Prima dell’arrivo della fotografia, il disegno e la pittura erano sicuramente anche un mezzo per rappresentare, o meglio interpretare, le bellezze paesaggistiche e tutto ciò che di interessante un viaggiatore poteva cogliere nelle sue peregrinazioni. Spesso, per molti artisti dell’Ottocento, il viaggio era anche un’occasione di scoperta di nuove tecniche, ma soprattutto di nuove emozioni che consentivano di trasferire nei dipinti un chiarore o la brillantezza di colori mai utilizzati prima. Sebbene la tradizione del viaggio “disegnato” nel corso del ‘900 sia andata spegnendosi con l’introduzione della fotografia, testimone visiva rapida e precisa, negli ultimi decenni la pratica del disegno di viaggio è tornata ad essere non solo ampiamente praticata da architetti, artisti e storici dell’arte, ma è anche diventata oggetto di studio accademico per il prestigio e la capacità di analisi ad essa associata.

Ne è un eloquente esempio l’approfondita analisi fatta da Salvatore Santuccio, architetto e Professore associato di disegno presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, oltre che visiting professor in numerose facoltà universitarie italiane ed estere, in occasione di un incontro svoltosi al Palazzo Malaspina di Ascoli lo scorso 3 ottobre. Attraverso uno studio dal titolo Il viaggio disegnato da Goethe a Matisse, esplora sapientemente il viaggiare contemplativo di artisti che raccontano e si raccontano attraverso il disegno.

Scrittori e pittori viaggiavano, oltre che alla ricerca di ispirazioni artistiche, anche con l’obiettivo di confrontarsi e imparare a contatto con maestri stranieri. L’analisi si dipana attraverso diverse fasi: il viaggio come scoperta, il viaggio finalizzato alla conoscenza della grande pittura orientalista, quello finalizzato al miglioramento della propria arte e, infine, il viaggio verso la modernità. L’incipit è dedicato a uno dei pilastri della letteratura: Johann Wolfgang von Goethe che, con il suo Viaggio in Italia, vive una sorta di ricerca e scoperta della sua perfezione intellettuale e artistica, grazie anche al confronto con bravissimi pittori amici di viaggio che gli danno l’occasione di crescere. In Italia, egli vuole anzitutto essere pittore e compie il viaggio sotto falso nome dichiarandosi di professione “pittore” e realizzando un gran numero di disegni.

Il “viaggio disegnato” prosegue con l’esploratore francese René Caillié che fu il primo uomo occidentale tornato vivo dalla città malese di Timbuctù (gli occidentali in quei territori subivano puntualmente aggressioni e saccheggiamenti per poi essere uccisi, Caillié invece riuscì a farsi scambiare per un perfetto Touareg grazie al suo aspetto abbronzato, al suo stile e alla lingua locale parlata perfettamente), pubblicherà poi un libro che è un resoconto antropologico dei suoi viaggi, ma soprattutto produrrà una serie di disegni incentrati sul rapporto città-deserto con le stradine di sabbia e le piccole case in terracotta.

Si prosegue poi con due “storie” brasiliane, quelle di Maximilian de Wied e Hercule Florence: due spedizioni quasi coeve compiute da due esploratori che sono soprattutto abili disegnatori e che, con le loro opere, raccontano luoghi, itinerari, ma anche la difficoltà di raggiungerli. Uno dei personaggi più avventurosi è l’esploratore scozzese David Livingstone: fu il primo ad attraversare l’Africa coast to coast (1860) e, tra i suoi disegni, si ricordano quelli delle Cascate Vittoria. L’acquarellista Edward Norton racconta invece, attraverso le sue opere fatte di colori forti, quasi violenti, la spedizione sull’Everest nel 1924.

