Una valchiria di colori e forme, lo sguardo viene vorticosamente risucchiato, coloratissimo, luminosissimo, e preziosissimo aggiungo. E’ questione di superlativi. Se il futuro è domani, e oggi è già domani, siamo in un life continuum inarrestabile, e la spinta verso il futuro e il progresso, il movimento dello slancio in avanti qualcuno nei primi anni del Novecento l’aveva capito, soprattutto in ambito artistico.

L’Europa nei primi decenni del XX secolo fu investita da bollenti idee, le Avanguardie infiammarono letteralmente il panorama artistico, in Italia prese vita il movimento futurista che in pittura vedrà il proprio manifesto nel 1910, redatto da nomi come Boccioni, Balla, e Carrà. Di quest’ultimo uomo e dei suoi interessanti operati si parla appunto in occasione della mostra che ha sede nella dotta città felsinea. Una trentina di collage in anteprima mondiale, mai esposti a livello museale; i collage di Balla approdano in via del tutto eccezionale a Bologna, un’occasione del tutto unica per respirare artwork made in Italy, e per scoprire un autentico genio italiano. Mondialmente riconosciuti come un centinaio, la galleria espone metà dei collage dell’artista futurista italiano.

La mostra si estende in tre sale, i collage vanno dal 1914 al 1925 circa, ed è completata dalla sezione “Giacomo Balla” dedicata all’uomo e all’artista con circa 25 opere dal 1904 agli anni ’30. Balla, torinese di nascita, inizialmente si formò nell’ambito della pittura paesistica dell’Ottocento piemontese, in seguito, arrivato a Roma, si interessò all’opera divisionista di artisti come Previati e Pellizza da Volpedo; sarà appunto lo studio del colore e della luce a portare avanti la ricerca artistica dell’artista piemontese che si intreccerà alle conquiste dinamiche del nascente Futurismo. Nel periodo bellico, Balla sperimentò la tecnica del collage, come noto tecnica nata nel 1912 dai papiers-colléscon di Picasso e Braque, come il celebre Natura morta con sedia impagliata; con l’esigenza di rivoluzionare lo spazio nella tela, l’esigenza di soluzioni extrapittoriche erano ormai fondamentali. Come anche notò Meyer Schapiro, già l’Impressionismo trasformò il principio di verosimiglianza mimetica dell’immagine in una scelta espressiva arbitraria, avvicinando il sistema di rappresentazione figurativa a quello artificiale della lingua, in cui un oggetto viene associato a un nome convenzionale. La sostanza espressiva arbitraria costituisce la poesia dell’immagine, il suo aspetto musicale più che mimetico.

Le composizioni di Balla tendono al colore, al suono, a linee, vortici, all’astrazione formale pura, mediante l’utilizzo di carte colorate: il medium diventa messaggio, come McLuhan sosterrebbe. La presenza diretta del reale con la tecnica del collage evidenza il bisogno di extrapittoricità pur rimanendo legata alla bidimensionalità della pittura, le carte colorate di Balla sono sì, elementi antipittorici, ma allo stesso tempo allargamenti del discorso pittorico stesso.

La mostra si apre con la prima sala, con i collage dal 1914 al 1917, e ci si trova innanzi a titoli significativi, linee di velocità più forme e rumore, figure più paesaggi, linee di spazio, linee andamentali, linee spaziali, bagliori che richiamano l’interesse dell’artista ai meccanismi naturali organici, paesaggi geometrici, linee forza più esplosione, energia.

Titoli che diventano descrizione riassuntive ed esaustive delle forme plastiche, delle idee rivoluzionarie intorno al dinamismo, all’energia, sulle quali Balla costruiva la propria poetica, “Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari”, espressione che trova riferimento nei più celebri dipinti dell’artista come Lampada ad arco, 1909, Bambina moltiplicato balcone del 1912 e Guinzaglio in moto sempre del 1912.

I collage con tempera su cartone esibiscono colori terrosi, ma anche accesi, veri, rossi, blu, ocra, marroni, arancioni e gialli. E poi lo sguardo si incanta su Piedigrotta prima e poi La guerre. Piedrigrotta, del 1915 circa, è un collage di carta bianca, foglio argentato e olio su cartoncino, e la storia che rappresenta è sicuramente affascinante. Nel 1914 Cangiullo organizzò la performance collettiva futurista Piedigrotta volendo reinterpretare lo spirito carnevalesco della tradizione popolare napoletana in chiave avanguardista. Piedigrotta venne messa in scena presso la sede napoletana della Galleria Permanente Futurista Sprovieri in Via dei Mille con “declamazioni a più voci, corteo di scugnizzi, pianoforte, strumenti piedi grotteschi, fuochi d’artificio...”: un tripudio folkloristico. Balla realizzò la scenografia, e nel 1915 un bozzetto di costume, probabilmente pensando al ballerino Léonide Massine. Il personaggio è un uomo-orchestra partenopeo, un performer tipico del teatro di strada napoletano, riproposto poi anche da Totò in chiave cinematografica; viene celebrata quindi una sinestesia totale, dove suono e movimento si amalgamano in un tutt’uno.

