama identitaria, è una narrazione che al massimo della sua estensione collassa su se stessa come una verginità tragicamente ricostruita pur nella consapevolezza della sua erosione.

La carta sui cui l'artista incide il suo segno presenta un rigore non specialistico che rinuncia a virtuosismi tecnici perché aperto a fenditure di senso. È una ricerca dolorante nel quale l'umano si compone e si deforma come frammenti di un intero perduto. Fluttuazioni di passaggio, transito di corpi scissi che eccedono in un'ermeneutica del desiderio portato alla sua saturazione.

Muovendosi senza artificio e refrattario a ogni esteriore chiarità, Pellegrini si arrischia nell'impercorso e indugia in una feritoia che rende coscienti, tutti, della limitatezza dell'orizzonte umano: l'essere scarnificati nonostante l'incombenza del corpo. Non produzione e nemmeno compimento, ma un'immanenza sempre fuori luogo perché senza origine e fondamento, come un oltre-vuoto desertico in cui non si può far altro che abdicare a un perenne errare.

L'artista spinge il magma stratificato dei segni e non arretra di fronte al καιρός dell'umano, non espone la scena mansueta del cosmo, ma il suo significante originario. Con un'umiltà che non è principio morale ma elemento filosofico si pone di fronte all'abisso innominato del reale ed è in questo suo sprofondare che riesce a trasformare lo stos ustionante dell'esistente in poesia, elevando a dignità lirica la melanconia di una totalità ormai lacerata.

Sacralità cosmo-agònica quella di Pellegrini, irrimediabilmente compromessa da un'innocenza votata al suo deteriorarsi.

Testo a cura di Claudia De Luca, Associazione Culturale Artierranti

Simone Pellegrini è nato ad Ancona nel 1972. Vive e lavora a Bologna. Ha esposto in numerose sedi pubbliche e private. È docente di Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna.