Intervistiamo oggi il pittore Cristiano Carrotti.

MM: Quali correnti pittoriche attraversa la tua arte?
CC: Non saprei elencarle tutte, ma di certo il mio approccio ha una forte componente espressionista.

MM: Che tipo di supporti utilizzi per le tue opere?
CC: Ogni tipo di supporto. O meglio di solito lavoro su tela, tavola, lamiera, e altri materiali. Ultimamente sono focalizzato sulla costruzione di teche tridimensionali che contengono pittura, scultura, oggetti di vario tipo e anche impianti luminosi. Spesso però lavoro anche con materiali non convenzionali come nel caso della cabina di Tir scolpita in bassorilievo per l’installazione Golia o il missile commemorativo dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

MM: Come sei riuscito a farti conoscere a livello locale e poi a espanderti a livello nazionale?
CC: Non lo so. In realtà penso di essere abbastanza fortunato. Finora ho avuto tante belle opportunità. E poi lavoro molto, forse non so stare senza lavorare, e in effetti penso di non essermi mai fermato dalla personale alla Canovaccio del 2008.

MM: Le tue esperienze all’estero? Come viene vissuta l’arte all’estero rispetto all’Italia?
CC: Ho esposto a Berlino in varie occasioni, ma a parte questa positiva esperienza, il mio percorso espositivo si è sviluppato principalmente in Italia. Ho diversi progetti che riguardano l’estero e spero vivamente che possano andare in porto a breve.

MM: Sei un tipo “sospeso tra il circo e la notte”?
CC: Ammesso che siamo tutti immersi, volenti o nolenti, in un grande circo a cielo aperto, direi di sì. Il circo, la notte, la follia, la ragione, il mare e la terra ferma… L’importante è essere bravi negli equilibrismi.

MM: Ti piace accostare la tua arte alla musica e al teatro, spiegaci meglio.
CC: E’ bellissimo quando si creano delle forme di collaborazione tra discipline artistiche. Lo scorso anno sono stato coinvolto da Filippo Timi per una mostra che ha accompagnato il suo spettacolo Favola al Teatro Parenti di Milano e qualche mese fa ho realizzato dei disegni che fungevano da scenografia per lo spettacolo diretto da Riccardo Festa Storia delle teste tagliate al Teatro Belli di Roma. Ho realizzato e sto lavorando a diversi progetti insieme al compositore Alessandro Deflorio, autore tra le altre delle musiche del progetto Golyat. Alessadro Persi ha inaugurato con una sua performance alle _drum machines, _la mia ultima mostra personale all’interno della quale verrà presentata la chitarra che ho realizzato insieme alla Liuteria Artistica Franz per Nicola Pressi, voce del gruppo The Banditi.

Credo che sia un'esigenza naturale lo scambio e il contatto tra gli artisti. Per me è stata sempre una volontà e allo stesso tempo una necessità e, in ogni caso, ha sempre portato a belle esperienze. Prima tra tutte in ordine temporale il contributo di Vinicio Capossela con la presentazione al catalogo Burning Hotel. Il Go Dai Festival, a cui ho da poco partecipato, è stato una grande conferma da questo punto di vista. Un progetto bellissimo ideato da Rodrigo D’Erasmo e Daniele “Il Mafio” Tortora che ha visto in prima linea tra i curatori artisti del calibro di Xabier Iriondo, Roberta Sammarelli, Giulio Ragno Favero, Fritz da Cat e per il gran finale Manuel Agnelli. Il Go Dai è stato un grande laboratorio che ha unito tante realtà: la musica, la performance teatrale, l’arte visiva e la danza, dimostrando che si può fare e dando vita a un modo più ricco e potente di fare cultura.

MM: Cos’è Fairytale Machine? Esiste una macchina di favole?
CC: E’ il titolo di una mostra che ha rappresentato per me un bellissimo incontro professionale, ma soprattutto umano. Da questa mostra è nata una bella amicizia con Alice Zannoni e con Marco Aion Mangani, curatori del progetto, con i quali ho instaurato una sintonia veramente rara e speciale. Quindi sì, la macchina delle favole esiste e ha funzionato alla grande.

MM: Quali soggetti ami rappresentare, i tuoi palombari sono impressi nella memoria di tutti, cosa simboleggiano, continui ancora su questo filone o ti stai concentrando su altro?
CC: I palombari sono un simbolo della ricerca di profondità, di lentezza contrapposta ai nostri tempi veloci e nevrotici e di conseguenza li ritengo quanto mai attuali. Come apparizione i palombari sono rimasti fermi al ciclo del 2008-2009, ma questo solo perché nonostante li porti nel cuore per ovvi motivi, non mi piace vincolarmi e identificarmi troppo con un soggetto.

MM: Nelle tue opere compaiono spesso delle scritte, come mai? Ti piace accostare le parole alle immagini?
CC: Utilizzo le parole con una duplice funzione: quella puramente grafica ed estetica e quella ovviamente del contenuto. La parola è un rafforzativo, la cristallizzazione di un concetto più netta e inequivocabile rispetto all’immagine. Va usata con attenzione e parsimonia, ma spesso è uno strumento insostituibile.

MM: Come definiresti il tuo uso del colore e cosa rappresenta per te?
CC: Lo definirei polivalente, ludico, grasso e drammatico. Rappresenta tante cose, ma quello che amo di più è il rapporto fisico e materico che instauro con il colore, specialmente quello a olio che utilizzo in enormi quantità, strato su strato.

MM: Anche l’acqua è un elemento ricorrente, cosa simboleggia?
CC: L’acqua in quanto mare, rappresenta il viaggio, l’avventura, l’ignoto e chiaramente mi affascina. Ultimamente ho realizzato molti lavori che contengono come soggetto principale velieri e relitti di navi. Credo che il viaggio di tutti i sognatori sia per mare, tra sirene, balene bianche, spettri e bonacce che sembrano maledizioni e grandi tempeste. Speriamo solo di tornare sempre a casa…

MM:_ Il dolore fa il poeta; ma la gioia fa il pittore_, cosa pensi di questa frase di Boito?
CC: Che è vera in parte, perché il dolore come lo chiama Boito o come lo chiamo io, “la sofferenza”, fa parte di tutte quelle personalità caratterizzate da una forte sensibilità. Poeti, pittori, musicisti o semplicemente sognatori per raggruppare tutti in maniera dostojewskiana. E’ vero però che uno stato d’animo “gioioso” è quello che più si concilia con il gesto e il momento pittorico, almeno per me. Forse perché si riconduce a quella atmosfera ludica, spensierata e magari anche un po’dispettosa tipica della fanciullezza.

MM: Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole, diceva Picasso. Tu sei riuscito a trasformare una macchia gialla nel sole?
CC: Credo che sia più divertente provare a trasformare una macchia rosa o verde, o magari non mettere per niente il sole che ormai hanno dipinto in tanti.