Per voce creativa è un ciclo di interviste riservato alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione incontro Tina Sgrò (Reggio Calabria, 1972).

Cosa resiste, al di là dell’assenza?

La memoria silenziosa delle cose. La memoria dei luoghi attraversati, di quei luoghi che ci sono appartenuti. Perché i luoghi, è vero, sono una traccia di noi. Di quello che siamo stati, degli amori che abbiamo vissuto. Registrano le grida, le parole interrotte, le confessioni dette sottovoce. I luoghi ci guardano ridere, piangere, amarci, arrabbiarci. Ci osservano crescere, attendere, sbiadire. I luoghi sanno tutto. Portano a memoria la storia di chi li ha vissuti. Anche quando appaiono così. Muti, immobili, senza alcuna presenza.

Ma l’intimità di una stanza è già un racconto. L’intimità di una stanza è un passato che vibra nella luce del presente, quando il sole che inonda lo spazio e irradia pavimenti, tappeti, tende e pareti pare quasi volerci svelare un segreto. E allora il tempo appare sospeso. E ha tutta l’aria di un’attesa. Un’attesa costruita da una pennellata dinamica, rapida, graffiante, ma tutta impastata di chiarore. Quando guardo i dipinti di Tina Sgrò ho quasi sempre la sensazione di essere finita nella vita di qualcuno. L’atmosfera rarefatta dei suoi interni o dei suoi scorci paesaggistici e urbani, ha l’odore di un ricordo molto personale. Bisogna osservarli con calma e un certo raccoglimento, bisogna entrarci come si entra in una stanza che non ci appartiene. A piedi nudi e cuore aperto. Luce, memoria. Silenzio. Tina Sgrò, vive e lavora a Reggio Calabria. Questa è la sua Voce Creativa per voi.

Chi sei?

Mi chiamo Tina Sgrò. Sono del segno dei Pesci.

Quale buio ti fa paura?

L’indifferenza, l’ipocrisia, la cattiveria.

Perché dipingi?

Dipingo perché voglio vedere il mondo a modo mio, lo voglio trasformare. Lo voglio inventare.

Dove sei quando sei nella pittura che fai?

Mentre dipingo sono nelle stanze della memoria e del sogno.

Se non fossi un’artista chi saresti?

Sarei una criminologa. Adoro i misteri e combatto per svelare le cose irrisolte.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Una donna deve farsi promotrice della sua vera identità, non stereotipata, non “gentile”. Senza giudizi, ma con la consapevolezza che fare arte è una missione destabilizzante. Che deve cioè rompere equilibri e strutture culturali sessiste e misogine.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Sì. L’opera è sempre autobiografica. Si fa ciò che si è.

Da dove nasce la tua ricerca?

Cerco poesia nelle cose della vita. Nel loro consumarsi. Nel loro rigenerarsi.

La tua pittura è fatta di gesto, è vibrante. Quando hai affinato questa tecnica?

Negli ultimi anni ho perfezionato la tecnica. Osservazione e impatto.

Le tue stanze pervase da luce, fatte di una realtà fuggevole, sono luoghi a te cari?

La mia ricerca nasce da una volontà ben precisa: non rivelare l’oggetto, non svelarlo. Renderlo veloce e vivo. Sarà poi il fruitore a dargli forma e identità.

Un dipinto tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

È un dipinto che ritrae un angolo di casa dei miei genitori. Una situazione che non c’è più. Amo molto quel dipinto.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

La memoria è la genesi del gesto e dell’atmosfera dei luoghi e delle cose. Il ricordo, come struttura e intimità.

Credi in Dio?

Credo in una fede.

A ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Non ci sono testi specifici ma in generale cataloghi di pittura e libri di poesia.

Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Alba sui monti, un dipinto del 2014 che ritrae un paesaggio delle montagne all’alba. Vigore ed energia delle prime luci del giorno. Consolle, un dipinto del 2012 che ritrae un mobile barocco. I toni caldi e i capricci gestuali del pensiero barocco fanno di questa opera una delle mie preferite. Doppia luce, un’opera del 2013 che nel suo assetto geometrico, mira a restituire la luce attraverso una precisa struttura: è la doppia visione di una dimensione compatta e silenziosa.

L’opera d’arte che ti fa dire: “questa avrei voluto realizzarla io!”?

La morte della Vergine del Caravaggio. Sublime, inarrivabile.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Artemisia Gentileschi, per la sua lotta e la sua audacia. Oltre al grandioso talento pittorico.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Vecchio, viziato, provinciale.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

La scrittura e la gestualità quotidiana. Sono anche diplomata in Solfeggio.

Work in progress e progetti per il futuro.

Ho in preparazione una collettiva a Mikonos, presso una importante galleria, e poi delle mostre personali a Milano e Torino.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Vivi e lascia vivere (fondamentale).