Lord Compton “racconta” il suo viaggio in Sicilia (1823) attraverso disegni estremamente piccoli ma al contempo ricchi e minuziosi con un livello quasi maniacale di dettagli dei luoghi visitati. Passando poi da Coleman, che era invece un artista grande conoscitore delle Rocky Mountains, si arriva al letterato Conan Doyle che nel 1880 s’imbarcò come ufficiale medico in una spedizione a caccia di balene nel Polo Nord e, nel corso del suo viaggio, mostrò anche doti artistiche disegnando tutto ciò che succedeva sulla nave, disegni che hanno la bellezza di essere racconti del quotidiano, di tutte le attività sulla nave.

David Roberts, invece, è considerato un pittore orientalista, fu esploratore in Terra Santa e con i suoi dipinti a olio su tela fu un abile reporter di numerosi luoghi orientali. La pittura orientalista in quel periodo divenne un importante punto di riferimento per la cultura europea e i pittori di tutto il continente lavoravano a questo genere. Il viaggio dipinto prosegue con Joseph Turner che nel 1819 realizzò, tra gli altri, numerosissimi disegni su diverse località marchigiane e su Venezia (150 disegni in sei giorni). Si passa poi a Constable, conosciuto anche come il “pittore delle nuvole” e che, subito dopo il diploma all’Istituto d’Arte, si dedicherà a un reportage di un’area poco a Nord di Londra con la quale dimostrerà le sue grandi doti pittoriche e avrà inizio la sua importante carriera.

Seguono poi S. B. Camille Corot che, con il suo viaggio a Roma, in particolare a Villa Medici, “scoprì” la luce nei suoi dipinti e il suo netto contrasto con le ombre, e Delacroix, inventore del Carnet de Voyage, il quale durante la sua lunga permanenza in Marocco (durata circa sei mesi), sosteneva di aver visto “tutto quello che Gros e Rubens hanno potuto immaginare di più fantastico e più leggero”. Realizzò una serie di taccuini con intrecci grafici e testuali, con meravigliosi acquerelli che raccontano la quotidianità marocchina. Lo stesso Renoir si recò poi due volte ad Algeri (1881/82) per seguire l’esempio di Delacroix e dove scoprì il rosso: durante il suo primo viaggio realizzò in realtà dei taccuini disegnati che poi, con il suo secondo viaggio, divennero quadri strutturati. Il “viaggio verso la modernità” è invece una sorta di iniziazione, come quello di Paul Gauguin a Tahiti (1891) dove tutto nel paesaggio lo “accecava e lo abbacinava” e dopo averne scoperto i colori i suoi quadri non saranno più gli stessi.

I viaggi di Le Corbusier (Voyage d’Orient) possono essere invece ricostruiti grazie al suo carnet di schizzi contenente riflessioni, calcoli e disegni che rappresentano una ricca fonte di informazioni per comprenderne il pensiero e la fantasia creativa. Luis Moilliet, August Macke e Paul Klee intrapresero un leggendario viaggio in Tunisia che rappresentò un’esperienza tanto decisiva da portare una svolta nell’arte moderna. Nelle due settimane di permanenza Macke produsse ben 33 acquerelli e 79 disegni e Klee 35 acquerelli e 13 disegni. A caratterizzare le loro produzioni, comprese quelle di Mouillet che si dedicò alle sue opere soprattutto nei successivi viaggi in Marocco e Spagna, sono le luci forti, i colori e le forme dei paesaggi africani.

Henri Matisse, che chiude idealmente questo ricco viaggio fatto di disegni e riflessioni, durante la sua permanenza a Tangeri scoprì invece il blu, un blu magnifico e profondo che con tutte le sue sfumature lo riempiva di gioia e il suo incontro con l’area a Nord del Marocco cambiò così il suo modo di dipingere in maniera decisiva e felice. Il disegno, così come i dipinti, rappresentano così una trascrizione dei propri stati d’animo perché in realtà riflettono sia il talento dell’osservazione sia il momento che si sta vivendo, pertanto il filo conduttore che lega tutte le opere di questo susseguirsi di artisti è proprio la personale interpretazione che porta con sé anche una sorta di incompletezza perché il viaggio, come l’arte e l’architettura non sono mai qualcosa di “finito”, ma qualcosa che trascina con sé anche qualche rimpianto.