Audace, anzi sfrontato. Disposto a tutto pur di farsi strada in una Venezia divisa in caste, dove lui veniva dal gradino più basso, quello dei 'popolani'. Lui, che era solo il figlio del tintore, piccolo di statura, giusto un Tintoretto, covava da sempre ambizioni sfrenate. La più forte: rivaleggiare, uguagliare e addirittura superare il grande Tiziano, il principe dei 'pittori', per prendere il suo posto nella considerazione della classe aristocratica di una città che affidava agli artisti la celebrazione di se stessa.

Tanto audace era il giovane Iacopo Robusti, figlio del tintore, da sovvertire i codici della scuola pittorica veneziana, equilibrata e classica, pronta a onorare l'eleganza e i fasti dell'alta società. "Tintoretto è lo spirito più terribile che abbia mai conosciuto la pittura", ebbe a dire Vasari. Quelle sue scene drammatiche, quasi brutali, le figure incredibilmente grandi, le loro posizioni acrobatiche ci mostrano i tormenti del popolo, restituendoci immagini teatrali e potenti che volevano e dovevano attirare l'attenzione, commuovere e soggiogare. Ed era talmente sfrontato il piccolo Iacopo da vendere quelle tele a cifre 'scontate', molto più basse rispetto a quelle dei suoi rivali, così da poter entrare nelle dimore, nelle chiese e nelle istituzioni veneziane e acquisire la notorietà che cercava. Ci riuscì. E il suo nome è diventato universale ed eterno.

A 500 anni dalla nascita di uno dei personaggi più grandi e prodigiosi della pittura, il mondo intero gli rende omaggio. Venezia e Washington stanno preparando grandi esposizioni mentre a Parigi - Museo del Lussemburgo - è ora in atto una mostra che ripercorre i suoi anni giovanili. Tintoretto, nascita di un genio, ci racconta di un ragazzo stravagante e risoluto nei suoi primi passi verso uno stile personale e già in corsa verso una riconoscenza sociale e intellettuale.

Stravagante Iacopo lo è da sempre, probabilmente da quando venne battezzato con l'acqua della laguna. Non che questo ne spieghi i capricci e l'anticonformismo, ma forse lascia intendere il suo legame intenso con la città, dalla quale infatti si allontanò raramente e solo per breve tempo. C'è il leone di Venezia che ruggisce in lui, ed è così impetuoso da fargli aprire il suo primo atelier quando ancora non ha vent'anni. È in campo San Cassiano, nel sestriere di San Polo. La mostra parigina, che resterà aperta fino al 1° luglio, comincia da qui, dal 1538, e ci accompagna fino al 1555, quando, all'età di 37 anni, l'ormai ex enfant prodige si è imposto nella vita artistica veneziana, sia pure malvisto da colleghi e intellettuali della Serenissima, Tiziano e Veronese in primis, che non tolleravano la sua concorrenza scorretta e lo accusavano di aver fatto della pittura un'industria.

Basta guardare l'autoritratto che ci accoglie all'ingresso della mostra per capire la baldanza e l'impertinente orgoglio del piccolo-grande Iacopo che di anni ne aveva allora 29 e aveva già ottenuto e portato a termine le tavole a olio per adornare il soffitto a cassettoni di palazzo Pisani, in occasione del matrimonio del suo proprietario, giovane aristocratico veneziano. La furia del suo pennello è qui pari all'impeto delle storie della mitologia greca che ci racconta.

I volti di Deucalione e Pirra, come quelli di Giove e Semele, nei due pannelli oggi al Museo del Lussemburgo, sono pressoché invisibili, deformati da una prospettiva che, per chi doveva guardarli dal basso in alto, prolungava la scena coinvolgendo lo spettatore. Un modo di 'giocare' tra spazio reale e immagini pitturali assolutamente rivoluzionario per Venezia, che Tintoretto, allora poco più che ventenne, aveva mutuato dal 'divino' Michelangelo, di cui era un fervente ammiratore.

