Nei dipinti più piccoli possiamo apprezzare meglio l’immensa creatività variativa che Giovanni Bellini esprime sul medesimo tema, di origine iconico-bizantina: la Madonna che “presenta” Gesù bambino, da soli o in mezzo a figure di santi. Non si tratta di vere e proprie Natività, ma di una vera e propria ostensione cristica da parte di Maria. Gesù è bambino fisicamente ma se ne nota facilmente la distanza sacrale, divina, abissale che lo allontana ontologicamente da sua madre. Una Maria malinconica, o assorta o turbata o persino imbronciata, come nella Madonna degli alberetti, ed è facile capirlo in quanto il tema monoassorbente è proprio la prefigurazione della croce. La balaustra di pietra, spesso verde, su cui viene posato il Cristo infante è il bordo del sepolcro, ecclesialmente già fonte battesimale.

Stesso senso alluso dal cuscino nero su cui posa i piedini nella Presentazione al Tempio della Fondazione Querini Stampalia. Un cuscino nero morte che dialoga dialetticamente con la cuffietta rosso sangue. E una Madonna impallidita, risentita al drammatico annuncio profetico di Simeone. Una Croce la cui visione incanta e rapisce misticamente il divino bambino, il cui sguardo è rivolto al Cielo o verso un orizzonte lontanissimo. Due movimenti essenziali, talvolta di più quando sono presenti altre figure, sostanziano la scena: la contemplazione della propria glorificazione da martire, da parte di Gesù bambino, e l’interiorizzazione meditativa della partecipazione profetica a tale visione da parte di Maria. Il resto è il sapiente gioco di equilibri tipico di Bellini. Un gioco allusivo, delicato, graduale.

Quanto Bellini sarà poi (e anche) in Leonardo, il quale aggiungerà un dinamismo fisico al dinamismo semantico, interiore e tutto spirituale proprio di Bellini. Il paesaggio è già azzurro sul suo fondo, i volti emergono già luminescenti dal nulla del buio, già i panneggi seguono i piatti tibiali e serpentineggiano, i chiari e gli scuri appaiono già accostati espressivamente. Se un maestro spirituale deve aver avuto Leonardo questo è solo Bellini.

Osserviamo da vicino la sapienza compositiva, ideativa e scenica del maestro veneziano. Guardiamo ad esempio la Madonna con bambino della Pinacoteca di Brera. A sinistra una luce aurorale, o serotina, a destra il paesaggio è ancora notturno o crepuscolare. Una prima simmetria, meravigliosamente bilanciata. Da una parte una scimmia, dall’altra un pastore che dorme vicino al gregge, appoggiando il volto alla mano nella tipica gestualità saturnina. Bellini così maestro dell’allusione che ne abbiamo perso le preziosi chiavi di decrittazione! Dietro, uno stranissimo panno verde, che ritroviamo nella Madonna degli alberetti. Un panno verde e basta! Nessun simbolo, nessuna decorazione. Un panno “astratto”! Enigma dentro l’enigma. Gesù e Maria ti guardano. Entrambi. Dietro è tutto lento, addormentato. Loro sono svegli! Bellini dilata e contrae nel contempo il senso dello spaziotempo. Gli alberi parlano sempre in Bellini, con le loro eleganti divaricazioni o intrecci a croce dei rami.

Nel Bellini di Brera il risvolto interno del manto della Vergine è di color terra. La Madre come Terra che presenta il suo Frutto: il Cristo. Il colore della tunica annuncia la Passione, come lo stendardo di San Giorgio nel dipinto della Galleria dell’Accademia. Il velo è già sindone. Il manto ha il colore del cielo del paesaggio che si apre alla destra del nostro sguardo. Le mani del Bambino cercano sempre di smarcarsi dalle mani della madre. Le mani del Cristo tendono a svincolarsi dalla presa protettiva della Madonna, come nella Sacra Conversazione Renier dove sembra fermare l’avvicinarsi della mano sinistra di sua madre. Le allusioni sono frequenti nell’opera di Bellini. Non si notano quasi per la delicatezza della declinazione: il Giovanni Battista cotto dal sole che assomiglia a Cristo nel volto, nel dipinto di San Francesco della Vigna e nella Sacra Conversazione Giovanelli, il nodo isiaco nella cinta della Vergine nella Sacra Conversazione Renier, le vene e i tendini tesi nel corpo di San Cristoforo nel Polittico di San Vincenzo Ferrer, segno del “peso” di Cristo infante, la croce che dialoga con il caduceo di Hermes nel Cristo che versa sangue della National Gallery di Londra…

Il “segreto” della “magia” di Bellini, della sua dolce e sospesa “atmosfericità” resta, al di là di qualsiasi spiegazione tecnica. Non a caso nelle analisi degli esperti i ragionamenti tecnici appaiono separati dall’esegesi culturale, linguistico-semantica. Come riesce Bellini a realizzare questo “effetto” che possiamo definire con il termine “grazia”, cioè una sintesi di eleganza, equilibrio, dolcezza? Gli sguardi dei personaggi sembrano indirizzarsi ciascuno per conto suo, come è tipico nel modello delle “sacre conversazioni”, eppure il senso di unità organica della rappresentazione appare intenso. Solo grazie all’equilibrio delle giustapposizioni dei colori, secondo una sapiente dialettica degli opposti e dei complementari? E il paesaggio? Basta il chiasmo tra il grigio-azzurro degli edifici, semplificati in pennellate lunghe e omogenee e l’alternanza tra verde e azzurro delle colline e dei monti? Effetto di ricezione o tecnica programmata? L’enigma resta; e che non si esaurisca mai…