Carattere emotivo e irrequieto, occhiali tondi e capelli ricci, pieno di energia e capace di dipingere un nuovo mondo con i suoi murales. Così viene delineata la figura di uno dei padri della street art che ha colorato la New York degli anni Ottanta: Keith Haring. Milano ospita la sua prima grande personale con 110 opere dal titolo: Keith Haring About Art, fino al 18 giugno a Palazzo Reale. La sua contagiosa energia e creatività ha già fatto registrare record di biglietti nei primi due mesi di apertura della mostra: grandi e piccoli, tutti in fila per ammirare l’artista, divoratore di immagini, per eccellenza.

Un mondo incantato, quello di Keith, popolato da immagini colorate, evocatrici di un’arte tribale, etnografica, ben sintetizzata con il linguaggio gotico o del cartoonism del suo tempo. In tutte le sale della mostra si percepisce la passione e la curiosità che questo giovane writer nutriva verso la realtà: mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare. Per lui, l’arte rappresentava una vera e propria testimonianza di una verità interiore, più profonda, che poneva al centro l’uomo e la sua condizione sociale e individuale.

Il curatore della mostra, Gianni Mercurio, sottolinea come l’importanza di Keith Haring sia stata quella di avviare un processo di rigenerazione, partendo dall’analisi dell’arte del passando, facendo coincidere il non finito con ciò che è perenne e immortale, “senza fine”. Il suo contributo è stato quello di essersi saputo muovere consapevolmente nel solco della tradizione, senza mai concentrarsi su una corrente specifica per guardare invece all’arte nella sua complessità. Questo, sempre secondo il curatore Mercurio, spiegherebbe la quantità di frammenti presenti in molti suoi lavori: non è mai la parte a interessargli, ma il tutto. “Come altri artisti della sua generazione, nel decennio che vede l’ascesa del postmoderno, Haring ha elaborato un’estetica che tiene conto delle tante forme espressive della sua generazione. Musica, danza, teatro, letteratura e poesia hanno esercitato una forte influenza sia sulle sue scelte formali, sia sul modo di rapportarsi al linguaggio della pittura”.

Le sei sezioni in cui è articolata la mostra incarnano perfettamente lo spirito poliedrico e versatile dell’artista, spaziando dall’Umanesimo all’Immaginario Fantastico, dal Moderno postmoderno all’Etnografismo, dal Mito alla Performance, dalla Pop art all’arte Concettuale. Riuscire a collegare sapientemente tutti questi mondi, apparentemente distanti, è un’abilità che bisogna saper apprezzare e riconoscere: l’artista stesso si definiva un anello di catena e veniva definito come creatore di relazioni tra epoche e culture, generatore di simboli. Sento che in qualche modo potrei continuare una ricerca, un’esplorazione che altri pittori hanno iniziato e non sono stati in grado di portare a termine – appunta nel suo diario –, perché hanno progredito verso altre idee, come anch’io farò, o forse per il crudele semplice fatto della morte. […] Ogni vero artista lascia formulazioni irrisolte, ricerche interrotte. […] Io non sono un inizio, non sono una fine. Sono un anello di una catena. La robustezza della catena dipende dai miei stessi contributi, cosi come dai contributi di quelli che vengono prima e dopo di me.

Tutte le sue opere suscitano un’emozione nello spettatore anche molto ludica, stimolando creatività e immaginazione per tutte le differenti età! L’arte è per tutti.