Noi vogliamo:
1) Distruggere il culto del passato, l'ossessione dell'antico, il pedantismo e il formalismo accademico.
2) Disprezzare profondamente ogni forma d'imitazione.
3) Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima.
4) Trarre coraggio e orgoglio dalla facile faccia di pazzia con cui si sferzano e s'imbavagliano gli innovatori.
5) Considerare i critici d'arte come inutili e dannosi.
6) Ribellarci contro la tirannia delle parole: armonia e di buon gusto, espressioni troppo elastiche, con le quali si potranno facilmente demolire l'opera di Rembrandt, quella di Goya e quella di Rodin.
7) Spazzar via dal campo ideale dell'arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.
8) Rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa. Siano sepolti i morti nelle più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!

Umberto Boccioni, Carlo Dalmazzo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini.

Il primo dipinto futurista, che incorpora magnificamente le passioni che animano il Manifesto della Pittura Futurista, ponendosi esso stesso quale vero Manifesto vivo di una rivoluzione culturale, è un dipinto divisionista: la Rissa in Galleria di Umberto Boccioni. Alla faccia degli attuali orgogli identitari locali o territoriali è quindi un pittore calabrese a interpretare in modo efficace e originalissimo il “nordico” spirito futurista e la stessa Milano quale nuovo mito di Progresso tecno-culturale.

Questo capolavoro di innovazione linguistica, conservato alla Pinacoteca di Brera, dimostra come la narratività di un’opera, il suo “percorso semantico”, la sua “struttura compositiva”, può benissimo andare oltre ogni discorso di tecnica, di stile e persino trasvolare lo stesso soggetto narrativo. Restiamo nel paradosso: un dipinto divisionista, quindi “passatista”, modaiolo e ormai un po’ rétro nel 1910, il quale esprime invece uno sguardo, uno spirito e una mentalità profondamente innovative, originalissime, futuriste.

Un dipinto magnetico, che esprime anche i pensieri di Marinetti sulle “energie sottili” tra mente e materia, che animano il divenire della vita. L’ho ribattezzato “Magnete d’Italia”, prendendo il nome da una mia poesia giovanile dedicata a Milano (99 Passioni, 1997), pensata pensando a come i futuristi avrebbero potuto ribattezzare Milano. Rissa in Galleria, è un “nuovo nome”, una nuova pittura, per concezione, non per tecnica pittorica. Se non lo ricordasse il titolo sarebbe appena notabile la rissa tra due donne, due prostitute, che rappresenta convenzionalmente l’occasione della scena figurativa.

Il vero tema, il vero protagonista è infatti la città di Milano, che ho ribattezzato “alla futurista” Magnete d’Italia. Milano quale Metropoli, quale Luogo dell’innovazione, della nuova elettrificazione, della vitalità esuberante dei caffè e delle piazze, appare esaltata in questo dipinto d’esaltazione ed esaltato. Le luci sembrano esplosioni, bombe, irradiazioni ipnotiche. La folla ondeggiante mostra il piacere estetico delle masse prese dal caos e dall’ebbrezza cantato da Marinetti. La distruzione creativa celebrata in una sorta di “situazionismo puro”, senza intenzioni sovrastrutturali, senza grumi discorsivi. Un dipinto che è un grido entusiastico, uno squarcio, un rigurgito, un vortice.