Ha avuto un grande successo, per la novità dell'argomento, la mostra A cavallo del tempo che si è svolta alla Limonaia del Giardino di Boboli. Sotto il sapiente coordinamento dell’architetto Mauro Linari, la mostra ha affrontato temi sociali basati su concreti fatti storici e reperti archeologici, e commentati con l’ausilio della Storia dell’arte e del costume.

La mostra è stata curata da Lorenza Camin, archeologa con interessi per il mondo dell’Ippoterapia, e da Fabrizio Paolucci, storico dell’arte. Da un connubio di competenze così disparate non può che nascere un contesto nuovo e pieno di suggestioni: i reperti presenti, infatti, quasi un centinaio, per lo più riferiti al mondo italico, provengono da decine di musei italiani e stranieri, e abbracciano un arco di tempo di oltre 2000 anni, dalla prima Età del Ferro fino al tardo Medioevo. Sono 5 le sezioni, che vanno dalla Preistoria al mondo greco e magno greco, al mondo etrusco e venetico, all’epoca romana e, infine al Medioevo.

La mostra è stata aperta alle scuole e ai cittadini, grazie anche all'aiuto di esperti. Impariamo, ad esempio, che dalla forma del morso del cavallo si può capire come veniva utilizzato: una semplice barra orizzontale collegata alle redini quando trasportava merci o il suo padrone, diventava poi, con l’aggiunta di un ferro che batteva sul palato con esiti dolorosi per l’animale, un mezzo coercitivo per andare in battaglia. Era pure una dimostrazione di status sociale del suo padrone, se arricchito di decorazioni. Il frontale istoriato a protezione del muso del cavallo era un altro indice che il padrone dell'animale apparteneva ad una classe elevata.

Questo animale ha rischiato l’estinzione in Europa diecimila anni fa, perché è stato sempre e solo, per lunghissimi anni, animale da preda, come indicano le raffigurazioni di Lescaut, dove le lance erano il mezzo con cui i cacciatori riuscivano ad abbatterlo malgrado la sua velocità. Il cavallo è stato uno degli ultimi animali ad essere addomesticato, grazie agli abitanti delle steppe dell’Asia centrale che per primi, sul finire del IV millennio a.C., riuscirono a cavalcarlo, inventando anche strumenti per guidarlo. È proprio attraverso una carrellata di oggetti esposti che, di vetrina in vetrina, una guida ha ricostruito l’affascinante rapporto uomo-cavallo nel corso della storia.

L’interesse per questa mostra consiste anche nel fatto che alcuni degli oggetti selezionati, se visti nelle vetrine dei musei permanenti che li hanno prestati, non avrebbero avuto l’impatto che qui hanno avuto. Infatti, oltre a bassorilievi, coppe e vasi di rara bellezza, raffiguranti cavalli e cavalieri, sono stati esposti tanti strumenti di uso quotidiano, quali morsi, speroni, staffe, filetti ecc, perché da essi si può risalire al ruolo del cavallo nei diversi periodi storici. Con mostre di questo tipo i reperti archeologici, prelevati dalle vetrine in cui erano custoditi, tornano a rivivere, suscitando grande interesse.

Nell’ottica di migliorare la fruizione dei musei, un’altra riflessione è stata offerta da una mostra fotografica corredata da video, commissionata dal Direttore Eike Schmidt delle Gallerie degli Uffizi al fotografo Giacomo Zaganelli, dal titolo Grand Tourismo e che si trova nella Sala 56 degli Uffizi. Lì vediamo foto di turisti che si rapportano ai capolavori della galleria con la stessa allucinante sequenza di operazioni: entrano nella stanza, sparano foto col cellulare, carpendole in tutte le direzioni e con un’angolatura del tutto casuale, perché è impossibile scegliere dato l’affollamento. Procedono così in tutte le stanze visitate. Cosa portano a casa? Non credo la bellezza, perché la troverebbero sfogliando, comodamente seduti sul divano, un bel libro di foto realizzate da professionisti.

Dovrebbero capire, loro e gli agenti che li portano in viaggio, che gli orizzonti si ampliano di più guardando meno e con i propri occhi, magari accompagnati da spiegazioni accurate. Meno foto e più commenti!