L’immagine artistica che meglio lascia intravedere la sapienza dei Magi resta il mosaico di S. Apollinare in Classe a Ravenna. Tutti e tre sono raffigurati con il berretto frigio rosso in testa. L’ordine non segue le età umane, perché il più giovane è nel mezzo e quello di media età all’inizio. Il gioco dei colori guida in un pellegrinaggio misterico.

Il primo Magio, barbuto, mostra un mantello bianco e screziato di nero, come l’ermellino, e bordato di rosso. La tunica è color giacinto, le brache rosse e maculate, le babbucce auree. Il secondo, il più giovane, presenta un mantello verde, una tunica bianca, le brache auree e le babbucce bianche. L’ultimo, il più vecchio, mostra il mantello dello stesso color giacinto della tunica del primo, segno di fioritura, di manifestazione, di realizzazione. La tunica è rossa come il berretto frigio, le brache bianche screziate, analoghe al mantello del primo Magio, e le babbucce rosse come la tunica e il berretto.

Si mette in scena un processo, alluso all’interno della stessa teoria dei Magi, indicante un fuoco che, purificato, esce dall’interno e cresce irradiandosi, tutto trasfigurando. Non a caso le brache del Re magio mediano, più giovane, indicano l’oro che viene cotto. Non a caso dietro ai tre Re tre palme e l’ultimo oggetto recato dal Re magio più anziano è scoperto e aureoargenteo, mentre gli altri due sono chiusi e color piombo/stagno. La forma del cofanetto di mezzo ricorda una nave e i due corni della Luna. Analogamente dialogano le tre dalmatiche o pettorali: grigio/oro/porpora il primo, a sfere, rosso e bianco e nero a strisce il secondo, e a piastre rettangolari auree bordate di vermiglio il terzo. Nella sua natività Botticelli mise tra angeli uguali, bianco, rosso e verde, sopra la capanna, e, più in alto, un cerchio di ninfe danzanti, nere, bianche e rosse.

Da un inventario della Chiesa Patriarcale di Aquileia, compilato tra il 1358 e il 1378, viene ricordata, tra i paramenta, una «stricta rubea de sindone cum stellis aureis per totum qua utior quando fit Ludus Regis Herodis». Alla linea obliqua ascendente e aurea, dalle babbucce alle brache fino al pettorale d’oro e all’interno aureo del Graal recato dal terzo Re, s’incrocia e alterna il ritmo sinusoidale del bianco: dal mantello del primo alle babbucce del secondo fino alle brache e ai capelli del terzo. Ogni colore dell’Arte viene ricapitolato in queste tre sacre figure.

La processione del Graal era una sacra rappresentazione che ricalcava ed evocava quella compiuta dai Magi. Loro donano i tre doni e Cristo dona loro il Graal. Ne resta traccia anche nelle antiche liturgie medioevali arricchite da sacre rappresentazioni processuali evocatrici del ruolo dei tre Re. I figuranti regali cantavano e leggevano in Vangelo dividendoselo in tre parti (Fractio Verbi). Il nome di Melchiorre indica la regalità e la luce, il nome di Gaspare la sapienza, il nome di Baldassarre la protezione di Dio sul Re. Esistono monete indopartiche di Gaspare, con effigiato Mercurio. Secondo l’iconografia tradizionale Melchiorre è canuto e il suo colore è il giacinto, o ruggine, Gaspare, è giovane, imberbe e rubicondo, Baldassarre, ha il viso scuro e reca la mirra, portando tunica rosso sangue. La Stella che è sorta da Giacobbe si è fermata fissa sopra la capanna/grotta, Casa del Pane celeste. Alla Stella corrisponde l’oro, all’incenso l’obbediente bue, alla mirra il sotterraneo asino.

Il loro segno tipico dell’appoggiare la corona per terra davanti alla grotta/capanna non solo è giusto e perfetto omaggio alla regalità di Cristo, ma indica anche la rettificazione della Terra, la sua rinnovazione. Il Cielo ha fecondato la terra, e la terra ora è divenuta la Terra, sposata, perfetta, edenica, vergine. La corona è anche anello, l’uomo un albero rovesciato. I Magi sono tre come i tre tempi dell’Opera, le tre fasi della Luna, la Trinità.

