La coesistenza tra colori-simbolo annessi al potere e la poetica acromatica e minimalista rivive nella mostra Kunst/Off, bipersonale degli artisti Carlo Colli e Maurizio Savini.

C’è stato un tempo in cui i colori erano fondamentali apparati degli ambienti abitati, applicazioni decorative utilizzate per esaltare concetti subliminali o come mimesis di manifestazioni naturali, sorta di surrogati del potere insito negli iridescenti marmi o pietre preziose. La simbologia del pigmento pittorico, piuttosto che la stessa rappresentazione di oggetti naturali intimamente legati alla propria cromìa (spesso da coniarne il nome), è intellegibile con il carattere apotropaico attribuitogli nel tempo: ecco, dunque, che la porpora diviene simbolo di regalità e lo smeraldo di speranza, sia nella loro imitazione che, soprattutto, nella loro natura oggettuale (tessuto e pietra).

Il colore era simbolo di potere, sociale e alchemico, ed ostentarlo divenne ragione di status (si pensi all’araldica) specialmente per i costi elevati che alcune tinte richiedevano, l’oro e il lapislazzuli in primis.

Bisognerà, tuttavia, attendere l’epoca post-industriale per vedere un carattere simbolico-sentimentale legato al colore. La riscoperta della poetica antitetica del bianco e nero, di fatto non-colori, evidente nel successo dell’illustrazione editoriale, la cui pura essenza viene esaltata da artisti di ogni genere (basti pensare al nero per Manet e la pagina bianca di Mallarmè), è sintomatica delle conquiste e dai cambiamenti sociali, dove le classi meno agiate abituate ad un vissuto domestico povero di colori, hanno potuto assistere alla riconquista di un estetica più naturale, affatto sgargiante, verista, validata su scala europea dalle classi sociali più agiate. Al contempo la brama di potere (temporale e spirituale) ha trovato sfogo nelle tinte accese sfoggiate nei vessilli nazionali in maniera molto più rilevante rispetto al passato.

Pur presentando due ricerche ben distinte nei metodi e nei concetti, Colli e Savini sviluppano proposte dal forte impatto spaziale e ambientale, quasi invadenti nella percezione visiva eppure sintetici, efficaci, nella tecnica. Savini si serve della scultura per la creazione di opere di colore rosa shocking vertente al purpureo sgargiante, sviluppando una tecnica personale che prevede l’utilizzo di vetroresina e gomma da masticare, mentre Colli attinge rigorosamente dall’estetica acromatica e dal disegno razionale di tipo architettonico, in un sodalizio che ibrida i due linguaggi e contribuisce a creare una cattedrale astratta.

Il sapore pop delle opere di Savini viene enfatizzato non solo dallo sfibrante consumo dell’oggetto gomma da masticare, plasmato e deprivato della sua natura e funzione originale, ma soprattutto dal quel rosa-rosso, colore suadente quanto ingannevole già noto negli araldi ottocenteschi, negli abiti dell’alta curia, e applicato industrialmente dagli anni sessanta da marche di largo consumo globale, si pensi al rosso Coca Cola ed alla sua decostruzione tramite Andy Warhol. Dalla vivacità della gomma, emerge così un carattere effimero, quasi escatologico, come evidenziato dall’opera memento mori “Archeologia del Pensiero” (2017). Carattere, spesso pungente come una satira, non lasciato alla mercé della sola dimensione formale bensí forte dell’alternarsi di sferzate ironiche e sferzate tragiche: tra il riso e il pianto la differenza è una semplice smorfia, una deformazione, enfatizzata dalla stessa materia-simbolo della gomma.

Anche in Colli c’è duttilità, non solo nel gesto creativo, ma anche nella potenza scultorea delle sue opere, seppur di carta. Lavori ora illusori, per gli effetti optical o le marezzate delle luci-ombre sulle pieghe, come avviene nell’opera “Post 1415” (2013), ora reali, marcati dalle linee strappate dalla carta o cucite da nastri adesivi. L’accento Minimal della produzione del Colli si avvale di una carica emotiva espressa principalmente dalla gestualità dell’artista durante l’atto creativo, gestualità che va quasi a sfociare nella sfera teatrale, che ben si sposa con l’arte di Savini. Questo insolito sodalizio tra minimalismo ed emotività viene sostenuto dall’ intrinseca capacità delle opere di carta del Colli ad adattarsi all’ambiente, ed esaltato dalla loro stessa composizione, che si risolve in un grafismo dal sapore architettonico, che seppur vicino alla logica del Brunelleschi di valorizzare lo spazio esaltandone la struttura intrinseca, non è nemmeno troppo lontano dal rigore concettuale delle architetture di Gropius.

Infine, resta interessante una nota mistica, più allusa che cercata, manifestata nella croce percepita nell’opera “Skin N126” (2016) ma soprattutto nel deus ex machina vero e proprio di “Post 2524 DIO”, accattivante gioco metalinguistico dialogante con la rosea installazione “Luce e ombra cadono insieme” (2017), favorendo una punta di romanticismo contemporaneo pertinente nel contrasto tra magnificenza e decadenza.