Ogni volta che mi accingo a osservare un quadro di Octavia Monaco, un silenzio iniziale mi avvolge. Un silenzio profondo e misterioso. Una pausa come un tempo infinito. Poi, piano piano, l’immagine comincia a svelarsi. Così è per la Papessa, un quadro ombroso che incanta, in un percorso di luci nascoste.

Nel libro, solo in quell’oscurità del libro, si cela la conoscenza. Il tempo, dal passato al futuro come un tutt’uno, è racchiuso nelle pagine che solo la Papessa sa interpretare, comprenderne l’infinito sapere. La linfa rossa che trasuda pagina per pagina, alimenta e porta sostanza alle radici degli alberi, ovvero, il capo della Papessa, la Sacerdotessa di Iside, il femminile universale come madre natura. Lungo l’Albero della Conoscenza, l’axis mundi, la colonna di luce al centro del trittico, gli elementi prendono sostanza: la potenza e il pulsare della vita nell’uovo, la mano sicura e, nel contempo, leggera che regge il sapere, i seni che alimentano la vita ai suoi albori, la maschera che segna il confine tra gli occhi interiori e il mondo visibile, il regno degli insetti nella grande e immaginaria cavalletta. Si avverte come la presenza di un vortice primordiale che, per l’attimo di un quadro, si è cristallizzato.

Il cono di luce inizia dalla superficie della terra, nel punto, dove gli alberi passano dal corpo ramificato proteso verso il Sole e il Cosmo, al corpo-radici che si sviluppa negli inferi verso il centro della terra. Ed è proprio questo mondo che prende luce. Un mondo che ignoriamo nel nostro scorrere quotidiano, cui normalmente non pensiamo perché non vediamo. Eppure esiste… sotto i nostri piedi, ed è un mondo ricco di vita, in continua metamorfosi. Tutto questo mi riconduce a una metafora della vita: per comprendere noi stessi, chi siamo, il senso delle nostre azioni, non possiamo limitarci alla superficie, non possiamo esimerci dall’entrare nelle nostre parti più oscure. L’albero assolve, nel suo vivere, a un continuo scambio dentro e fuori, un flusso vitale di luce e buio.

La Papessa, nella sua dualità come carta seconda negli arcani maggiori, è un tramite tra queste due forze, accoglie il fluire della vita in tutti i suoi aspetti. I suoi occhi appaiono socchiusi, quasi per rammentarci quello stato d’incanto dove lo sguardo oltrepassa il velo di Māyā. Come negli antichi giardini interclusi, il piano di confine orizzontale sullo sfondo della scena, quasi a sembrare una sorta di muro evanescente, pare racchiudere, proteggere e sublimare l’essenza delle cose all’interno del giardino. Chissà… forse questa immagine vuole ricordarci il giardino dell’Eden, quel giardino che abbiamo perduto e da cui ci siamo allontanati? Il silenzio che emana il volto della Papessa, non da risposte, ma il desiderio è di ascoltarlo. La grande Sacerdotessa ci invita, con fermezza, a scendere negli inferi per risorgere a nuova vita. Quale migliore metafora se non il giardino, spazio sacro per eccellenza, da sempre simbolo di perfetta fusione tra uomo e natura.

Intorno, i gufi silenti, sembrano guardare noi osservatori quasi come fossero in attesa di un nostro risveglio, nella luce della nostra vita interiore.

Testo di Simona Ventura, Architetto paesaggista