L’idea per questo articolo è nata da una domanda (legittima) che ho sentito porre spesso durante la visita in un museo archeologico, dove frequentemente si possono incontrare didascalie di sculture riportanti la dicitura “copia romana”. Alla lettura di queste parole talvolta si rimane confusi e si inizia a supporre che quell’opera non sia un originale ma appunto una copia recente. In pratica si inizia a pensare che quella che si ha davanti non sia più la Gioconda originale ma un poster della stessa.

Ovviamente non è così. Infatti tante didascalie di questo genere hanno l’accuratezza di completare l’informazione aggiungendo una precisazione cronologica, per cui leggere “copia romana del III sec. d.C.” ci permette già di capire che tale opera è stata realizzata in pieno periodo imperiale di Roma: dunque, pur essendo una copia l’opera è sicuramente antica. Ma perché quel “copia”? Perché non viene esposta l’opera originale? Per capire meglio, conviene spiegare come funzionava la produzione artistica nell’antichità.

Innanzitutto iniziamo col dire che il grosso delle opere d’arte (come materiale originale) è stato realizzato da artisti greci che quasi esclusivamente realizzavano statue in bronzo preferendo il metallo al marmo. I romani invece la pensavano in maniera opposta, per cui quando in un museo vedrete una scultura in pietra, in linea di massima si può già supporre che quell’opera sia romana piuttosto che greca. Per realizzare un’opera in bronzo si crea prima un modello a scala ridotta, generalmente in cera, argilla o terracotta, come se fosse una bozza. Una volta approvata tale bozza si crea l’opera nella dimensioni desiderate, sempre in materiale povero: questo modello servirà poi per realizzare uno stampo dello stesso. Intorno al modello infatti viene fatto colare del gesso che, una volta induritosi, sarà il calco in negativo dell’opera in questione. Una volta separata l’opera in pietra dal calco, si provvede a riempirlo con bronzo fuso colato all’interno dello stampo tramite un foro e poi lasciato raffreddare e indurire. Trascorso il tempo necessario, lo stampo in gesso viene rotto ed ecco che dal suo interno punta fuori la statua in bronzo.

Una creazione artistica originale viene identificata con il termine tecnico di “typus”, e spesso costituisce un modello per copie perfettamente identiche oppure può essere usato come modello per nuove opere con soggetto diverso ma avente la stessa impostazione o struttura: quest’ultima tipologia di lavori viene chiamata “umbildung”.

Conviene fare un esempio pratico di quanto si sta dicendo. Consideriamo la scultura nota come Doriforo: il doriforo è il portatore di lancia, cosa non facilmente intuibile per i non addetti ai lavori anche perché la scultura si presenta come un semplice uomo nudo che in termine tecnico viene detta “nudità eroica” proprio perché caratterizza i ritratti di eroi e divinità. Suddetto uomo è rappresentato in movimento e non porta oggetti con sé (ecco perché a primo impatto risulterebbe difficile identificarlo come un portatore di lancia) e tale mancanza è dovuta al fatto che eventuali orpelli delle statue erano aggiunti in bronzo, dunque se oggi tali statue le vedete sguarnite è perché in passato sono state spogliate da queste parti perché il metallo poteva essere fuso o riutilizzato.

L’opera originale è stata realizzata da Policleto, artista greco, intorno al 450 a.C. e il materiale usato è il bronzo (a conferma di quanto si è detto sopra). Tuttavia facendo la ricerca immagini su Google, vi accorgerete che di questo doriforo non esistono versioni bronzee ma solo in marmo. Guardando con più attenzione si può inoltre constatare che di queste varie versioni viene indicata una in particolare. La copia in questione è quella conservata al Museo Archeologico di Napoli e viene indicata in quanto realizzata e conservata in modo migliore rispetto ad altre. Tale copia è stata scolpita a Roma intorno al II sec. a.C., e siamo dunque a quasi tre secoli di distanza dall’originale policleteo: ecco perché parliamo di “copia romana”. La cosa curiosa di questa definizione (e che può spiazzare il visitatore) è concepire che si ha davanti un’opera che è al tempo stesso copia e originale, in quanto riproduzione di un’altra statua ma anche prodotto originale del periodo romano.

Consideriamo ora un’altra opera, l’Augusto detto di Prima Porta, attualmente conservato nei Musei Vaticani. Si tratta di una statua romana ritraente Ottaviano nell’atto di tenere un discorso ai suoi soldati prima della battaglia (un’operazione che si chiama “adlocutio”), datata al I sec. d.C. Su quest’opera vige il dubbio se essa sia l’originale o già una copia, vale a dire si suppone l’esistenza di un antecedente modello in bronzo (ma sempre romano e dello stesso periodo) tuttavia non ancora provata. L’ulteriore particolarità di quest’opera è che essa è la riformulazione dello schema del Doriforo, della cui struttura originaria conserva la posa di braccia e gambe (quelle del lato sinistro sono contratte, quelle del destro sono stese). Siamo dunque davanti a un “typus” (il Doriforo) e la sua “umbildung” (l’Augusto), vale a dire una sua reinvenzione, un riutilizzo in chiave diversa di una stessa impostazione. Il typus del Doriforo è in realtà talmente basilare nella storia della scultura che lo si può riconoscere anche nella posa del David di Michelangelo.

A questo punto è lecito chiedersi il perché nel passato si facevano queste copie piuttosto che crearne di nuove: questa domanda è il vero centro della questione ed è molto più semplice di quanto si possa immaginare. Per avere una valida spiegazione basta guardare all’attualità (in archeologia è una soluzione più usata di quanto si creda): pensate a quanti di noi hanno in casa il poster di un quadro famoso, la fotografia di un luogo o il DVD di un film visto al cinema. Pensate alle riproduzioni della Gioconda, alle foto del ponte di Brooklyn, ai soprammobili riproducenti la torre di Pisa o il Colosseo. Stesso identico principio dei nostri antenati: si vuole possedere la copia di qualcosa di molto noto, e il perché lo si vuole possedere è per via del fatto che attraverso l’esposizione di quella copia comunichiamo i nostri gusti, il nostro modo di pensare, la nostra ideologia.

Un’ultima precisazione: all’interno di questo articolo ho usato sia il termine “statua” che “scultura” volendo indicare due cose diverse. La statua, infatti, come dice il termine, è “stante”, cioè si regge in piedi da sola, mentre la scultura no, ha bisogno di un supporto che aiuti a sorreggerla. Questo supporto è in genere il tronco di un albero o un piccolo cupido, e li potete vedere entrambi alle basi sia del Doriforo che dell’Augusto, perché entrambe le opere, essendo fatte di marmo, potrebbero spezzarsi in quanto il solo appoggio delle loro gambe non reggerebbe adeguatamente l’intero peso della scultura. Questa cosa non avviene con il bronzo, essendo un metallo abbastanza forte da sorreggere tutto il peso senza ulteriori aggiunte. Ed è per questo che è corretto identificare come “statue” le opere in metallo e “sculture” quelle in pietra.