Lucio Fontana (1899‐ 1968), Piero Dorazio (1927‐2005), Enrico Castellani (n. 1930), Paolo Scheggi (1940‐1971), Rodolfo Aricò (1930‐2002), sono i cinque indiscussi interpreti della mostra Postwar.

Protagonisti italiani, alla Collezione Peggy Guggenheim dal 23 febbraio al 15 aprile 2013. Un percorso espositivo, a cura di Luca Massimo Barbero, che “rilegge” l’idea di arte italiana a partire dal superamento dell’Informale. Gli artisti presenti, utilizzando il linguaggio pittorico degli appena nati anni Sessanta, portarono agli occhi del pubblico internazionale la scena artistica italiana che tramite un nuovo modo di dipingere utilizzò la forza cromatica e la simbologia del monocromo come elementi visivi e concettuali. L’esposizione, che si sviluppa cronologicamente sala per sala, intende presentare al pubblico la sperimentazione di ciascun autore, dimostrando come, proprio a partire da Fontana, le generazioni successive abbiano raggiunto pienamente un linguaggio pittorico personale in un momento ben specifico della loro produzione, tra gli anni ‘60 e ’70 del XX secolo.

Postwar. Protagonisti italiani riserva al pubblico due preziosi momenti. Un particolare omaggio a Paolo Scheggi, artista toscano prematuramente scomparso, che il grande pubblico riscopre in questa occasione riconoscendone l'attualità di sperimentatore dalla profonda sensibilità artistica, in mostra con otto lavori, tra cui Intersuperficie curva bianca del 1963, opera recentemente donata al museo veneziano da Franca e Cosima Scheggi. Uno speciale approfondimento è riservato a Rodolfo Aricò, in concomitanza con la realizzazione di una pubblicazione sulla sua produzione artistica degli anni ’60, a cura dell’Archivio Rodolfo Aricò, grazie alla cui collaborazione sono state realizzate le due sale a lui dedicate.

Lucio Fontana apre l’esposizione in veste di padre ideale delle ricerche artistiche contemporanee del secondo dopoguerra italiano e internazionale. Insieme ad alcune tele emblematiche del suo percorso, come Concetto spaziale del 1951 e Concetto spaziale del 1957, preziose opere da poco donate alla Collezione Peggy Guggenheim, che incarnano, rispettivamente, l’invenzione monocroma del concetto spaziale “buchi” e la sua opera più propriamente materica, realizzata con pietre, interpretabili come chiaro “residuo” dell’Informale, è presente nella sala a lui dedicata Quanta (1960), magistrale lavoro proveniente dalla Fondazione Lucio Fontana, Milano. Si tratta di 9 elementi rossi tridimensionali, una sorta di costellazione con buchi e tagli e che anticipano le “shaped canvases”, tele sagomate tipiche dell’arte americana di quegli anni. Nella sua essenzialità concettuale, questo lavoro dialoga in contrappunto con le ceramiche “barocche” degli anni ’50, tra cui emergono tre piatti la cui creatività è in bilico tra il Barocco e la grande deflagrazione dell’Informale.

Il percorso prosegue con cinque opere di Piero Dorazio, tra i fondatori della pittura astratta italiana, che, accuratamente selezionate e in parte provenienti dall’Archivio Dorazio, presentano al pubblico la sua ricerca artistica tra il 1962 e il 1965. I suoi reticoli ottici e strutturali si espandono sulla tela, come in Antelucano del 1962, a illustrare una luminosità e un percorso rigoroso del segno che si articola in incroci ma soprattutto in colore. La ricerca astratta dell’artista emerge con vigore nel dipinto Mar maraviglia sempre del ’62, così come in Unitas del 1965, opera appartenente alla collezione di Peggy Guggenheim, perno di questa seconda sala insieme a Durante l’incertezza (1965), una tela monumentale (320 cm di base), una sorta di risposta alle dimensioni murali della pittura americana di questi stessi anni, e prova del costante dialogo dell’artista con gli Stati Uniti.

Superficie, sintesi e grande oggettivazione della ricerca sono il risultato della sala dedicata a Enrico Castellani, tra i maggiori interpreti dell’arte italiana contemporanea. Fondatore della rivista Azimuth insieme a Piero Manzoni, dopo le prime esperienze di carattere informale, si fa promotore proprio insieme a Manzoni, di un azzeramento totale dell’esperienza artistica precedente con l’utilizzo di tele monocrome, spesso totalmente bianche ed estroflesse in modo da creare effetti di luce e ombra cangianti con l’inclinazione della sorgente luminosa. La sala dedicata all’artista catalizza lo sguardo dell’osservatore sull’ipnotica Superficie angolare rossa (1961), proveniente dall’Archivio Castellani, Milano, esposta accanto a Superficie bianca del 1967, e Superficie bianca del 1974, qui esposta al pubblico per la prima volta.

