Assume una valenza particolare ritrovare in questa occasione l’opera di Simone Pellegrini, nuovo protagonista degli eventi che il LabOratorio degli Angeli, come ormai da tradizione, promuove nei giorni di Arte Fiera.

Negli anni abbiamo avuto la fortuna di confrontarci con il lavoro di artisti dalla carriera solida e riconosciuta, offrendo l’occasione – pressoché unica nella ricca offerta culturale bolognese – e di approfondire la conoscenza del lavoro di un artista anche in relazione alle metodologie allestitive e conservative più adatte alla sua pratica. Si aggiunge, poi, l’innegabile fascino degli spazi del laboratorio di restauro, suggestiva scenografia che ci regala sempre nuove connessioni con le opere esposte al suo interno.

Con Simone Pellegrini abbiamo rinnovato questo incontro tra contenuto e contenitore trasformandolo in un’osmosi profonda, una sinergia che rende Sensorio Indiscreto un nuovo importante tassello nella nostra ricerca. È indubbio, infatti, il dialogo che il suo lavoro riesce a stabilire con questo luogo, che entra in relazione a più inclinazioni della sua ricerca. La prima, la più evidente, il rapporto con il sacro che ne coglie l’opera nella sua essenza. Ci ritroviamo in una ex Chiesa di epoca prerinascimentale intitola alla Vergine protettrice degli orfani che storicamente risiedevano in questa strada. Una funzione originaria che, nonostante le trasformazioni subite dallo spazio nel tempo, resta preminente. Qui le grandi carte di Simone Pellegrini risaltano e si rivelano quasi come epifanie dello spirito umano di cui l’artista sembra farsi tramite con la sua arte. Il suo gesto si svela in un rapporto tra carne e anima fondato sul contatto che avviene attraverso il senso, sollecitato in ogni sua estensione. La visione del tratto e dei pigmenti, la matericità della carta, l’odore dell’olio che resta a lungo intenso diventando quasi parte integrante dell’opera.

Non è il messaggio che interessa a Pellegrini, che pur immancabilmente si cerca di decifrare, ma il modo in cui esso viene veicolato in visioni oniriche e primigenie. Il suo lavoro sembra procedere per libere associazioni di immagini che egli imprime sulla carta con un procedimento simile alla stampa per monotipo. Un automatismo che ricorda la pratica surrealista, ancora più evidente nella serie dei libri, che ritroviamo esposti nella sala della Biblioteca. Sui testi che hanno da sempre ispirato il suo pensiero, Pellegrini traccia immagini libere, astrazioni originate dall’atto della lettura. Il tratto è solido, definito e sintetico. Testo e immagini sono realtà slegate eppure connesse nell’azione dell’artista. Su queste pagine si ritrovano i prodomi delle composizioni che Pellegrini dispone sulle carte: egli crea i fonemi di un linguaggio visivo che si rivela ogni volta nuovo e unico, seppur fermo nella sua riconoscibilità.

La pittura di Pellegrini è essenziale. Raffinata e solida. Maschile e femminile si alternano e si condensano in un’arte senza tempo, anicronica. Le figure occupano lo spazio con fermezza, restando leggere come immerse in un fluido. I colori primari, il rosso e il nero, i motivi geometrici, la figura umana ridotta nelle sue forme essenziali: Pellegrini è il cantore di un rinnovato primitivismo, ancestrale e mistico, in cui esalta la sacralità della scena forte e presente anche nel modo in cui egli espone l’opera. Le ritroviamo allestite come sindoni di un processo creativo, appese a un muro o disposte su un tavolo che si fa altare per la sua arte.

Il rapporto con il luogo si rinsalda ulteriormente nella scelta dell’artista di lavorare con la carta, materiale per il quale il LabOratorio degli Angeli si distingue tra le sue attività. Lacerata, scalfita, ricongiunta e sovrapposta in più punti: la superficie cartacea mostra la sua essenza quale corpo che su di sé porta i segni del vissuto. Sono queste le tracce di un’azione e di una presenza che Pellegrini imprime sull’opera, prima di dematerializzarla con il segno verso una dimensione altra. È il continuo rimando corpo/spirito che svela l’essenza dicotomica del percorso creativo dell’artista. Il corpo-supporto esplora zone di coesistenza e di confronto con il basso e il materico; lo spirito-immagine dipinta lo purifica e lo esalta in una trascendenza che travalica la sua corporeità. Il risultato è una vertigine, un’intensità di visione che porta all’introflessione e all’estroflessione dello sguardo in modo caotico.

L’opera di Simone Pellegrini ci cattura in uno stato ipnotico, conduce la mente in una confusione in cui ci si abbandona totalmente. La sua natura si mostra in un percorso a perdersi nei dettagli e nei particolari in cui si è sedotti dall’accuratezza del gesto pittorico. Pellegrini nel suo lavoro ci invita a un viaggio, a vivere una sospensione, a perderci nella meditazione.

Testo di Leonardo Regano