Mio blu – dicevi –
mio blu.
Lo sono.
E anche più del cielo.
Ovunque tu sia
io ti circondo.

(Ghiannis Ritsos, poeta greco)

La concezione della e sulla forma è stata indagata fin da subito tra le infinite vicissitudini della storia dell’arte, gli artisti a seconda dei periodi culturali e delle epoche storiche hanno avuto l’esigenza di interrogare la forma, di plasmarla, di modificarla o addirittura di farla scomparire, sia in pittura che in scultura - si tratti di installazioni, video o fotografie.

Con il titolo dell’esposizione Antiforma, che l’artista Matteo Messori porta negli spazi della Galleria Ramo di Como, già bene si introduce la volontà di indagare la forma nell’attualità dell’oggi; la necessità di lottare contro una pre-condizione che l’uomo stesso sembri essersi creato. Le pitture e le installazioni scultoree di Messori ci accompagnano in una riflessione profonda dai toni prevalentemente blu, un colore che per sua natura ha accompagnato l’arte da sempre, dall’(anti) naturalismo di Giotto fino all’immaterialità voluta da Yves Klein.

Nei lavori di Messori si tratta proprio di unire e contrapporre criticamente la manifestazione della natura con la sua implicita scomparsa o prossima cancellazione. Le forme proposte, dipinte con ampie campiture di colore terso, si ritrovano immerse in liquidi a fluttuare evanescenti o ad essere trafitte come in un’espiazione auto-generata. Le opere, alla stregua di una metafora, riflettono in parte il disagio contemporaneo, l’essere generalmente “anti” dell’uomo, immerso nei suoi errori che siano essi etici e politici. Quello di Messori è un monologo contro, un discorso “anti”. Le antiforme solitarie si ritrovano protagoniste di uno scenario desolato, un teatro “Morandiano” spoglio da qualsiasi orpello o distrazione. Come per il Maestro Morandi, anche qui la ricerca della forma nella vita silenziosa degli oggetti è preziosa e necessaria. Sintesi e ripetizione ossessiva di una forma semplice.

Vi sono altri due fattori importanti nella ricerca dell’antifona, una forma in contrasto con se stessa: l’ispirazione di Messori verso un capolavoro come Il Trionfo della morte, il dipinto a olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1562 circa e attualmente conservato nel Museo del Prado di Madrid. Alcuni dettagli del quadro, come i sistemi punitivi della forca, ci riportano alle antiforme dell’artista reggiano in procinto di un imminente giudizio, come fossero colpevoli della dipendenza da un vizio.

L’altro fattore è riconducibile a un dato biografico e intimo dell’artista, afflitto dal deficit congenito del recettore per la leptina, che sostanzialmente impedisce la percezione di sazietà da parte del soggetto affetto. L’impossibilità di sentirsi saturi diviene quindi un’urgenza espressiva che si traduce in un’espiazione di colpe derivanti da un vizio inconsapevole, una gola insaziabile fagocitante.

Sia nelle pitture che nelle installazioni ritorna inoltre un elemento già presente in altri lavori dell’artista, come in Precaria/età dove ampolle dalle forme diverse si alternano ospitando al loro interno acqua e stampe 3D di monumenti quali il Colosseo, la torre di Pisa, il Pantheon, luoghi simbolo di una memoria collettiva espansa dove l’artista ha interrogato il senso della storia al limite di una precarietà corrosiva.

Nelle antiforme pittoriche ritorna il tema del flusso, dell’acqua, della trasparenza, dell’ampolla, del contenitore che interroga e indaga il suo contenuto. Le atmosfere metafisiche accentuate da profondità accennate e da plasticità volumetriche ci introducono a una dimensione di riflessione più intima dove l’artista ci accompagna in silenzio tra le sue ossessioni, le sue domande, nei suoi incubi più profondi. Nelle installazioni scultoree l’idea manifestata in pittura si fa concreta, fisica - e la natura sottoforma di pietra grezza va a scontrarsi con la forma precostituita dell’ampolla prodotta dell’uomo; la forza dicotomica è appunto dichiarata in questo contrasto di forme, di elementi in continua poetica collisione.

Le antiforme sono elementi ricettivi dalle sembianze organiche in grado di captare l’impotenza dell’uomo in situazioni da lui generate; prendiamo ad esempio l’attuale disastro ambientale, lo scioglimento dei ghiacciai, i disastri atmosferici, tutti cambiamenti tellurici che segnalano un disagio di coscienza collettiva. Le antiforme sono lì a indicarci un problema, un malessere, che Messori ha trasposto da una dimensione micro a macro, da riflessioni personali a collettive, piccoli naufragi contemporanei dove la forma è in prossimità di volare via per sempre, di venire inghiottita dall’acqua o di essere trafitta da geometrie altre e aguzze.

L’antiforma però pone già dinanzi a se stessa l’andare contro, l’essere “anti” a soluzioni precostituite e a dogmi già preconfezionati, nella sua solitudine (tant’è che i soggetti pittorici o gli elementi scultorei non sono mai più di due o tre elementi) ci lascia un messaggio di ribellione: la morte questa volta può non trionfare.

Come fate a sapere, quando pensate al blu – quando dite blu –, che state parlando dello stesso colore che pensano tutti.
Il blu è inafferrabile.
Blu, o azzurro, è il cielo, il mare, l’occhio di un dio, la coda di un diavolo, una nascita, un volto cianotico, un uccellino, una battuta spinta, la canzone più triste, il giorno più splendente.
Il blu è astuto, sornione, sguscia nella stanza di sbieco, è subdolo e scaltro.
Questa storia parla del colore blu, e al pari del blu non vi è niente di vero. Blu è la bellezza, non la verità. In inglese si dice true blue, ma è un giochetto, una rima: ora c’è, ora non più. È un colore profondamente ambiguo, il blu.
Anche il blu più intenso ha le sue sfumature.
Blu è gloria e potere, un’onda, una particella, una vibrazione, una risonanza, uno spirito, una passione, un ricordo, una vanità, una metafora, un sogno.
Blu è una similitudine.
Blu, lei, è come una donna.

(Da Sacré Bleu di Christopher Moore)