Forse addirittura precedente, certamente una delle sue prime tele, è il Gesù in mezzo ai dottori, con i due enormi sapienti in primo piano come i personaggi giganteschi della Cappella Sistina. In mezzo a loro, il piccolo Gesù, appena dodicenne, disserta con i dottori nel tempio di Salomone. Chi è quel bambino? Non è forse lui stesso, il giovane Tintoretto, nella disputa con i suoi rivali più anziani? Questa identica teatralità, la spasmodica ricerca di sensazioni, la volontà di creare suggestioni forti nello spettatore, la troviamo ne La conversione di San Paolo, così come ne L'adorazione dei Magi, e resterà un tratto distintivo del suo intero ciclo pittorico.

Ma Tiziano, il 're' da spodestare, lo affascina e lo seduce nonostante tutto. Nonostante lui gli preferisca apertamente Veronese e faccia di tutto per bloccare il suo successo. Nella battaglia quasi quotidiana tra gli artisti della Serenissima per aggiudicarsi le commesse di ricchi privati e istituzioni pubbliche, Tintoretto si dimostra un vero uomo d'affari. Ma oltre a non volere compensi o abbassare i prezzi pur di ottenere gli incarichi che gli interessano, è più veloce nell'esecuzione e consegna le opere in poco tempo. Tutti i pittori lo odiano e gettano discredito su di lui, lo accusano persino di non saper dipingere, ma Tiziano è forse il più rancoroso. Tintoretto, però, ne riconosce comunque la grandezza e i suoi ritratti ne portano il segno. Da Nicolò Doria al procuratore Giacomo Saranzo, tutto parla del potente Maestro: l'orchestrazione della luce, i colori, la posa dei personaggi, quasi sempre di tre-quarti, con l'occhio rivolto verso lo spettatore. "Il disegno di Michelagelo e il colorito di Tiziano", era il suo principale 'comandamento', scritto a lettere cubitali sul muro del suo secondo atelier sulle fondamenta dei Mori, in Cannaregio.

Ma c'è di più nelle 'leggende' che accompagnano la sua vita. Quando Tiziano, 30 anni più vecchio di lui, morirà ucciso dalla peste, Tintoretto sfiderà il terribile morbo per andare a casa dell'eterno avversario e acquistare dal figlio un'opera ancora incompiuta, L'Incoronazione di spine (oggi alla Pinacoteca di Monaco di Baviera), che poi tenne sempre con sé. Quella notte infestata dalla peste e dai ladri che andavano a svaligiare le case dei morti ce la racconta Melania Mazzucco nella sua bella storia-romanzo (La lunga attesa dell'angelo) dedicata a Tintoretto e alla figlia prediletta, Marietta, nata - sembra - da una relazione con una prostituta straniera, poi morta per sifilide. Milletrecentotrentasei passi tra la sua abitazione sul rio della Sensa e quella di Tiziano, vicino alle Fondamenta Nuove. Milletrecentotrentasei passi - scrive Melania Mazzucco - che né lui né Tiziano avevano mai percorso prima.

Marietta lavorava con il padre nell'atelier, pur costretta a indossare abiti maschili perché le usanze del tempo impedivano alle donne il mestiere di pittore. Anche in questo Tintoretto fu anticonformista. O meglio senza regole, 'a modo suo', in famiglia come altrove. Le altre due figlie, infatti, furono 'inviate' in un convento di clausura, secondo usanze molto più tradizionali. Per la verità anche i ritratti femminili sono pochi nella sua carriera. Nella mostra parigina ne troviamo uno, quello della Giovane donna su una poltrona. Il fatto è che Tintoretto amava la sobrietà nei ritratti: pochi fronzoli da rappresentare, siano essi gioielli o accessori. Anche perché l'uomo d'affari che era in lui vedeva nel ritratto un modo per guadagnare. Quindi doveva essere veloce, più veloce del solito.

Le donne, però, sono ben presenti nella sua opera, anche nella fase giovanile. E sia nei soggetti mitologici che religiosi, da Ester davanti ad Assuero, a Giuditta nella tenda di Oloferne, fino ad Eva, nuda, che tende la mela ad Adamo ne Il peccato originale, il ruolo che assegna loro è importante, mai secondario. Eva, poi, appare straordinariamente sensuale nella dolcezza del suo gesto e nelle sfumature della pelle. Tanto erotica da essere pronta a tentare non solo Adamo, ma anche lo spettatore. Poco importa che il soggetto sia di carattere religioso. Per chi, come lui, violava costantemente le regole, non ci poteva essere confine tra sacro e profano.