Cosa fa di un dipinto un capolavoro? E se abbiamo due capolavori quasi identici? Perugino e il suo ex allievo Raffaello realizzano quasi in contemporanea la stessa opera: Lo Sposalizio della Vergine. Maria e Giuseppe davanti al Tempio di Gerusalemme colti nell’attimo assolutizzato in cui il sommo sacerdote sta per inanellare la Sposa.

Tempo narrativo mai condensato. Idea geniale. Troppo geniale, quindi idea non inventata dal nulla (il genio non inventa, re-inventa) ma infatti derivante dalla tradizione celebre (allora) della reliquia del Santo Anello della Vergine custodito oggi nella cattedrale di Perugia. Cosa fa del gemello di Raffaello un dipinto autonomo e superiore? Raffaello cannibalizza e camaleontizza i canoni del Perugino: volti ovali, tessuti inarcati, riccioli, copricapi bizzarri, e l’impianto architettonico della piazza con al centro il Tempio. Luogo spirituale universale, Città Ideale non solo gerosolimitana ma pure apocalittica, nel risuonare della piazza centrale quale immagine della Gerusalemme celeste.

Raffaello con il suo tipico spirito quasi spersonalizzante, pudico, schivo, porta semplicemente a compimento la resa pittorica del Perugino, sfrondandola da decorativismi superflui, da un eccesso di ricchezza compositiva. Nel farlo Raffaello ci ridipinge il Tempio ridimensionandolo come misura ma potenziandone l’aspetto simbolico con una resa più tendente al cerchio con la cupola e l’anello del porticato. Veramente il Tempio diventa luogo nuziale fra il quadrato della scansione ritmico-murale e l’Ideale del Cerchio. Il paesaggio più sfumato, più luce e intensità cromatica e il Tempio quale più evidente centro cosmico con la sottolineatura coloristica delle linee di irradiazione/fuga della pavimentazione.

Raffaello porta a unità perfetta l’idea compositiva, con il Centro più lontano e più vicino, non più spezzato su due piani statici giustapposti ma ri-organizzato in tre tempi dinamici ed equilibrati: il tempo dell’assoluto, con la porta giubilare e pasquale aperta, segno di divina fecondazione e transito, il tempo della storia, con una forte presenza ebraica mista al segno della carità (l’elemosina al povero) e ruotante attorno al Tempio, sui suoi gradini, e il “terzo tempo” del primo piano dove abbiamo il kairos dell’attimo eterno dell’inanellamento.

La porta è il cuore aperto di Cristo, qui reso filosoficamente. Porta zenitale, dove il suo piano coincide con quello dell’orizzonte terrestre. La decorazione nella tunica sacerdotale sembra una croce che abbraccia, accennando al cerchio che forma con le braccia che continuano la sua curva. Nell’incanto del Luogo-Tempo, vero protagonista dell’opera, gioca dolcemente un appena accennato disincanto del gruppo delle donne e degli uomini a fronte dell’esclusività dell’Eletta e dell’Eletto. I tre occhi sono sull’Anello. Mai oggetto fu più fatale e decisivo.

Per quell’anello passa l’Eterno. Anello e Porta. Ancora Cerchio e Quadro. La teofanìa implica sempre il sorvolamento delle opposizioni umane, degli estremi terreni, dei conflitti mondani, aprendo a una nuova dimensione. Il capolavoro è l’opera quando trasfigura il dettaglio in forma universale. Il capolavoro è dato da una scelta chiara, organica, autonoma di una specifica declinazione dello spaziotempo. Lo Sposalizio di Raffaello è il complimento maieutico, il design, la forza platonica dello Sposalizio di Perugino. Tanto è misura, esplicitazione, chiarezza di filosofica geometria in Raffaello quanto ancora potenzialità, allusione, accenno, latenza in Perugino. La tensione totale dell’imminenza dell’infilare l’Anello è la tensione della quadratura del cerchio, del varcare la Porta. La medesima sfingea energia che ammiriamo nei contrafforti a ricciolo del tamburo della cupola templare. Volumi di pietra mentale, giustizia di rivelazione spiraliforme, superamento dell’angolo nella ricerca spirituale del ritorno all’Origine.