Venerdì 15 marzo Raffaella De Chirico inaugura la personale del fotoreporter spagnolo Diego Ibarra Sánchez, “Alive and Well”, in mostra fino al 27 aprile 2019.

Quando l’istruzione viene devastata dalla guerra, questa genera un effetto catastrofico sull’educazione e sull’infanzia di intere generazioni di bambini. “Hijacked education”, educazione depredata, questo il titolo del progetto fotografico sull’istruzione perduta di Diego Ibarra Sánchez che nasce nel 2009 in Pakistan e dal 2014, dopo la scelta del fotogiornalista di fare di Beirut la sua base operativa, si sviluppa anche in altri paesi come Siria, Iraq, Libano e Colombia. “L'obiettivo è quello di realizzare un resoconto personale e universale che mostri come la violenza, l'estremismo, l'intolleranza e la paura stanno spazzando via il futuro di un'intera generazione di migliaia di bambini” afferma il fotoreporter.

Ci sono scuole distrutte e abbandonate, insegnanti e studenti costretti all’esilio, libri bruciati, fotografie sul terreno, identità perse e rubate. Aule vuote, accatastate, ammucchiate, coperte dal vuoto dell'ignoranza. Contemporaneamente a nord del Mar Nero, a causa del conflitto armato tra Ucraini e separatisti sostenitori della Russia, si forma a un’altra realtà, non meno drammatica. Nelle scuole, nei club e nei campi estivi centinaia di bambini giocano a far la guerra, mentre vengono addestrati in discipline militari e in tattiche di fuoco.

Maschere antigas, pistole di legno, finte trincee e granate coesistono con inni patriottici e di odio verso il nemico, divenendo parte integrante di un’iniziativa nazionale per l’educazione militare-patriottica della popolazione. L’infanzia viene erosa dal conflitto e si trasforma in un mezzo per la diffusione della propaganda politica. L’educazione è, in questo caso, depredata dal patriottismo. Gli scatti di Diego Ibarra Sánchez divengono quindi non solo una finestra su un mondo tumultuoso e violento, non solo una lotta alla divulgazione di storie mai raccontate, ma un mezzo per sollevare domande e fornire risposte non stereotipate, il tutto attraverso una particolare sensibilità estetica che conduce lo spettatore al centro focale della tragedia.