Nel Milione Marco Polo racconta un episodio, illuminante, narratogli in Persia relativo ad alcuni dettagli relativi all’incontro dei Re Magi con Gesù bambino. In primo luogo i Re sapienti offrono i tre doni, il 13° giorno dal Suo Natale, anche quale prova della natura di Cristo. Il divino bambino accettandoli conferma e rivela di essere Dio, Re, Sapiente. L’oro non si prova con il fuoco? E quindi anche il Fuoco si prova con l’oro. Oltre a ciò Gesù bambino dona loro un cofanetto che si rivelerà contenere una pietra, priva di alcun valore apparente. I Magi la gettano in un pozzo, segno della sepoltura di Cristo, della mistica seminagione, e subito scende dal cielo un fuoco che inizia ad ardere dal pozzo. Si accende il fuoco celeste che Cristo ha portato sulla terra e desidera si acceso. Vera pietra focaia! Pietra che fulmina e che arde, che unisce, per sempre, abisso a cielo, invisibilità sotterranea a profondità celeste. Accaduto questo i Magi raccolgono un po’ di quel fuoco, ma la pietra resta nel pozzo, non possono recuperare la Pietra filosofale, il Cristo, ma il Suo fuoco sempre ci può accompagnare. Il Re nero corrisponde al Sale e viene dalla calda Etiopia, il Re giovane e rubicondo corrisponde al Mercurio, il Re che offre l’oro corrisponde allo Zolfo. La Stella, fuoco celeste che si stabilizza, e che richiama i tre principi unendoli, presenta e rivela loro ciò che ha formato in essi: la Pietra unica e ternaria, aurea e viva.

Nel santuario dedicato alla Vergine in Tirano si ammira un intarsio ligneo, nella cappella dell’apparizione, che mostra la Santa Famiglia a Betlemme con una Stella stillante cinque grosse gocce di rugiada. Gli scrigni dei tre Re richiamano appunto il senso delle resine e degli unguenti, simmetria maschile rispetto all’altra processione graalica: quella femminile del Sabato Santo. Un breve volo aereo sulle più significativi dipinti che trattano il tema dei tre Re magi ci permette alcune sottolineature.

Non sempre i colori delle vesti e i dettagli appaiono allusivi a messaggi di sapienza. In Jacopino Longo due Re appaiono arlecchineschi e quello canuto veste bianco e rosso. In Mantegna invece tutti e tre mostrano tuniche rosso acceso con grossi cordoni candidi; il primo, moro, con cappuccio bianco, quello di mezzo, giovane, con nodo isiaco al cordone e coturni aurei, il terzo, veste sotto una tunica verde. In Domenico Veneziano il dettaglio prezioso si rivela il pavone sul culmine della Capanna, mentre in Ghirlandaio il Re vecchio veste rosso, bianco e oro, il giovane verde e giacinto e il moro, dipinto di pelle chiara, veste nero e rosso. Masaccio ci offre un’adorazione con un Melchiorre adorante in brillante brunito, l’oro cotto, un Re di media età dalla chioma e dalla barba orofulvo e di analoga veste, e un Re giovane in rosso acceso, e salendo, vermiglio e azzurro, i tre stadi, e qualità, del fuoco.

Il Perugino ci offre un Melchiorre rubino con le fasce bianche di Hermes (e della deposizione), sotto una veste verde, nel suo complesso sintesi di tutte le fasi dell’opera. Gli altri due anch’essi vanno sul rosso/verde/oro brunito. Tre variazioni sull’unica Tema. Per Durer l’ermetismo dei Tre si comunica con il mantello nero e calzamaglia rossa del Moro, il verde e oro del mezzetà, e il rosso e oro del Re vecchio, quest’ultimi come i Magi di Ravenna.

Il più misterico appare Bosch con le sue due versioni: nel Trittico con il Re Moro vestito di bianco e recante la mirra in una sfera microcosmica sormontata da aurea Fenice, il Re giovane azzurro e recante un piatto di stagno e il Re vecchio rosso. Nell’altra sua Adorazione con Baldassarre verde/oro, Melchiorre ancora rosso e il Moro sempre bianco. Nel capolavoro di Stefano da Verona la successione regale rispetta l’ordine delle età: per ultimo il più giovane, color terra e oro brunito, poi il mediano, vestito con mantello rosso e tunica cenere azzurra, e infine il più anziano con mantello completo, rosso e ermellino screziato, e tunica di oro nero.

Così accade anche in Lorenzo Monaco ma con altri dettagli rivelativi di Sapienza: il Re magio più giovane appare efebico, androgino, simile al canone cromatico di Maria. Un cappuccio celeste, un mantello rosso tempestato di stelle auree. Un senso di velo aureoargenteo avvolge tutti i tre Re, nuvole e stelle, la galassia delle Pleiadi. Il Secondo Re è tradizionale: verde, ma con un cappuccio rosso. Il terzo, canuto e inginocchiato, capo scoperto, unisce porpora a oro. Il terzo Re appare quasi sempre inginocchiato e il capo scoperto. Non è solo una priorità fisica di adorazione. Il fatto è che davanti al Cristo infante si torna bambini, si rinasce dallo Spirito, si nasce dall’alto.

