Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Ramona Zordini (Brescia, 1983).

Si sprofonda nei propri abissi, si vive a lungo in apnea, si tenta di riemergere, si rischia di annegare nell’ignoto o nella memoria, oppure ci si inabissa volontariamente, come un archeologo subacqueo; si cercano risposte, tesori o reperti. L’inconscio e la coscienza sono due dimensioni parallele e contrapposte: uno è sotto l’altra è sopra, uno è dentro l’altra è fuori. Proprio come il mare: esiste la superficie ed esistono le profondità, la pelle dell’acqua e la sua immensa vastità.

L’acqua è stata per molto tempo l’elemento prescelto da Ramona Zordini. Acqua come placenta, come minaccia, come libertà. Corpi nudi, maschili o femminili, emergevano solo parzialmente da questa trasparenza. E ogni scatto raccontava di una lotta o di una danza. Contro l’acqua o con l’acqua.

Acqua intesa come corpo fluido. Viva e pulsante. Una morsa o un abbraccio.

In ogni lavoro di Ramona l’acqua acquisisce infiniti significati. Il più evidente però, resta quello dell’immersione-emersione da una memoria in parte conscia, in parte inconscia.

E la matrice introspettiva si universalizza. Perché se la memoria genera apnea e la ricerca di sé genera apnea, questo può essere sentito da me o da un altro in termini di lotta con l’abisso. In quell’acqua che lei fotografa, in cui si snodano corpi che sono talvolta anche il suo, noi tutti ci potremmo sentire immersi. Per questa ragione gli abitanti di quelle acque – di cui a volte non sono riconoscibili i volti perché su di essi l’acqua si colora di un rosso livido – potremmo essere noi. Che una volta dentro, temiamo l’immenso e ci sforziamo di riemergere per non perdere le nostre piccole certezze in cambio di una liquida libertà.

Ecco dove sa arrivare un’artista: un’artista sa dire la verità. Ramona Zordini vive e lavora a Brescia. Questa è la sua Voce Creativa per voi….

Chi sei?

Lo sto ancora scoprendo, è una ricerca infinita.

Perché la fotografia?

Perché è filtrata ed è immediata, perché mi permette di esprimermi nei miei modi e nei miei tempi. Inoltre la fotografia parla di memoria, tema a me molto caro.

La canzone che ti racconta di più?

Questa domanda è complicata, cambio spesso canzone preferita e non ne ho una mia da sempre perché cambio spesso anche io. Ultimamente Love Someone di Dub Fx.

Il tuo incubo ricorrente?

Non ho un incubo ricorrente ora, da piccola sognavo di alzarmi da terra sopra un pavimento a cassettoni, adesso sogno il più delle volte di perdermi in case diverse tra loro, e anche la storia lo è.

Cosa vorresti che tuo figlio pensasse di te?

Vorrei che pensasse esattamente ciò che pensa, nel bene e nel male. I suoi pensieri sono legittimamente suoi e soltanto suoi.

So che hai regalato una fotocamera al tuo bambino… che fine ha fatto?

Per ora è appoggiata su una mensola in camera sua, è stata usata poco. Al momento non ama appassionarsi a qualcosa che non siano cartoni animati o giochi interattivi, ma spero che col tempo trovi una sua personale vocazione.

La tua più grande forza?

È senz’altro un’acutezza nel sentire, nell’avvertire energie e sensazioni.

La tua migliore fragilità?

La stessa sensibilità che avverto come forza.

L’errore che non vorrai ripetere mai più?

Non mi viene in mente al momento un errore che non vorrei ripetere, probabilmente sarebbe uno di quelli che hanno fatto soffrire qualcuno a me caro, ma sono certa che la maggior parte degli errori siano la parte più educativa dell’esperienza.

Che cosa accade nelle tue fotografie?

Paure, desideri e incognite che prendono forma e plasmano la realtà.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

La memoria ha un ruolo fondamentale! Non amo raccontare il mio passato a parole ma le mie opere lo riflettono costantemente.

Da dove nasce la tua ricerca?

La mia ricerca nasce dall’esigenza di pormi delle domande e dal bisogno di cercare delle risposte, dalla curiosità e dalla necessità, dal pensiero libero e dalle emozioni profonde, la mia ricerca parla di cambiamento.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Credo che il compito di una donna artista oggi sia di essere ricettiva in quanto donna, quindi, di non mutare in ciò che non è, ma restare invece splendida e vera.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Per il mio lavoro personale sicuramente lo è. Ma in generale, credo che anche quando apparentemente un’opera non appaia autobiografica, di certo la radice è sempre in una domanda che l’artista si è posto e che risale a qualcosa di personale.

