Contemplar vorrei
all’alba tra i fiori
il volto divino.

Basho (1644 -1694)

Secondo il Sutra del Loto della Legge buddhista, Mandarava è il vocabolo sanscrito che nomina il fiore del paradiso disceso a pioggia sul capo dell’Illuminato per proclamare la gloria del perfetto compimento spirituale. Fiore dei fiori, entità multiforme, stella cosmica. Nella moltitudine delle rinascite necessarie per pervenire all’essenza della coscienza compassionevole, il prodigio della sua fioritura segnala la forma meditativa di un risveglio: l’accordo universale e simultaneo della vibrazione armonica - tra Natura Umana e Divina - nel costante svanire e rigenerare di ogni cosa, la via interiore propizia all’assunzione dell’impermanenza. Per celebrare il canto sovrano del vivente. Il canto del vivente, sopra ogni cosa.

L’impronta del femminile più remoto che Patrizia Garavini ha tradotto negli anni in forme arcaiche (figure totemiche, dee madri, alberi guerrieri, tavole dell’accoglienza, imbandigioni, fiamme e meduse; oltre a melagrane, aironi, canneti, elementi vegetali, reti decori e tessiture di ogni tipo; come la grande tenda in fil di rame), trova in Mandarava1 la forma dell’attuale dimensione. Con evidente richiamo al simbolismo buddhista e alla visione della caducità, sostanziando la celebrazione del bianco assoluto, l’artista si immerge nella bellezza riassumendo piacere estetico, ecologia della sensibilità, forma imperfetta del divenire.

Fiori bianchi in maestà che paiono inneggiare tanto al trionfo quanto alla pudicizia; nella loro abbondanza il ricordo dell’eterno, di una predicazione, di un’ascesa e discesa che sussurra la grazia del rinascere. Fiori bianchi che sembrano calle ma calle non sono; piuttosto, boccioli di fior di loto, tintinnaboli, intervallati da colori ramati attorcigliati azzurrognoli; in bianco del vuoto, bianco assoluto, bianco d’oro, bianco abbondanza di ammantata screziatura, bianco che avvolge e che sorregge, sottile di soffio essenziale. Nient’altro che il bianco in cui sostare.

Il concerto dei fiori non ha peso e canta nella musica il suo armonioso sentimento; qua e là, tutto è punteggiato di colore, tutto è evocazione, convocazione, durata, impermanenza, rinnovamento, eterno movimento. Tutto è respiro e danza, tutto è universo e tutto è sacro, tutto è eterno presente fosforico metamorfosante. Negli archivi dei mondi di tutte le nascite, i rotoli della delicatezza si dischiudono; nelle curve del tempo, l’inno degli accordati alberi, l’invocazione all’amorevolezza. Lo spirito magro dei fiori somiglia alla nostra anima migratoria. Anima errante, anima migrante, trasmigrante.

Animula vagula blandula, direbbe Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, aprendo il celeberrimo romanzo proprio coi versi con cui l’imperatore si prepara a congedarsi dalla sua anima, dopo aver tutto vissuto, apprestandosi all’incontro col grande mistero. Anima mia, dicono gli amanti nei sospiri infuocati d’amore e desiderio, nelle convulsioni degli occhi riconosciuti dai millenni, nel tempo perfetto della soave eternità. Anima bianca in coro, fiore discendente e rampicante, sembra dirci Patrizia; ci estendiamo fino alla sommità delle sfere celesti e dalle sfere celesti proveniamo, ripercorriamo in miniatura l’andamento di tutte le forme dell’esistere. L’artista illustra questo stato dell’essere, ci invita a entrare. Dentro a un giardino bianco di respiri floreali. Silenziosi, elegantissimi.

Il sacramento del bianco si diffonde portando garbo e carità, in un catalogo di tenerezza che punta alla voluttà del supremo ondeggiamento, nel corpo estatico – delicatissimo - cui sono soggette tutte le cose. La cifra carezzevole è sontuosa, l’istinto primario della regalità culla la leggiadria dell’istante, il momento perfetto si estende in ogni corolla.

Così, è nella cascata monumentale dei fiori pencolanti (quasi duemila) che si dispiega tutta la poetica dell’artista, rinnovando il gesto plastico per sontuosa rarefazione. Il dettato antico della delicatezza si innerva allo struggimento della bellezza senza tempo, la disciplina del pieno e del vuoto sostanzia il mutamento. Entra nella sfera delle metamorfosi Patrizia Garavini, partecipa di quella del sogno, si spinge inesorabile fino al canto del mondo fluttuante, biancheggiando con le sue animelle tremolanti in vento di trascendenza monastica. E par che dica all’anima, sospira...

Natura sospiro vivo, sospiro luce, movimento poetico. Il segreto e il sacro diventano cosa sola, il mistero inesplicabile diviene disadorno; l’anima, cisterna del divenire. Questa la chiosa, questo il compendio del poema in bianco, in finitura di brezza sottilissima. La risposta è nel vento tra le foglie, pare dirci l’artista, nel manto che discende, nel petalo che si schiude. Divinamente sovrana, la chiaroveggenza della Natura contiene l’incontenibile e ci protegge, smaltando le superfici. La consolazione è ovunque, il luogo della beatitudine è interiore, le ferite fioriscono nel bene che evolve, nel bene che torna. Nel diventare fiore sopra a ogni cosa.

Inesausta la potenza del divenire fiore; fiore che diventa alba, alba che diventa aria, l’aria luce, la luce colore, il colore bianco, il bianco spirito, mentre tutto ricomincia, senza fine né principio. Siamo rimasti millenari, arcaici, inviolabili; per qualità d’amore, siamo miracolo su cui scrivere la mandorla della nostra sostanza inconsumabile, l’ossatura scheletrica del nostro alito perpetuo, l’ardimento del nostro diaframma, tra cielo e terra. Siamo petalo di loto, albero, ramo, foglia, universo, bontà.

Allora fiorite, fiorite tutti. Fiorite ancora. Questo è il risplendere.

1 Mostra dedicata a Patrizia Garavini: Mandrava. Fiori in campo. Forlì Fondazione del Monte, 4 maggio - 2 giugno 2019.