Filippo Lippi introduce una novità geniale, che ci parla di tintura. Il Re inginocchiato, con la barba e i capelli aurei, indossa una veste violetta, mentre gli latri due Re, efebici e androgini, portano i colori che, uniti, generano il violetto: azzurro e rosso. Torna il pavone bizantino sulla capanna! Nell’Adorazione di Raffaello invece oltre ai tradizionali rossi, cenere, aurei e neri, il sigillo appare il verde che accomuna la calzamaglia del Re giovane con il mantello e la cintura con nodo isiaco del Re anziano e con la cintura del Re di età media inginocchiato vicino al Bambino. In medio sta Virtus, et Crux.

Velasquez porta avanti il gioco cromatico delle trasmutazioni ermetiche con un ulteriore variazione: il più vecchio tutto nero e in fondo, il Moro con la terna nero/bianco/rosso e il più giovane davanti al Cristo, Forza ringiovanente, con mantello oro brunito e veste azzurra cinerina. Le tre teste di Magi sono molto vicine fra di loro: la Pietra è rinsaldata e per sempre riunita. Nell’Adorazione del Poussin i Magi, in versione di stile essenziale, di tipo arcadico/pastorale, appaiono un ancora una volta vestiti ermeticamente: il moro di bianco, il vecchio di rosso e il mediano di un azzurro cenere. A lato giustamente compare la celebre colonna spezzata, qui acutamente mostrata di traverso, come un disco solare deposto a terra, con al centro il varco circolare del midollo vuoto, Marsia e Bartolomeo. Il piombo non c’è più: è già risolto dall’Oro. Il piatto della colonna mostra pudicamente e tacitamente la sua essenza: il Disco del Sole che ha fecondato la Luna, la Gestazione al Cielo, l’Eclisse pasquale, il Ventre vergine e fecondo, la Placenta perfetta e inviolabile, le Nozze regali e indissolubili fra Mercurio e Zolfo, il Seme al centro della Terra. Il Tre ritorna nel fuoco dell’Uno.

Se poi passiamo alla scultura ci basti il capolavoro di Sapienza della facciata della cattedrale di Fidenza. I tre Re magi cavalcano fieri e uniti verso Occidente, nuovo Oriente, verso il loro tramonto e la loro maturazione. Lui deve crescere e io diminuire (Gv, 3,30). Tre cavalli uguali, figura di Cristo, che calpestano tre serpi mercuriali. L’età è crescente. L’ultimo è Gaspare, il più giovane, poi viene Baldassarre il mediano, e infine guida Melchiorre, il più canuto. Fiaccole viventi corrono verso l’unico Fuoco e avvicinandosi si accendono di Luce eterna. Sale/Seme, Legante e Scintilla. Terra buona offerta a Cristo, Sale perfetto, Nodo d’amore, Fuoco universale senza fine.

Sul lato destro della facciata li ritroviamo giunti davanti al Cristo infante, con i vasi aperti, i mantelli sul davanti, come lavandai, maniscalchi, pastori. Sopra, la Stella è un disco solare tripartito con 16 raggi, partizione degli scacchi e dell’Occhio di Rà. Tutta la facciata del Duomo di Fidenza, dove i tre Re sono protagonisti con il Cristo infante, è un inno alla Sapienza: l’Angelo con l’asta a punteruolo con pomello, sopra la sirena con gli orecchi da asino e il berretto frigio, e l’Angelo con la bacchetta, sopra il capricorno, l’Aquila che tiene fermo il cerbiatto e l’analogo Eracle che tiene a filo a piombo il leone, fixatio rettificante di mercurio e zolfo, i due tori, con il doppio cerchio e il fiore a sette petali sulla fronte, il doppio cavaliere con olifante, uno dei quali con una grande testa barbuta decapitata (Davide o Orlando o Galvano?), San Michele con la croce in piedi sopra il drago. Il bastone appuntito dell’Angelo ricorda il bastone di Giuseppe nel dipinto di Joachim Patinir Riposo nella fuga in Egitto, gonfio in cima e puntuale in fondo, polarità e tensione che chiama il Sole fecondato, l’Oro filosofico, il Fuoco perfetto che sala.

Il tema è diffusissimo sia in alchimia che nei motivi decorativi della Valtellina. Lo ricordiamo incidentalmente anche nell’Annunciazione di Fra Angelico. Il Zolla di Discesa all’Ade e resurrezione ricorda il Melchiorre dalla tazza aurea e dalla cornamusa trasformante, il Baldassarre dalla patena di mirra, il Gaspare a cui è associato il quarzo verde e il vermiglione, l’argento, il bastone stellato. I Magi quali tre icone di Fuoco, le tre parti dell’occhio, che conducono alla Sorgente del Fuoco: Cristo. Giustamente Zolla riporta la sacra processione dei Magi alla graalica e bizantina proskomidìa.

I riti non si fermano, neppure quando vengono aboliti, o colpevolmente dimenticati, semplicemente continuano senza le ultime generazioni, affondando le loro radici nei Cieli. Restano sulla terra quale nostalgia del cuore e desiderio dello Spirito, movimenti delle sfere, ritmi angelici, moti abissali.