Cosa succede quando una macchina da cucire e un ombrello si incontrano casualmente su un tavolo operatorio? Succede che nella nostra testa scoppia una sorta di corto circuito, così come quando un pianoforte a coda si unisce a un macroscopico anello di fidanzamento, oppure una scarpa si trasforma in un piede umano, o un paesaggio soleggiato ci appare sotto un cielo notturno. Succede che gli oggetti, separati dalla loro funzione, oppure uniti in maniera contraddittoria, perdono la loro identità e si trasformano in qualcosa che non gli appartiene più, sprigionando una magia da cui nasce un processo poetico.

Proprio la poesia, intesa come vittoria dell'immaginazione sulla razionalità, come enigma dell'inconscio che provoca dubbi e metamorfosi, è la sfida del Surrealismo, la corrente di avanguardie letterarie e artistiche che dopo la Prima guerra mondiale invocava la rivoluzione contro la borghesia e i suoi valori, promettendosi di ribaltare non solo la cultura, ma anche i princìpi della società.

Per la verità erano più ragazzi ribelli che rivoluzionari quelli che si riunivano nei Cafè parigini scrivendo manifesti e osservando professioni di fede che potevano sfociare anche in scandali. Come quando, il 2 luglio 1925, alla Cloiserie des Lilas, in boulevard Montparnasse, boicottarono un banchetto letterario 'ufficiale' del Mercure de France spaccando piatti, rovesciando bicchieri, urlando slogan e 'sparando' cazzotti.

A far parte del turbolento gruppo troviamo alcuni dei più grandi artisti del 900, da De Chirico a Mirò, da Ernst a Masson e Giacometti, Da Magritte a Dalì. E ancora, tra gli altri, Tanguy, Picabia e Duchamp. Una vera e propria 'squadra' dell'avanguardia artistica gravitava intorno a un capo indiscusso, il rigoroso e inflessibile André Breton, poeta e saggista, che non lesinava lodi e critiche, né aveva problemi a 'cacciare' alcuni esponenti del movimento, quando questi si allontanavano dalle linee dei suoi 'Manifesti'.

Un'avventura, quella surrealista, che Palazzo Blu, insieme a MondoMostre, ripercorre sui lungarni di Pisa: 150 le opere - dipinti, sculture, foto e documenti - tutte provenienti dal Centro Pompidou di Parigi. Da Magritte a Duchamp è una mostra complessa e multiforme, così come eclettici e brillanti erano i protagonisti della corrente culturale. Il curatore Didier Ottinger, che del Centro Pompidou è direttore aggiunto, indaga le varie fasi del Surrealismo puntando i riflettori sul 1929, anno cruciale non solo per il crollo della Borsa americana e la crisi dell'economia mondiale, ma anche per l'evoluzione dello stesso movimento, che era nato cinque anni prima.

Partendo da questo angolo visuale si vanno ad esplorare il prima e il dopo, a cominciare dai precursori 'dadaisti', fino alle ricerche fotografiche che esplosero nella Parigi tra le due guerre, senza tralasciare gli esperimenti cinematografici di Bonuel e Dalì, né le trasgressioni erotiche di Masson, Ray e Giacometti.

Quella interpretata da Magritte sul palcoscenico surrealista è comunque una parte a sé, separata dal resto degli attori. Lui, come gli altri infastidito dalla vita moderna e dai valori della borghesia, pur riconoscendosi negli ideali della sinistra, mal tollerava eventuali coinvolgimenti della sua arte con la politica. Misurato, prudente e cauto, restò sempre un isolato, più a suo agio tra le pareti domestiche che non alle riunioni 'sociali' con gli amici surrealisti. A Parigi arrivò solo nel 1927 e tre anni dopo fece di nuovo le valigie per tornarsene a Bruxelles, forse disturbato - si racconta - dal biasimo espresso da Breton nei confronti della piccola croce che la moglie Georgette portava al collo, giudicata un ornamento non surrealista.

Eppure, quegli oggetti tanto banalmente quotidiani che Magritte dipingeva giungendo a renderli persino estranei, non più familiari, quella realtà così infedele da diventare misteriosa, quasi magica, sono le chiavi dello shock e della forza filosofica che fanno di lui un surrealista per eccellenza. Il Modello rosso, Il Doppio Segreto, Il Cielo Mortale, insieme a Disputa sugli universali, tutti capolavori esposti in mostra, ci danno la prova di questi shock, simboleggiano la provocazione del pensiero che non si nasconde più dietro i principi ufficialmente riconosciuti e rispettati dalla buona educazione borghese.

Il delirio della paranoia come trasposizione in pittura delle scoperte di Freud sull'inconscio è l'approccio al surrealismo di Salvator Dalì, riassunto in mostra anche nella grande tela Donna dormiente, cavallo, leone invisibili, in cui si assiste alla metamorfosi in un cavallo e poi in un leone di una donna dormiente. Quello stesso inconscio si difende dalle offese della ragione nella Chimera di Marx Ernst, dove appare un essere misterioso con le ali di un'aquila e il busto di una donna. E come non 'arruolare' nel movimento il maestro degli enigmi, Giorgio De Chirico. Magritte scriverà che scoprire le sue opere fu uno dei momenti più emozionanti della sua vita, mentre Tanguy salterà letteralmente da un autobus in corsa per ammirarne un dipinto. Palazzo Blu ce lo presenta in Lotta antica, un olio del 1932, più legato alla fase classica, che non a quella metafisica.

Certo, non tutti i surrealisti scelsero argomenti seri e forme ambigue per suffragare la loro rivoluzione. Ironia, sarcasmo e dissacrazione sono stati ugualmente alla base del movimento avanguardista. Così Duchamp si è divertito ad aggiungere barba e baffi al bel volto della Gioconda (per fortuna su una riproduzione in cartolina). Ma come se non bastasse il rivoluzionario un po' monello aggiunse sotto la stessa immagine cinque lettere (L.H.O.O.Q.) che in francese scandiscono una frase dileggiante che suona come 'Lei ha caldo al culo'.

Tuttavia, non sempre prevaleva il buonumore. Litigi e ostilità non mancavano, anche all'interno del gruppo. Al punto che lo stesso Breton , dopo una serie di 'epurazioni' da lui compiute, si ritrovò bersaglio di derisioni e insulti da parte degli ex amici. Era il 15 gennaio 1930: sulla rivista 'Documents' venne additato come 'falso fratello e falso comunista', 'falso rivoluzionario ma reale saltimbanco' e anche 'leone castrato'. Il tutto mentre un fotomontaggio mostrava Breton con gli occhi chiusi, ormai morente, sotto il titolo di Un cadavre.

Ma Breton, tra esili e polemiche, visse ancora a lungo, come la rivoluzione surrealista, che morirà con lui solo alla fine degli anni Sessanta. A volte accade che una maledizione allunghi la vita.