“Non sono un paesaggista, non sono un ritrattista. Mi alzo la mattina e solo allora decido cosa fare”.

Con queste parole che attestano la sua genialità immediata e spontanea, Maurizio Galimberti, l’lnstant Dada Artist italiano per eccellenza, inizia a raccontarsi nel film a lui dedicato che, fino al 12 maggio, accompagna la sua mostra, dal titolo Paesaggio Italia, allestita a Palazzo Franchetti a Venezia. L’esposizione raccoglie nei vasti saloni più di 150 immagini, sintesi della sua ampia ricerca artistica dedicata al Grand Tour ed è accompagnata dal catalogo, edito da Marsilio e dal video documentario che fa parte della collana sui grandi della fotografia italiana, prodotta da GiArt di Bologna ed editata da Contrasto nel 2010.

Nel 1983 nasce in Galimberti la passione-ossessione per la Polaroid e ben presto con il suo lavoro diventa testimonial della Polaroid Italia. I suoi ritratti a mosaico, frutto di una sua tecnica peculiare e di una naturale maestria nell’armonia della composizione gli aprono il mondo del collezionismo internazionale. La sua fotografia non ha confini e la sua visione spazia tra gli scorci, gli oggetti, i volti, i paesaggi italiani, la gente o le città del mondo, tanti scenari piccoli e grandi che si trasformano in poesie scritte con la fotografia. Dal 2011 continua il suo viaggio di sperimentazione cimentandosi con Impossible, il nuovo brand produttore di instant film.

MC: Ma come nascono le istantanee di Galimberti ?
MG: È vero quello che ho detto nel film. Quando mi alzo, apro la finestra e, in base alla luce che vedo o al paesaggio che mi circonda e anche all’umore, stabilisco cosa fotografare. Lo posso fare solo nei giorni in cui non ho da realizzare i ritratti o i lavori commissionati.

MC: Hai dichiarato più volte che cerchi l’imperfetto che ti sorprende e il pathos. Cosa significa?
MG: Non mi piacciono le immagini accademiche perché le fotografie devono avere un’apertura, quel qualcosa che porta lo spettatore verso una personale interpretazione e un’emozionalità. E l’emozione è fondamentale sia quando si realizza l’immagine, sia quando la si rivede pubblicata o in mostra o in casa di qualcuno. Se non c’è emozione non c’è immagine.

MC: Cerchi sempre una realtà positiva?
MG: Non fotografo conflitti e non sono un fotoreporter ma anche in luoghi come il Messico dove può esserci povertà e problemi sociali, credo che spesso giudichiamo le situazioni con i nostri parametri occidentali di ricchezza e povertà. Io invece cerco la positività e la dignità delle persone, voglio raccontare questo mondo e la poesia della vita.

MC: Qual è la prima fotografia che hai scattato e che ti è rimasta nel cuore ?
MG: Ce ne sono molte. In ordine di tempo il ritratto fatto a mio figlio, la prima Polaroid del 1989. Poi il mosaico della Vucciria, scattato a Palermo del ’92 e il ritratto di Johnny Depp realizzato del 2003 alla Mostra del Cinema di Venezia e pubblicato sul Times magazine inglese del 27 settembre dello stesso anno.

MC: Hai fotografato città come New York. Che impressione hai avuto di questa grandiosa metropoli?
MG: A New York sono rimasto stupito dalla maestosità. Negli scatti singoli racconto l’umanità anche attraverso la manipolazione e il frottage per dare un timbro energetico e gioioso. Nei mosaici evinco la mia passione per il design e l’architettura e, quando i soggetti sono palazzi, grattacieli, musei come il Guggenheim o le file di taxi, cerco con le Polaroid di comporre una sinfonia, un’armonia musicale.

MC: E i paesaggi italiani?
MG: A Venezia, per esempio, l’architettura ti coinvolge per la sua forza mentre a New York la città sorprende per la sua luce, i suoi cieli, elementi naturali che si mischiano con la mano dell’uomo. New York è più cosmica e Venezia è più intima e più raccolta. Comunque raccontare l’Italia per me corrisponde al vivere quotidiano, alla provincia, alla campagna, alla bellezza, alla leggerezza.

MC: Come si forma il ritratto in Polaroid ?
MG: Il ritratto parte da un movimento e da un prolungamento dei ritmi. Il soggetto è fermo e, attraverso la scansione in Polaroid, creo il movimento. L’immobilismo dà la forza del ritratto. E la rapidità e l’abilità della composizione sono fondamentali. A livello emozionale, è come rubare l’anima per cinque minuti, il tempo dello shooting e restituirla con 50 tessere di Polaroid per sempre. Non ho mai avuto il problema del mito o dell’imbarazzo di fronte alle star come, per esempio, Robert De Niro. Anche quando ho fotografato Lalla Romano, una delle prime grandi personalità dei miei ritratti, la situazione era molto difficile. Lei manifestava un silenzio quasi tragico, doloroso e cercava di allontanarmi. Anche in quel caso ho superato l’impasse guardando questa importante figura della cultura italiana come una meravigliosa nonna alla quale dovevo fare un ritratto.

D: E il nuovo percorso con Impossible?
R. “ Queste nuove pellicole a colori sono interessanti e anche le piccole imperfezioni rappresentano un momento epocale. Per le mie sperimentazioni le Impossible fanno parte di un momento storico sia dal punto di vista del lavoro che del collezionismo. L’unica differenza è che ci vuole molto più tempo per lo sviluppo. Prima, per vedere un ritratto, ci volevano cinque minuti e ora si deve aspettare mezz’ora ma l’attesa crea suspense e spettacolo. Da non dimenticare che per fare i paesaggi esistono anche le Fuji a colori. Delle Polaroid mi manca la grande possibilità di manipolazione data dal fatto che erano più morbide rispetto alle Impossible, ma la sperimentazione offre sempre nuove strade.

MC: Stai lavorando a nuovi progetti?
MG: Sì. Tutto nasce dall’incontro con Arianna, una modella molto brava che sta diventando un po’ una mia musa ispiratrice. Con lei penso al concetto delle avanguardie, a Man Ray, ad Alice Prin, più nota come Kiki de Montparnasse, a Juliette, e poi ci metto la mia progettualità, il movimento, il ritmo, il ritratto, la manipolazione, il giocare con il soggetto. Il lavoro si chiama Aridadagalimba. Utilizzo tutte le tecnologie e le pellicole, sia quelle vecchie che quelle nuove e, da quasi un anno, con grande sintonia, abbiamo scattato a Milano, a New York, a Parigi e ora siamo in partenza per il Messico. L‘idea è di costruirci una mostra e un volume. Io non ho mai amato né il nudo né la moda, né il glamour ma con Arianna posso concentrarmi sulle tre tematiche, mettendoci la mia visione d’artista. Nel Castello medievale di Montecchio Emilia fino a fine maggio è in corso Polaroid, una mostra di mie opere che fanno parte di collezioni private ed è un’esposizione parallela al circuito di Fotografia Europea 2013 di Reggio Emila.

Le immagini di Arianna Grimoldi sono della serie "AriDadaKalimba" un progetto work in progress.
Le immagini in bianco e nero sono le nuove emulsioni di IMPOSSIBLE film.

Per maggiori informazioni:
www.civitatrevenezie.it