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Sicuramente Changing Time, il lavoro in acqua perché è un lavoro molto complesso: a dispetto della forte caratterizzazione estetica, questa serie possiede una complessità di sensazioni e problematiche molto forti, parla di una linea di confine, di un taglio fra interno ed esterno, riportando distanze e un sentire filtrato dal mio passato.

A ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Sicuramente Alejandro Jodorowsky, uno scrittore che adoro. Poi Calvino e Murakami. Ultimamente, invece, sto leggendo di Jean-Paul Sartre L’immaginazione e di Jorge Louis Borges Il libro degli esseri immaginari.

Scegli 3 delle tue opere per raccontarti

Di solito non scelgo titoli per i miei lavori, ma per l’occasione darò a questi dei nomi provvisori. Diary fa parte di una serie che sto attualmente sviluppando, tratta appunto il tema della memoria, questa in particolare è stata scattata in una zona del cimitero di Brescia totalmente diversa dal resto della struttura e a pochi metri c’è la tomba della mia migliore amica, morta tre anni fa.

Dark Water è un ritratto di mio figlio risalente a 2 anni fa, uno scatto per il progetto Changing Time.

Infine, The Call, il primo scatto di un progetto non ancora nato sulla spiritualità. Ho realizzato questa fotografia assieme a un mio caro amico. Si tratta di un lavoro molto particolare, in cui non ci sono manipolazioni digitali se non un leggero contrasto, tutto il resto è il risultato della fase di scatto, che ha avuto una durata di più di 10 secondi.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!

*The Artist Is Present” della Abramovich! Anche se non è una fotografia è un progetto che adoro, è di una forza estrema, senza fronzoli, l’assoluto ridotto all’osso. Richiede, inoltre, una forza e una preparazione estrema.

Un o una artista che avresti voluto esser tu

Max Ernst! Wow!

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Mi viene in mente Luca Beatrice ma anche molti altri.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia

Svalutante, chiuso, circolare.

Se potessi lasciare l’Italia, dove vivresti?

Credo in Portogallo o in Provenza.

Inchiostro ed epidermide: oltre ad essere una fotografa lavori come tatuatrice e so anche che sei molto brava, ho sul mio corpo più di una tua creazione. Com’è nata questa passione?

Disegno da sempre. Nel 2016, nel pieno di un periodo terribile ho fatto il corso regionale e mi sono buttata. È un lavoro che mi piace e mi soddisfa moltissimo.

Il tatuaggio più difficile che hai realizzato?

Non saprei, in genere quelli puliti e lineari sono quelli più complicati.

Cosa provi quando scrivi sulla pelle di un'altra persona?

Tatuare qualcuno è sempre un’esperienza entusiasmante, è una sorta di rituale in cui si tira fuori un’emozione e la si imprime sulla pelle.

Cosa porti scritto sul corpo?

Sul mio corpo porto i segni della battaglia, il ricordo di chi non c’è più, gli obiettivi da raggiungere, qualche promemoria per sorridere e per sapere che sono amata.

Ramona, quante vite ha vissuto? Davvero tante! Tante nel corso dei secoli e tante in quest’ultima. Tante morti, tante rinascite, tante gioie e tanti dolori, così tante visioni che si confondono e rimane visibile il risultato.

Work in progress e progetti per il futuro?

Il 2019 è stato un anno molto ricco! Dopo la personale al MACOF di Gennaio e Other Identity di Marzo, ho iniziato una collaborazione con la splendida galleria genovese Guidi & Schoen. Il 2 Maggio invece è stato inaugurato il Brescia Photofestival 2019 con una mia foto in locandina e con una grande mostra al Museo Santa Giulia curata da Mario Trevisan e Donata Pizzi dove è esposto anche un mio autoritratto. Verso la fine dell’anno assieme a Giuseppina Napoli porterò la personale Obscura al MACS di Catania. Sempre verso la fine dell’anno un altro mio lavoro del 2018, Overcrowd, verrà esposto alla Galleria Crearte di Overzo.

Parallelamente faccio parte dello staff assieme all’associazione “La Papessa”, dell’ambizioso e singolare progetto della BBF, la Biennale della Fotografia Femminile, che avrà luogo a Mantova dal 5 all’8 marzo 2020 con moltissime mostre ed eventi sparsi per la città.

Per quanto riguarda invece i lavori in progettazione ho messo un po’ in standby Obscura che intendo, però, continuare e sto lavorando a un nuovo progetto autoreferenziale sulla memoria composto da dittici e intitolato Diary, e un progetto sperimentale con l’ausilio di volontari sul tema della solitudine e del vuoto. Oltre a questi ho varie idee in cantiere su cui sto ancora riflettendo.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore

Se qualcuno vuole fare una cosa la fa, se non la fa è perché non la vuole fare! È una frase che mi riporta alla realtà e mi fa sorridere.