La chiesa dedicata alla Madonna dell’Orto, nello storico quartiere Trastevere in Roma, venne fondata a seguito di un evento miracoloso che provocò un sentimento di autentica devozione.

Più precisamente, un ritratto della Madonna collocato sul muro perimetrale di un orto, a seguito del miracolo della guarigione di un viandante, ottenne il riconoscimento del culto alla Madonna dell’Orto e l’approvazione, nel 1492, da Papa Alessandro VI Borgia, della costituzione in Confraternita. Neanche trascorso un secolo, nel 1588, essa venne elevata al rango di Arciconfraternita da Sisto V, con la concessione di speciali indulgenze, ed ancora nel 1657 il Capitolo Vaticano conferì alla Madonna dell’Orto la corona d’oro di immagine autenticamente miracolosa.

Così avvenne che tredici corporazioni laiche, attive in prevalenza nel settore alimentare, sotto il nome di “Universitates” fondarono la confraternita dedicata alla Madonna dell’Orto con lo scopo di costruire una cappella dove collocare l’immagine miracolosa. Sfruttando la loro posizione quasi monopolistica nel rifornimento, anche per il clero, delle derrate a Roma, gli Horticiani si mossero con abilità affinché vi fosse una grande risonanza per l’evento miracoloso compiuto dalla loro Patrona. I risultati di questa campagna non tardarono ad arrivare, rendendo possibile la creazione della prima edicola votiva dedicata al culto mariano. Cominciò così un circolo virtuoso grazie al quale le Universitas degli Ortolani e Garzoni degli Ortolani, dei Limonari (1559), dei Molinari (1563), dei Mercanti e Sensali di Ripa e Ripetta (1567), dei Pizzicaroli (1568), dei Pollaroli (1580) e, infine, dei Vermicellari (1638) ebbero la possibilità di affermare la propria presenza, nonché il proprio potere.

A partire dalla seconda metà del Cinquecento, le Università, sempre più in competizione fra di loro per dimostrare ricchezza e spirito devozionale, si profusero in donazioni attraverso le più disparate modalità.

L’impianto architettonico del complesso e la facciata

Le notizie riguardanti la primitiva edicola votiva sono alquanto scarse; al contrario analizzando i documenti d’archivio è possibile affermare che l’edificio originario, consacrato nel 1524, venne notevolmente ampliato e portato allo stato attuale tra il 1553 ed il 1563 con lavori diretti dall’architetto Guidetto Guidetti, mentre per le decorazioni ad affresco nell’abside lavorarono Taddeo e Federico Zuccari e, sopra l’altare maggiore, opera di Giacomo Della Porta del 1598, venne finalmente collocata l’immagine miracolosa della Madonna dell’Orto.

La facciata principale della chiesa – tradizionalmente considerata opera di Martino Longhi – è stata definitivamente riattribuita, sulla scorta di un’analisi stilistica, a Iacopo Barozzi da Vignola, che la progettò assistito dal figlio Giacinto; i lavori per la sua realizzazione iniziarono nel 1566 e vennero terminati, dopo undici anni, da Francesco da Volterra.

Il prospetto si articola in due ordini architettonici, ionico quello basamentale e corinzio quello superiore, raccordati da due volute ad arco. Con l’aggiunta dell’orologio, l’apertura del finestrone, in sostituzione dell’oculo vignolesco, e la scomparsa dei gradini in corrispondenza del portale principale (in seguito al rialzo del piano stradale, avvenuto nel 1800), la facciata assunse il suo aspetto attuale.

L’interno della chiesa venne notevolmente arricchito, soprattutto dal Seicento in poi, con affreschi e stucchi che andarono a sovrapporsi alla struttura architettonica cinquecentesca.

Il pavimento

Il progetto e la realizzazione del pavimento in marmi policromi furono opera di Gabriele Valvassori; l’opera si poté realizzare grazie alle donazioni delle diverse Università.

Nel progetto generale, Valvassori si rifece alla tradizione tardocinquecentesca che prevedeva l’uso di grandi lastre di marmo e di guide per richiamare la scansione delle navate e la forma delle volte e, quindi, segnare le campate impiegando schemi centrici. Anche le pietre tombali trovarono la loro precipua collocazione all’interno di questa nuova trama. Le camere sepolcrali dovevano rimanere accessibili, anche se perfettamente integrate nel disegno, e Valvassori, tenendo conto anche della forma di alcuni ambienti sotterranei, riprogettò il disegno delle pietre amovibili impiegando le tre cromie da lui scelte.

Oltre la struttura: gli apparati decorativi

Le disponibilità finanziarie del sodalizio horticiano consentirono ai confratelli di chiamare personalità dotate di grande prestigio nel panorama artistico romano: le opere di architettura e la compagine decorativa ad affresco ed a stucco della chiesa, realizzate a partire dalla metà del Cinquecento e fino al Settecento, testimoniano come essi fossero interessati a seguire ed a realizzare per il loro luogo di devozione opere che fossero in linea con le correnti artistiche dell’epoca.

Nel corso del XVI secolo furono attivi nella chiesa Niccolò Martinelli detto il Trometta (1535 c.-1611), esponente della cultura ‘internazionale’ di età sistina, Taddeo (1529-66) e Federico (1539-1609) Zuccari, due tra i maggiori pittori romani dell’epoca, ed infine il pittore romano Giovanni Baglione (1566 circa-1643) che abbellì la chiesa con un notevole numero di opere realizzate con tecniche diverse (affresco, tela, olio su muro).

A meno degli interventi di restauro ottocenteschi, l’aspetto attuale della chiesa è quello che le venne conferito entro la prima metà del Settecento. Venne conclusa la decorazione ad affresco degli spazi rimasti ancora liberi, per la quale, i confratelli si rivolsero a pittori che facevano riferimento al gusto egemone governato dall’Accademia di San Luca della quale Carlo Maratti (1625-1713) era l’artista più famoso ed autorevole della seconda metà del Seicento.

