Due persone senza volto percorrono le scale di un palazzo. Entrambi camminano nella stessa direzione, ma uno dei due sale i gradini, l'altro li discende. Due mondi diversi in una identica superficie: possibile? E ancora: in un edificio ad archi aperto su un panorama di montagna e popolato da signori antichi, il fronte e il retro si confondono. Come si fa ad entrarci? Infine può succedere che fiori e foglie si mutino in animali, che gli animali diano origine a case e le case si trasfigurino in scacchiere.

Niente è assurdo per Maurits Cornelis Escher. Neanche vedere l'infinito, ingannare la prospettiva, risolvere il conflitto tra superficie e spazio senza bisogno degli occhiali 3d. "Io mi muovo sempre tra gli enigmi", spiegava lui. E proprio con questa frase comincia una mostra a Palazzo Blu, sull'Arno di Pisa, dove fino al 28 gennaio sono esposte più di cento opere del maestro olandese e dove tecnologie e soluzioni multimediali aiutano ad esplorare quelle illusioni visive, coinvolgendo il visitatore in un gioco quasi ipnotico tra solidi geometrici e architetture incredibili. D'altra parte Escher, che ha legato il suo genio creativo all'assoluta padronanza delle tecniche incisorie, non ha mai fatto mistero della sua ammirazione nei confronti delle leggi che regolano il nostro mondo.

Gravità e relatività sono temi scientifici che hanno attraversato il Novecento e sono anche i titoli di alcune delle sue opere 'impossibili'. La scoperta della quarta dimensione, quella del tempo, deve aver destato in lui la stessa meraviglia che in noi suscitano le sue Metamorfosi nel loro fluire costante dentro il limitato spazio di un foglio. Non potevano esserci dubbi, allora, sull'attenzione di fisici, matematici, ingegneri e logici alle sue costruzioni originali, ma in qualche modo scrupolosamente scientifiche. Per gli storici dell'arte, invece, Escher, il mago dei puzzle, è rimasto un puzzle da risolvere. Impossibile 'incasellarlo' in una delle molte correnti artistiche che hanno attraversato il secolo scorso, dal Cubismo al Dadaismo, dal Futurismo al Surrealismo. Nè lui ha mai sentito di farne parte, né ha stabilito un dialogo con gli artisti contemporanei, tranne forse Magritte, che dimostrava di apprezzare.

Riservato e schivo nella vita come nella sua attività, poteva restare giorni e giorni chiuso al quarto piano della casa romana di via Poerio, dove aveva stabilito il suo atelier. Il figlio maggiore, George, racconta che nessuno poteva entrare nella sua stanza durante il processo creativo e anche i rumori dovevano essere ridotti al minimo. Quando la porta si apriva, allora anche ai piccoli era permesso vedere il risultato del lavoro paterno. Ed erano disegni in cui la realtà diventava illusoria, pur essendo formulata col compasso e governata da armonie di tipo geometrico e matematico.

Dunque Escher era un geniale scienziato prestato all'arte? "Mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti", diceva lui. Ma in realtà le sue uniche conoscenze in campo scientifico venivano dal telescopio puntato sul cielo stellato che il padre aveva installato sul tetto della loro casa di Arnhem, in Olanda, durante la sua fanciullezza. "Non una volta mi diedero la sufficienza in matematica", ammetteva. E il suo disastroso curriculum scolastico lo conferma. In fondo Escher era il primo a stupirsi dell'interesse di illustri scienziati nei suoi confronti. Lui le teorie matematiche - che non conosceva - le applicava senza saperlo, fondendole in maniera immediata e forse anche ingenua con un'arte dal rigore geometrico.

"Può essere una sfida affascinante quella di cercare in Escher assonanze con i movimenti e le avanguardie del Novecento, interrogarsi sulle eventuali fonti", sottolinea il curatore della mostra di Palazzo Blu, Stefano Zuffi. "Anche questa esposizione non si sottrae al gioco delle analogie e dei rimandi. Ma alla fine si arriva sempre alla stessa conferma: Escher è un grande isolato".