La sala di Scheggi presenta invece un progetto allestitivo intenso e originale, che riporta all’attenzione del grande pubblico le innovative ricerche visive dell’artista toscano. Su una parete scorrono le tre Intersuperfici bianche a cui fanno da contraltare le tre Intersuperfici della cromia nera. Ai due estremi opposti della sala Intersuperficie Curva Arancio (1969), e Intersuperficie curva rossa, che creano un forte effetto cromatico. Formate da tre tele sovrapposte, solcate da aperture ellittiche o circolari, le sue opere si chiamano Intersuperfici: il nome rimanda infatti al percorso che lo sguardo compie attraverso i diversi piani che le compongono, alludendo all’interazione dello spettatore con esse. Al contempo, il monocromo che le caratterizza rappresenta sia il trait d’union tra le ricerche di Fontana e quelle delle generazioni nate tra gli anni ’30 e ’40 del ‘900, sia il linguaggio attraverso cui superare la grande onda dell’Informale, tornando alle sorgenti delle avanguardie storiche. In concomitanza con questa riscoperta dell’artista alla Collezione Peggy Guggenheim, anche il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ospiterà dal 23 marzo 2013 un sua personale dal titolo Paolo Scheggi. Intercamera plastica e altre storie, in occasione della donazione al museo toscano dell’opera Intercamera plastica (1967) da parte di Franca e Cosima Scheggi.

Chiude il percorso espositivo l’approfondimento dedicato ad Aricò, il cui lavoro si caratterizza per una sintassi razionale ed espressiva che coniuga rigore strutturale e sensibilità cromatica. Le due sale a lui dedicate si concentrano sulle opere, realizzate tra il 1966 e il 1970, che vedono la definizione della sua particolarissima pittura oggettuale: quelle “shaped canvases” che l’artista matura confrontandosi con le indagini internazionali sulla riduzione espressiva, dall’Astrazione Post‐pittorica di Morris Louis e Kenneth Noland, alle volumetrie strutturali e primarie del Minimalismo di Donald Judd e Sol LeWitt. L’origine delle forme di Aricò è una sorta di grande nuova meditazione contemporanea della cultura visiva europea: un percorso a ritroso, che parte dalle avanguardie storiche d’inizio ’900 per approdare alla relazione attiva con la pittura prospettica rinascimentale di Paolo Uccello, espressa dall’opera che porta proprio il nome dell’artista fiorentino, Studio 2. Paolo Uccello (1970). Con questo omaggio, l’opera di Aricò fa ritorno a Venezia rinnovando il suo appuntamento ricorrente con una città che in più occasioni lo ha accompagnato nelle fasi cruciali del suo percorso, dall’importante antologica di Palazzo Grassi (1974) alle ripetute partecipazioni alla Biennale Internazionale d’Arte (1964, 1968, 1980 e 1986).

La mostra gode del sostegno della Regione del Veneto e di Intrapresae Collezione Guggenheim. Con la collaborazione di Corriere della Sera, Radio Italia è media partner. Hangar Design Group ha curato l’immagine coordinata per la comunicazione.

Collezione Peggy Guggenheim
Palazzo Venier dei Leoni
Dorsoduro, 701
Venezia 30123 Italia
Tel. +39 041 2405 411
Fax +39 041 520 6885
www.guggenheim‐venice.it

Orario di apertura
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
Chiuso il martedì

Immagini correlate

  1. Rodolfo Aricò (1930-2002) Scatola orfica/Orphic Box, 1969 Olio su tela/Oil on canvas 64,5x90 cm Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano/Milan Foto/Ph. Bruno Bani, Milano © Archivio Rodolfo Aricò, Milano
  2. Lucio Fontana (1899-1968) Concetto spaziale/Spatial Concept, 1957 Terracotta altezza/in high 22 cm Collezione privata/Private Collection, Venezia/Venice © Fondazione Lucio Fontana, Milano, by SIAE 2013
  3. Rodolfo Aricò (1930-2002) L'oggetto tenebroso di Paolo Uccello/The Obscure Object of Paolo Uccello, 1970 Olio su tela/Oil on canvas 48x96 cm Courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano Foto/Ph. Bruno Bani, Milano © Archivio Rodolfo Aricò, Milano
  4. Enrico Castellani (1930) Superficie Blu/Blue Surface, 1977 Acrilico su tela/Acrylic on canvas cm 100x100 Collezione Privata/Private Collection, Milano/Milan © Enrico Castellani, by SIAE 2013
  5. Lucio Fontana (1899-1968) Concetto spaziale/Spatial Concept, 1951 Olio su tela/Oil on canvas cm 85,1x66 Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezi/Venice Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito/ bequest of Hannelore B. Schulhof, 2012 © Fondazione Lucio Fontana, Milano, by SIAE 2013
  6. Enrico Castellani (1930) Superficie bianca/White Surface, 1967 Acrilico su tela/Acrylic on canvas cm 180 x 180 Collezione privata/Private Collection, Milano/Milan © Enrico Castellani, by SIAE 2013