Del 1916 invece è La guerre, olio e collage di carte colorate su cartone, uno dei quadri più importanti che è esposto in galleria: realizzato a collage anche per le difficoltà economiche del periodo bellico, fu acquistato da Serge Diaghilev, il patron dei ballets russes, per il suo ballerino Leonide Massine durate una tournée romana. Esempio di astrattismo storic,o come afferma il critico Maurizio Fagiolo dell’Arco, dove tutti gli stati d’animo, insidie, dimostrazioni e allegrie di guerra prendono forma plastica, il tutto con una straordinaria libertà spaziale. I gialli, i rossi, gli arancioni e i neri, attraverso linee spezzate e vorticose ci trasportano nel clima interventista di quegli anni.

Poi si arriva alla seconda sala con i collage del 1914-1920 e alla terza con i collage del 1920-1925, ed è tutto un susseguirsi di forme, colori, bagliori e paesaggi, di esplosioni di primavera con tanti formati cerchio. Perché il cerchio? Il cerchio come l’obiettivo fotografico, il cannocchiale, la ruota, il rosone di una cattedrale gotica, come astro, come infinito (il mandala orientale, l’universo che Balla sognava di ricostruire), il cerchio come gioco, come percezione assoluta dell’arte della semplicità: O di Giotto. E poi l’opera Colpo di Fucile del 1918, olio su tela,che evoca la sensazione provocata dall’irruzione improvvisa di un'energia sonora e cruenta in un paesaggio naturale, mediante la quale si rivela da un lato la rottura dell’equilibrio di forze in cui si regge la realtà dinamica di contrasti, dall’altro si manifesta in modo lampante l’assenza stessa del mondo naturale come energia silente, come spiega la curatrice Elena Gigli.

Quest’opera è anche un importante snodo, funge da collegamento tra le sezioni e introduce all’ultima, con lavori come Veduta di Villa Borghese dal balcone della casa di via Paisiello, splendido olio su tavola, o l’imponente e seducente, etereo e fluttuante precursore di certe energie e neon Ritratto di Signora, del 1907, un olio su tela superbo, elegante, raffinato, dove la luce si mescola alla fragranza di donna, luci filamentose che tessono l’anima femminile.

E ancora d’impatto visivo interessante Vortice e Motogirante, pastelli colorati su carta, sfumati e preziosi, che rappresentano i misteri del cielo e la scomposizione del movimento. E poi l’enumerazione continua imperterrita, eccoci davanti a Compenetrazioni spaziali, uno smalto su cartone, basico e lineare, per passare poi agli acquerelli e tempere più sinuosi, come i Fiori Futuristi o FuturFarfalle dai colori accesi e sgargianti. Di notevole interesse, troviamo esposta anche la scultura in bronzo di Mussolini, alta circa 29 cm e datata 1926, che riporta sul basamento: "Sono venuto a dare un governo all’Italia". Come ben scrisse Chiti ne L’impero del 3 Aprile 1926: "In questa statuetta vi sono modellate con grande abilità le linee di forza e nell’insieme l’equilibrio astratto di un concetto assoluto e imperioso."

Una mostra quindi preziosissima che dà la possibilità di conoscere altre opere d’arte esposte nella galleria, un menù ricercato ricco di nomi luminosi, di nomi faro della storia dell’arte; scendendo al piano inferiore si può saziare lo sguardo di noi famelici voyeur, con opere di Sironi, Hayez con la Barca dei greci fuggitivi, Bertelli, Protti, Corsi, con acqueforti di Morandi, sculture di Manzù, gli Innamorati sotto il lampione di Medardo Rosso, Messina, De Pisis, Ottone Rosai con Figure in città. Una coppia, mentre visitavo la mostra, dinanzi al quadro appena citato ha esordito con questo commento: "Guarda! Rosai, così poetico e sfumato!". Ed esce il sorriso, si gioisce nel vedere chi apprezza la bellezza e l’arte, e poi, continuando il giro, la galleria offre ancora Carrà, Dottori, Arturo Martini con una bellissima Pietà, uno splendido ed elegante Paggetto del ’38 di Severini, e poi diverse sculture di Mirella Guasti, dall’Emersione a Eva, all’omaggio a Pina Bausch in bronzo patinato. E poi ancora le Maschere di Chiancone, Ladies and Gentleman del ’75 di Andy Warhol, Crippa, Mandelli, Turcato, Pozzati, Falconi, Saetti, Sughi e Guttuso con le opere Nudi e Per il Caffè Greco.

Un giro che vale la pena, per scoprire piccoli grandi tesoretti, una pausa che ci si può, anzi ci si deve concedere durante la giornata, per distendere i sensi, regalando allo sguardo forme, stili e pensieri diversi: tra una pausa caffè e un’altra, proprio come nel collage di Balla esposto in vetrina, Autocaffè del 1929.

In collaborazione con Galleria d’arte Cinquantasei, a cura di Elena Gigli con il comitato scientifico composto da Claudio Spadoni ed Estemio Serri.