Galleria P420 è lieta di presentare la mostra collettiva Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina.

Cinque artisti, cinque processi pittorici, diverse geografie, storie, battaglie con la forma. Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina esalta le diversità all’interno di un’unica disciplina, contrastando l’idea di network e di connessione necessaria.

Si sono riunite cinque personalità; le si espone nella maniera più schietta possibile in una mostra che sin dal titolo è denotata unicamente dal nome proprio dell’artista. Lo spazio di P420 ospita in un sol colpo innumerevoli battaglie pittoriche.

Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina è un’esposizione fortemente convinta del fatto che la pittura, quella astratta come quella figurativa, vada ben oltre l’immagine e la rappresentazione. Per questo si è selezionato un gruppo di artisti fortemente process-based, artisti che giocano la propria intelligenza umana e visiva nell’intuizione e nel tempo del fare, anche a costo di fare male, di rinunciare alla politezza dell’opera, in favore di una violenza costruttiva ed emotiva che va oltre il risultato, oltre l’oggetto, e agisce e basta.

Con l’opera del polacco Adrian Buschmann (Katowice, PL, 1976) si entra nei segreti passaggi della più raffinata, studiata seduzione mitteleuropea; la pittura è docile, silenziosa, si nasconde dietro un grande ventaglio di linee impercettibili e superfici ampie ed eleganti, si svela ‘sorella aperta’ di un’architettura e di un design di area austro-tedesca coltivati dal chirurgico occhio di Adrian, mago urbano, saltuario commentatore della società.

Assenza di contrasto tonale, languore e profondità del pigmento, danza, monolitico sfiorarsi dei corpi, composizioni dominate dalla carne liscia, bruciature sulla carne spessa: ecco il dominio dell’inglese George Rouy (Sittingbourne, UK, 1994). L’opera di George è portabandiera della speranza che in pittura il corpo possa tornare a essere pericoloso e ribelle; nella sensualità dei suoi dipinti, George è vicino alla pittura sacra.

L’americano Peter Shear (Beverly Farms, Massachusetts, US, 1980) sperimenta cento diverse intuizioni. In ogni opera del suo vasto repertorio si dedica a una particolare sfida pittorica; ogni sfida si giostra in una definita economia dei mezzi e in un dato, seppur inconscio, riferimento storico-artistico. Il suo processo è aperto, ironico, fortemente intellettuale senza per questo perdere la propria intimità che è forte, attenta agli edges del dipinto, esplosa e spessa.

L’italiana Sofia Silva (Padova, IT, 1990) gioca d’azzardo, in territori brulli, sul filo del rasoio pittorico. Le opere e le stoffe dell’artista sono tagliate con la spada di Giovanna d’Arco, contro ogni illusione, ogni tecnicismo, ogni luogo comune, persino contro ogni opposto del luogo comune, per una pittura più crudele, artaudiana, capace di esprimere una violenta sessualità femminile. Sofia presenta.

La tedesca Tamina Amadyar (Kabul, AFG, 1989) circoscrive le proprie pennellate in aree di due colori la cui interazione permette d’interrogarsi sullo spazio, sulla profondità visiva. Le luminose tele di Tamina parlano di azioni, permettendo di riconoscere i movimenti compiuti dal corpo dell’artista nel dipingerle; ricordano che l’opera, sia essa grassa o scarna, deve respirare e saper accogliere il tempo del silenzio, ponendo un dito dinanzi alle proprie labbra.

Obbiettivo di Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina è quello di essere una mostra difficile, felice di causare un leggero mal di testa.