Attualmente il mercato dell’arte italiana rischia di viziare la storia, includendo o escludendo in modo fazioso i protagonisti degli anni Sessanta; da una parte osanna i pittori popists e gli artisti cinetici, ma dal-l’altra tralascia ingiustamente quelli infor-mali. È per questo motivo che il MAC di Lissone desidera riconsiderare la figura di Luigi Boille [Pordenone, 1926 ~ Roma, 2015] che in quegli anni ha avuto un ruolo centrale nel rinnovamento del linguaggio pittorico grazie a uno stile inconfondibile che gli ha permesso di affermarsi a livello internazionale.

Rispetto alla grande pletora dei pittori ta-chistes, Boille si differenziava per un trat-to (o se si preferisce: una “traccia”) in cui il gesto si converte in segno, riuscendo a trasferire nella pittura l’automatismo del-la scrittura. Al pari di un Giuseppe Capo-grossi o di un Mark Tobey, Boille non si abbandonava all’irruenza dell’informel, aspirava semmai a definire un ordito di colori: una cosmogonia di luce-materia.

La selezione di opere qui proposta è rap-presentativa del periodo di maggiore in-tensità espressiva dell’artista e del suo progressivo tentativo di mettere a punto un fraseggio pittorico assolutamente ori-ginale. I quadri esposti mostrano infatti il passaggio da una gestualità rarefatta a una più serrata, ove le campiture dense e scure cedono il passo a cromie vivaci e guizzanti.

Il decennio dei Sessanta rappresenta uno snodo fondamentale per comprendere il linguaggio – tecnico ma anche poetico – di Boille, sia dal punto di vista artistico sia sotto il profilo umano. Annoverato nella Jeune École de Paris e cooptato nel-le ricerche dell’Art autre vaticinate da Mi-chel Tapié, Boille visse a Parigi fino al ‘65, dopodiché coronò il suo ritorno in Italia con una sala personale alla XXXIII Bien-nale di Venezia. Ed è proprio su questo spartiacque che si concentra la selezione proposta in collaborazione con l’Archivio Boille di Roma, puntando l’attenzione su un decennio saliente che enuclea ed e-strinseca la pittura filamentosa dell’ar-tista, mettendo in evidenza quel suo at-teggiamento integerrimo, che l’ha premia-to e allo stesso tempo isolato. Luigi Boille non ha mai assecondato le mode, né ha mai sconfessato il suo impe-gno ideologico; benché fosse stimato da Alloway, Yoshihara, Jaguer, Tapié, Resta-ny e Argan (solo per fare alcuni nomi), Boille è un pittore che soltanto oggi pos-siamo apprezzare e comprendere appie-no. Il desiderio di riscoprire la sua para-bola artistica è anche un invito a riscrive-re un importante capitolo del secolo scor-so, oltre che un’inderogabile occasione per emendare gli errori commessi in pas-sato (nel 1961 l’artista si aggiudicò uno dei dodici premi acquisto del XII Premio Lissone, riconoscimento di cui non poté beneficiare a causa di alcuni cavilli buro-cratici).

Poiché Luigi Boille ha saputo imprimere la propria “traccia” al corso degli eventi, il MAC di Lissone vuole rendergli omaggio con una mostra che ne valorizzi le pecu-liarità segniche e coloristiche.