Il transetto e l’abside

Gli Zuccari affrescarono la parete di fondo dell’abside, collocando su due registri – probabilmente entro il 1556, anno nel quale venne solennemente collocata sull’altare l’immagine della Madonna – le quattro scene mariane: Sposalizio della Vergine, Visitazione, Natività e Fuga in Egitto.

Gli affreschi presenti all’interno delle due cappelle del transetto, realizzati nell’ultimo decennio del Cinquecento, sono di Niccolò Trometta che certamente ideò la compagine figurativa complessiva. Le Storie della Passione nella cappella del Crocefisso (braccio destro del transetto, patronato dell’Università dei Pollaroli) vennero dipinte tra il 1591 ed il 1595, mentre gli affreschi della frontistante cappella di San Francesco sono datati 1595.

La navata laterale sinistra

Per la prima cappella della navata laterale sinistra (patronato dell’Università degli Ortolani) il Baglione realizzò le tre tele tuttora qui collocate: il San Sebastiano curato dagli angeli sull’altare, firmata e datata 1624, il Sant’Antonio di Padova e il San Bonaventura sulle pareti laterali. La seconda cappella (patronato dell’Università dei Pizzicaroli), dedicata a San Giovanni Battista, venne completamente rifatta in occasione del giubileo del 1750 ad opera di Gabriele Valvassori, in quegli anni architetto fabbriciere.

Alla struttura valvassoriana in marmi policromi fa da contrappunto la pala d’altare, il Battesimo di Cristo, di Corrado Giaquinto (1703-66). La pala d’altare venne affiancata da due tele, poste sulle pareti laterali, di Giuseppe Ranucci da Gaeta (doc. 1725-82): la Predica del Battista (1749) e la Decollazione del Battista. La terza cappella dedicata ai Santi Carlo, Bernardino e Ambrogio (patronato dell’Università degli Scarpinelli) vide il Baglione impegnato negli ultimi anni della sua vita per la realizzazione delle tele e degli affreschi. Nella pala d’altare è raffigurata la Madonna con il Bambino e i Santi Ambrogio, Carlo Borromeo e Bernardino.

La navata laterale destra

La prima cappella della navata laterale destra (patronato dei Sensali e dei Mercanti di Ripa e Ripetta) venne realizzata nel 1561 per iniziativa di Anselmo Speculino. L’Annunciazione affrescata sull’altare è attribuita da alcune fonti a Taddeo Zuccari, da altre, a seguito del recente reperimento di nuovi documenti, al fratello Federico. Virginio Monti (1852-1942) eseguì gli affreschi di San Gabriele arcangelo, nel 1875, e di San Giuseppe, nel 1878, tra le prime prove della sua lunga e prolifica carriera romana.

Nella seconda cappella (patronato dell’Università dei Vermicellari), dedicata a Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Antonio, lavorò il pittore reatino Filippo Zucchetti. Attivo prevalentemente a Roma, eseguì la pala ad olio con Le nozze mistiche di Santa Caterina con Sant’Antonio e i due dipinti laterali ad affresco con San Pietro e San Paolo nel 1710.

Nella terza cappella (patronato dell’Università dei Vignaroli) Giovanni Baglione affrescò la Madonna con il Bambino e i Santi Bartolomeo, Giacomo e Vittoria, dipinto nel quale la Madonna mostra il Bambino ai tre santi inginocchiati ai suoi piedi.

Le volte

L’apparato decorativo a stucco e ad affresco delle volte dell’intera chiesa fu realizzato nei primi anni del Settecento e conferisce, tuttora, al tempio mariano il suo caratteristico aspetto sontuoso e sfarzoso. I primi affreschi ad essere realizzati furono quelli della volta a vela, all’incrocio fra la navata centrale ed il transetto, e quelli dei pennacchi, dagli studiosi concordemente attribuiti ai fratelli Giuseppe e Andrea Antonio Orazi entro il 1704. L’Immacolata Concezione è il soggetto raffigurato sulla volta, mentre sui pennacchi compaiono quattro figure allegoriche, di soggetto mariano, che celebrano le Virtù della Vergine. Nei catini delle volte dei due bracci del transetto si trovano: a sinistra, la Resurrezione, un affresco del palermitano Giacinto Calandrucci (1646-1707), generalmente datato 1703; a destra, la Gloria di San Francesco, attribuito a Luigi Garzi o a suo figlio Mario.

L’Arciconfraternita e la manutenzione del complesso architettonico oggi

La venerabile Arciconfraternita di Santa Maria dell’Orto ancora oggi svolge un ruolo fondamentale nella missione cristiana ed ecclesiale, il suo infaticabile Camerlengo, Domenico Rotella, anche al fine di farne meglio conoscere la storia secolare avviata attorno all’immagine taumaturgica ha recentemente pubblicato il volume S. Maria dell’Orto e i suoi segreti. Una storia romana dal 1492, edito dalla “dei Merangoli Editrice”. A causa dell’umidità ascendente dal terreno (siamo vicini al fiume Tevere) e a vecchie infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto e della presenza di lesioni murarie, molti affreschi sono particolarmente danneggiati. Per questo motivo l’Architetto fabbriciere (cioè il responsabile della conservazione del complesso architettonico), Williams Troiano – coadiuvato dallo Studio Azimuth147 di cui è cofondatore insieme all’architetto Claudia Bisceglia – da oltre dieci anni è fortemente impegnato nel restauro della struttura portante e dell’apparato decorativo, così come in una complessa campagna di rilievo architettonico condotta attraverso sofisticate tecnologie.