In nove sezioni dedicate ai diversi temi della sua produzione, dai volti ai paesaggi, dalle geometrie alle architetture, la mostra Escher. Oltre il possibile segue l'intero percorso artistico del maestro olandese e, insieme, quello della sua vita. Una xilografia della giovane moglie Jetta, conosciuta a Ravello e sposata a Viareggio, è tra le sue prime incisioni. Il carattere introverso e timido della donna emergono attraverso linee verticali bianche e nere, i cui diversi intervalli donano luce e profondità. Molti i paesaggi, frutto di numerosi viaggi, anche avventurosi, che Escher amava compiere durante il suo lungo periodo in Italia insieme ad un gruppo di amici. Non solo la Toscana e la Campania, dove fu ammaliato da San Gimignano e dalla costa amalfitana, ma zone allora molto più impervie, come la Corsica, la Sicilia, la Calabria, gli Abruzzi, i cui paesi spesso erano raggiungibili solo arrampicandosi faticosamente attraverso mulattiere.

Una splendida litografia di Castrovalva, antico villaggio abruzzese, rievoca la precisione di Durer nel riprodurre piante e fiori, provenienti più dai libri di botanica e dalla fantasia che dalla realtà, ma ricorda anche un episodio che vide Escher protagonista in quel borgo, perché lì fu arrestato con l'accusa di aver preso parte al fallito attentato a Vittorio Emanuele III. Era stata una signora del paese a segnalarlo ai carabinieri, spaventata dal suo sguardo e insospettita dal fatto che non avesse partecipato alla processione del Corpus Domini del giorno precedente. Ovviamente l'artista fu rilasciato dopo poche ore.

Anche Pisa è stata una delle sue mete: una foto lo ritrae con Jetta in piazza del Duomo, mentre nella mostra di Palazzo Blu una formella proveniente dalla Cattedrale e un frammento di mosaico del Battistero mostrano una serie di sorprendenti affinità con i ritmi geometrici di Escher. Invece l'autoritratto in uno specchio sferico, oltre a farci entrare nel salotto della casa romana dell'artista e a suggerirci una 'citazione' dai Coniugi Arnolfini di Van Eyck, segna anche una svolta nella sua vita e nella sua arte. Disturbato dal clima politico di regime che si andava instaurando in Italia, Escher decide il trasferimento in Svizzera quando è costretto a far vestire il figlio George da Piccolo Balilla. Era il 1935. Dalla Svizzera si trasferirà poi in Belgio e infine farà ritorno nel suo Paese natale, l'Olanda. Ma una volta lasciata l' Italia, il suo interesse non andrà più verso l'ambiente esterno, quanto, piuttosto, verso il suo 'mondo interiore'.

È allora che nasce quell'esplorazione dei limiti della razionalità che lo ha reso famoso. È allora che diventano 'possibili' le 'architetture impossibili', come Su e giù, Balconata, Convesso e concavo, Galleria di stampe. Mai, comunque, nelle sue opere, sembra tradirlo un'emozione. Eppure la sua vita è passata attraverso due guerre mondiali, quattro diverse nazioni e tre figli. Di tutto questo niente trapela. Unica eccezione, forse, il grande Occhio, del 1946, nella cui pupilla traspare sinistramente un teschio. Si potrebbe immaginare un riferimento alla guerra appena conclusa, ma nel suo stesso commento all'opera, Escher non ammette divagazioni. E spiega: "La pupilla riflette l'immagine di colui che guarda noi tutti".

Probabile che proprio temi 'obiettivi e impersonali' - come lui stesso li definiva - trattati con metodi e strumenti espressivi quali l'incisione, di cui era signore assoluto, lo mettessero al riparo dagli orrori che lo circondavano e da quelle insicurezze e ansie personali che lo trascinavano più volte in stati depressivi. Meglio, molto meglio, le conquiste scientifiche. Se anche la Teoria della Relatività di Einstein e il Principio di Indeterminazione di Heisenberg apparivano paradossi e aprivano la strada a nuove incertezze sulle leggi che regolano il nostro universo, tuttavia quelle incertezze Escher riusciva a dominarle, trasformandole in giochi assurdi, qualche volta ambigui, magari anche onirici, dai quali nascevano mondi, forse non impossibili, ma oltre i confini del possibile. Con lui anche la matematica poteva diventare un'opinione. Artistica.