“Compromessi con i sordi ed il loro rumore ci scordiamo il silenzio”. L'uomo post-moderno vive nella fretta, sempre in emergenza di tempo. Nella fretta esistenziale dell'uomo siamo in emergenza temporale, non abbiamo tempo. Non abbiamo la giusta disponibilità per capire cosa succede, per riflettere ed elaborare concetti, la fretta trascura e non permette l'elaborazione di un pensiero critico come esseri creativi. Riconsiderare il tempo in una dimensione differente, nella lentezza, per riappropriarsi del concetto di essere umano. Il “costruttore” ha una differente concezione di tempo, distante da ciò che va veloce è una figura lenta, marginale, indifferente al tempo che deve venire e vive con attenzione e dedizione il suo gesto: qui e adesso.

L'attenzione al gesto presente e alla sua ripetizione sono un omaggio alla lentezza; il singolo gesto o passo, è anche un suono che si ripete nella sua testa, che scandisce il tempo e lo modella. La modularità del materiale è funzionale all'opera, come fosse una preghiera o un cammino. Il gesto si ripete in modo disinteressato, non porta necessariamente ad una ricerca formale, piuttosto a scolpire il tempo nello spazio attraverso un materiale che origina una forma. La lentezza del fare artistico in un costruttore, non consiste tanto nei tempi produttivi piuttosto nel valore che egli attribuisce al tempo; il valore consiste nella consapevolezza che riesce ad ottenere nello spazio.

L'atto costruttivo riconsidera il tempo come un valore primario, necessario alla riflessione. Costruire l'opera significa costruire se stessi, un esercizio di pulizia mentale che non rappresenta nulla, inutile, ma rallenta il tempo dagli eventi che impediscono la contemplazione e il ritmo.

Costruire è un esercizio che nel lavoro scultoreo si concretizza con materiali minimamente invasivi, in cui prevale ripetizione e leggerezza. La riduzione dei materiali a minimamente invasivi, significa poco espressivi, eliminare il superfluo, utilizzare un modulo semplice e ripeterlo, il quale darà origine ad un'opera libera, svincolata dal significato e dall'illusione. Questi materiali devono favorire il processo, riducendo il pensiero a favore di una maggiore sensibilità.

L'opera deve realizzarsi in modo naturale, disinteressata dal risultato, in cui quello che conta è il processo esecutivo che porti a soluzioni sempre differenti. La progettazione si riduce ad un'idea di partenza, in modo da non esaurire la forza espressiva in una asfissiante elaborazione mentale fatta di significati e giustificazioni. “La gratuità che mostra un'opera concepita senza fini o contenuti invadenti, è come un atto d'amore: non chiede nulla”.

I “Giardini di carta” sono stati i primi lavori in cui ho cominciato a riconsiderare il tempo sul fare processuale, in cui lentezza, cura e ripetizione, sono stati necessari per determinare il suo vero valore.

Le “Preghiere mute” sono i lavori più recenti, realizzati in terracotta e nel metodo si rifanno ai “Giardini di carta”, modulo e ripetizione. Le preghiere mute non emettono suoni e sono sinonimo di silenzio, alleato del tempo e della lentezza, accompagna il gesto che si ripete in modo sempre differente.

L'argilla, la carta, il ferro, sono i materiali che ho utilizzato fin ora, sono materiali lenti, materiali del “fare”, che richiedono molto tempo, cura ed attenzione, inoltre hanno memoria di ogni gesto il quale determina il risultato come un tempo vissuto: un tempo scolpito.

La lentezza in qualche modo crea spazio, permette la relazione e lo scambio, è compagna dell'umiltà, anch'essa sempre alla ricerca e ben disposta. È di spazio che si tratta. Lentezza ed umiltà sono come un monocromo, creano spazio, spazio per accogliere. Un “monocromo” è minimamente espressivo nei contenuti e questo, paradossalmente favorisce lo scambio e la creatività in colui che guarda l'opera, invertendo il suo ruolo. Lo spettatore trova lo spazio per ragionare ed esprimersi in modo creativo, proietta su di esso la propria esperienza partecipando all'opera in modo differente; senza l'eccesso di contenuti ingombranti il monocromo suscita l'autoanalisi e provoca, come nella lentezza una partecipazione creativa .

Su questa ricerca si collega una personale riflessione sul fare scultura nel contemporaneo e sulle nuove possibilità dell'architettura. Il rapporto tra scultura ed architettura diventa sempre più evidente, potrei dire quasi necessario per la loro sopravvivenza in una crescente idea di esperienza e di luogo. Da qui nasce la convinzione che le mie opere non siano solo delle sculture bensì delle “costruzioni”: la scultura rifonda il proprio linguaggio interagendo con la costruttività dell'architettura, viceversa l'architettura sembra aver bisogno dell'intimità e libertà della scultura, dando origine alla tipologia, quella “costruzione”. Il materiale utilizzato è sempre quello modulare, utilizzato anche nei mie primi lavori della serie “Cattedrali primitive”, dove nasce l'idea di costruzione e di processo disinteressato. Le mie costruzioni nascono in questa forma ridotta come un esercizio di Purificazione. Un atto religioso che considera il tempo come valore primario e la loro condizione di esistere è l'assenza di senso: un gioco insensato.

La gratuità, l'assenza di senso, ci alleggerisce e insinuando in noi il dubbio, paradossalmente introduce nuove opportunità interpretative . La possibilità che queste costruzioni possano diventare anche dei luoghi architettonici, riconsidera l'oggetto scultoreo come forma latente, un prototipo in attesa di assumere una dimensione ambientale. La “costruzione” non assumerà mai la funzione di edificio architettonico e nemmeno sarà una scultura in scala maggiore bensì un compromesso tra i due, qualcosa che assomigli ad un “santuario”, un luogo di aggregazione. “La costruzione è qualcosa che sta poco prima dell'architettura e appena dopo l'istinto”