Picasso prima di Picasso. Prima del cubismo, dell'astrazione, del surrealismo. Prima dell'impegno civile e politico, del sarcasmo e dell'ironia con cui tante volte nei suoi dipinti ci ha restituito la realtà. Picasso all'alba del genio, quando i suoi quadri non li voleva nessuno e lui divideva una salsiccia mezza vuota con Max Jacob e batteva i denti dal freddo in una stanza che pomposamente chiamava 'atelier' dove non c'era né un filo d'acqua per lavarsi, né un tavolo per mangiare. “Ma dove è scritto che il successo va sempre a coloro che assecondano il gusto del pubblico? Per quanto mi riguarda, io volevo dimostrare che si può avere successo a prescindere da tutto, senza compromessi”.

E così è stato. Se i dipinti del suo periodo blu, quattro anni di stenti e privazioni vissuti tra Barcellona e Parigi, sono stati all'inizio ignorati e persino disprezzati dalla critica e dai collezionisti, oggi hanno ormai conquistato l'intero pubblico, raggiungendo alle aste cifre astronomiche. Raro poterli vedere tutti insieme, nella loro evoluzione, fino al più luminoso periodo rosa e alle prime geometrizzazioni delle forme che hanno portato alle Demoiselles d'Avignon e poi al cubismo. Sette anni per incoronare Picasso come l'artista più famoso del XX secolo e per rivoluzionare il linguaggio della pittura.

La Fondazione Beyeler di Basilea ha raccolto 75 dipinti e sculture di questa fase creativa, oggi dispersi nelle collezioni private e nei vari musei del mondo, non solo europei e americani, ma anche giapponesi, cinesi e russi, riuscendo a rendere visibile un percorso che fu umano e stilistico insieme. Perché qualsiasi rivoluzione non nasce una mattina diversa dalle altre, ma è un viaggio verso un mondo sconosciuto, un'esplorazione che in pittura passa attraverso linee, forme e volumi nati nel passato e giornalmente trasformati con le emozioni, la sensibilità, l'esistenza stessa dell'artista. Ci si può chiedere se le opere di un autore sono lo specchio diretto della sua vita, oppure se derivano da elaborazioni profonde che appaiono lontane dalla sua quotidianità.

Un artista camaleontico come Picasso offre entrambe le possibilità, ma è evidente che in quei primi anni tra Parigi e Barcellona, quando tutto il mondo gli appare filtrato da una cortina di blu, la miseria e i drammi degli uomini e delle donne che escono dal suo pennello monocolore sono gli stessi che lui sta vivendo.

La Celestina, con il suo sguardo freddo, quasi crudele, si ispira alla tenutaria di un bordello di Barcellona; ne La vita, quadro manifesto dell'intero periodo blu, il volto dell'uomo in primo piano è quello di Carlos Casagemas, l'amico di Picasso che si suicidò a Parigi sparandosi un colpo alla tempia dopo aver tentato di uccidere il suo grande amore, Germaine. E il dito 'fallico' della sua mano sinistra indica nell'impotenza la causa di quel gesto, come Picasso avrebbe spiegato più tardi.

In Arlecchino e la sua compagna, manifesto della solitudine e dell'incomunicabilità, la donna ha il volto di Germaine, con cui Picasso ebbe un breve legame subito dopo la morte dell'amico. E ancora la Donna Triste, sola e assente, con lo sguardo a terra, è una delle 'ospiti' della prigione di Saint-Lazare, dove l'artista si recava spesso in cerca di soggetti, mentre l'Autoritratto (1901) con la barba irta e il viso emaciato ci mostra un Picasso ben più vecchio dei suoi 20 anni, oppresso dalla miseria e dall'angoscia.

D’altra parte, è al numero 13 di rue Ravignan (oggi piazza Emile-Goudeau), a Montmartre, quartiere di derelitti, malfattori e prostitute che viveva il giovane spagnolo, insieme a molti altri artisti ai limiti della società. In quella assurda costruzione di legno raggiungibile attraverso un ponte, 'ghiacciaia d'inverno e stufa d'estate' si trascorrono giorni e mesi, qualche volta senza neanche poter uscire perché mancano le scarpe. Nella stanza di Picasso una bacinella di terracotta gialla è sempre colma di acqua sporca; cavalletti, tele e colori sono dappertutto in un disordine che è pari al caos. La sua empatia per i sofferenti, gli afflitti, gli affamati non è difficile da comprendere, anche se di quella miseria umana lui è riuscito a fare capolavori.

