Lo sguardo penetrante di Cyndy Sherman, il dramma famigliare di Marcel Bascoulard, il doppio inquietante di Maurizio Cattelan, la poetica ambigua del travestimento di Urs Luthi, una carrellata di artisti che rappresentano il sé senza filtri.

Una colletiva dell’ego, forse, che si spinge ancora oltre, un viaggio nel profondo, nella ricerca della matrice prima di ogni principio creativo. L’espressione artistica come veicolo ultimo di un cammino personale, spesso doloroso, sicuramente non privo di pietre d’inciampo a segnare un viatico faticoso per ogni nuova tappa. E nel suo slancio operante, l’artista è di fronte a se stesso, in una danza che porta al finale: quello della creazione. Sulla quale cala il sipario dell’io e si alza quello dell’altro, di colui che vedrà, giudicherà, cercherà di comprendere e interpretare questa danza in solitaria.

Un’occasione per danzare da soli ma sopratutto in compagnia di una straordinaria esperienza artistica che è quella della collettiva a Punta della Dogana a Venezia dal titolo Dancing with Myself curata da Martin Bethenod e Florian Ebner in programma fino al 16 dicembre 2018. Nata dalla collaborazione tra la Pinault Collection e il Museum Folkwang di Essen, la mostra è stata presentata in una prima versione a Essen nel 2016. L’esposizione è stata profondamente ripensata per gli spazi di Punta della Dogana, con oltre 56 opere non esposte nel museo tedesco.

Dancing with Myself indaga, appunto, l’importanza primordiale della rappresentazione di sé nella produzione artistica dagli anni ’70 a oggi e del ruolo dell’artista come protagonista e come oggetto stesso dell’opera. Attraverso un’ampia varietà di pratiche artistiche e linguaggi (fotografia, video, pittura, scultura, installazioni), di culture e provenienza, di generazioni ed esperienze, la mostra mette in luce il contrasto tra attitudini differenti: la malinconia e la vanità, il gioco ironico dell’identità e l’autobiografia politica, il corpo come scultura e la sua rappresentazione simbolica.

Martin Bethenod, Direttore generale delegato della Collection Pinault - Paris e del suo museo, la Bourse de Commerce, incarico che si aggiunge a quello di Direttore di Palazzo Grassi - Punta della Dogana dal 1° giugno 2010, ha spiegato che le prime riunioni per il progetto Dancing with Myself hanno avuto luogo nel 2014. "Questo progetto si inseriva nel quadro della politica espositiva fuori sede della Pinault Collection" – racconta - "che mira a mettere la Collezione a confronto con un pubblico e un contesto diversi. Questo ‘fuori sede’ aveva già fatto numerose tappe a Lille, Parigi (alla Conciergerie), Mosca, Monaco e così via, ma non in Germania. Lì la Collezione Pinault era stata esposta solo grazie a prestiti speci ci di opere, ma mai con presentazioni più complete o strutturate. Di conseguenza, una presenza di questo tipo ci sembrava molto importante. La Collezione Pinault, infatti, è ricca di artisti tedeschi, da Sigmar Polke, esposto a Palazzo Grassi nel 2016, a Martin Kippenberger o Thomas Schütte, per citarne solo alcuni. E soprattutto perché la Germania, in particolare nelle regioni della Ruhr e della Renania, è una delle nazioni che presenta la maggior densità al mondo di musei e istituzioni dedicati all’arte contemporanea".

A far eco a Bethenod è Florian Ebner, l’altro curatore della mostra, da luglio 2017, capo curatore del dipartimento di fotografia del Centre Pompidou, Museo nazionale di arte moderna-Centro di creazione industriale a Parigi per il quale il "tema della rappresentazione di sé era una delle prospettive sulla Collezione Pinault, un’idea che ci ha convinti da subito: è infatti un tema che ha un ruolo importante nella collezione fotografica del Museum Folkwang, sebbene con la classica nozione dell’autoritratto fotografico, ed era giunto il momento di considerarla da un altro punto di vista". "Il secondo elemento forte di questo processo dialettico" – ha aggiunto - "è stata l’introduzione di una dinamica nel progetto espositivo, organizzando un dialogo fra la Collezione Pinault e quella del Museum Folkwang". La mostra accompagna il visitatore lungo quattro tematiche che si sviluppano in un percorso fluido negli spazi di Punta della Dogana - Melancolia, Giochi d’Identità, Autobiografie e Politiche, Materia Prima – attraverso oltre 140 opere con un nucleo di 116 lavori dalla Pinault Collection, dei quali oltre 80 mai esposti prima a Venezia, posti in relazione con una selezione di opere provenienti dal Museum Folkwang.

Sono 32 gli artisti rappresentati, tra loro Marcel Bascoulard, Marcel Broodthaers, Damien Hirst, Giulio Paolini si aggiungono a quelli già presentati a Essen nel 2016. Il grande formato degli autoritratti di Rudolf Stingel, i lavori iconici degli inizi del duo Gilbert & George, le sculture di Alighiero Boetti, Urs Fischer, Robert Gober e Maurizio Cattelan, le opere di Cindy Sherman contraddistinte dalla rappresentazione postmoderna dei ruoli tradizionali e le critiche sociali e politiche degli artisti come LaToya Ruby Frazier, Paulo Nazareth, Adel Abdessemed e Lili Reynaud-Dewar danno origine a un dialogo vivace che riflette sulla visione del sé nell’arte del ventesimo e all’inizio del ventunesimo secolo e che ci porta nel pieno del dibattito del nostro tempo.

"Mettere la Collezione Pinault in relazione con questo contesto artistico, culturale e museale molto particolare" - ha proseguito Bethenod - "ci sembrava un’idea appassionante. Hanno avuto inizio i contatti tra i rappresentanti della Pinault Collection, con a capo Jean-Jacques Aillagon, e varie istituzioni tedesche. La qualità del dialogo avviato con il Museum Folkwang di Essen e il suo direttore Tobia Bezzola ci ha rapidamente convinti che avevamo trovato il luogo e l’interlocutore giusti. Ben presto, tutti questi elementi hanno dato la sensazione che lì si potesse dar vita a un progetto per offrire alla collezione Pinault un contesto nuovo e pertinente". Dancing with Myself tratta la rappresentazione di sé e non l’autoritratto, sottintendendo che ogni autoritratto è una rappresentazione di sé, ma che non tutte le rappresentazioni di sé sono per forza autoritratti. E allora danziamo anche noi da soli, alla ricerca del nostro vero sé.