Lo stesso Picasso, molti anni più tardi, ormai diventato una star dell'arte, rinnegherà quelle opere piene di carità e indulgenza. “Erano solo sentimento”, sarà il suo giudizio. Ma è pur vero che la vita al Bateau-Lavoir aveva anche aspetti ludici: le sere nelle bettole - ovviamente senza soldi per pagare - i travestimenti di Max Jacob, gli scherzi, gli amori.

Come sempre i momenti difficili della gioventù possono diventare fasi eroiche ed è anche così che i loro protagonisti le raccontano. “Ecco Napoleone e i suoi marescialli”: additavano nei locali malfamati di Montmartre la cosiddetta 'banda Picasso'. E i molti disegni erotici e caricature di quegli anni ci mostrano anche l'altro lato della medaglia, quello del divertimento, a volte eccessivo e sfrenato, come eccessiva era la miseria.

Napoleone ovviamente era lui, Picasso, “occhi cupi, profondi, penetranti, strani, quasi fissi”, come lo descrive Fernande Olivier, la sua prima donna importante. Sempre malvestito e malcurato, con le espradillas e una tuta blu scolorita dai lavaggi. Blu come la disperazione che dipingeva. Sempre lui, il Napoleone spagnolo, spesso un po' misterioso e triste come le molte figure di Arlecchino che ci accompagnano nella sua lunga carriera artistica.

L' Arlecchino seduto, probabilmente è il primo della serie: incarna l'artista errante, in molti casi, lo stesso Picasso. Ed è proprio questa maschera, insieme agli acrobati e ai saltimbanchi, a popolare molte tele del periodo rosa, quando il circo Medrano era uno degli appuntamenti settimanali dell'intera 'banda'. Non sono scene di spettacolo quelle che ci appaiono in una sfumatura di colori che va dal rosa al rosso fino all'ocra, piuttosto è ciò che accade dietro le quinte a interessare Picasso, l'atmosfera familiare, pur sempre rassegnata, ma meno avvilita e inquieta rispetto alle immagini degli anni precedenti. Tuttavia, ancora vi si leggono molti episodi legati alla sua vita.

Con Famiglia di saltimbanchi con una scimmia ci racconta la storia di una paternità mancata. La donna che tiene teneramente in braccio il bambino ha, infatti, il volto di Madeleine, giovane modella e amante di cui non si è mai conosciuto il cognome e che è scomparsa senza lasciare traccia. Non avrebbe voluto un figlio di Picasso, o lo avrebbe perduto, lasciando un segno profondo sull'artista. Tuttavia, proprio lei sembra aver contribuito a determinare quella maggiore leggerezza, visibile in una tavolozza più chiara dove i toni rosa sono prevalenti. Non c'è da stupirsi: vivere senza una compagna per Picasso non avrebbe avuto senso e i suoi molti amori hanno sempre significato l'inizio di nuove ricerche. “Io non cerco, trovo”, diceva lui, lapidario.

In realtà, nei suoi anni al Bateau-Lavoir Picasso non smise mai le sue ricerche plastiche e formali che lo portarono alle Demoiselles d'Avignon. È il 1906 quando le forme si semplificano e cominciano a confondersi in spazi indifferenziati: Nudo con le mani giunte ne è un esempio. Nel suo nuovo Autoritratto il volto diventa una maschera e le forme si fanno sempre più geometriche. A Gosol, villaggio spagnolo dove trascorrerà alcuni mesi insieme a Fernande Olivier, la trasformazione porta segni ancora più evidenti e radicali. L'anno della 'rivoluzione', il 1907, si avvicina e da quel momento non ci saranno più né sentimenti, né poesia, né bellezza, ma solo il coraggio di un linguaggio moderno e anticonformista. “L'insegnamento accademico della bellezza è falso”, disse molti anni più tardi. “Ci hanno ingannato così bene che non si riesce più a trovare neanche l'ombra di una verità”.

La mostra Il giovane Picasso. Periodo blu e rosa (fino al 26 maggio 2019), curata da Raphaël Bouvier è accompagnata da un'altra mostra che prosegue il cammino dai primi anni del cubismo fino alle ultime opere passando attraverso nuove fasi di vita e di stile dell'artista. La Fondazione Beyeler oggi possiede e conserva 30 dipinti del grande maestro del Novecento e con questi completa un'esposizione eccezionale.

Ernst Beyeler, il mercante d'arte che ha dato vita all'importante collezione svizzera, ha conosciuto Picasso e così lo ha descritto: “Aveva una personalità schiacciante ed era totalmente estraneo a quello che definiamo l'uomo ideale, che è cortese, corretto, gentile, umano. Era un re, era dio. Aveva la forza vitale del Minotauro e allo stesso tempo la più grande tenerezza, che non era simulata. Si diceva che fosse avaro. Chi non lo è quando ha conosciuto la miseria?”.