"Lo straordinario è nel profondo dell'ordinario" è quanto affermava Victor Hugo, ed è quanto Robert Doisneau (1912-1994), uno dei più grandi fotografi francesi - il fotografo umanista per eccellenza - ha rappresentato nel corso della sua carriera artistica. Ora, a Trieste, nel Magazzino delle Idee fino al 23 giugno 2019, al grande fotografo francese è dedicata l’ampia retrospettiva Robert Doisneau. Across the century, costituita da 88 fotografie in bianco e nero che sintetizzano l’intero arco dell’attività artistica del maestro francese, dal 1929 al 1987.

Si tratta di fotografie d’epoca, provenienti dalla collezione dell’Atelier Doisneau, che raccontano l’intensa passione fotografica, ironica e dinamica, di un autore che ha celebrato la bellezza misconosciuta della quotidianità, dentro un immaginario collettivo fondato sulla vita della gente comune, catturata a volte con malizia, ma soprattutto con forte empatia, quale segno di un’acuta attenzione che rivolgeva al mondo e agli altri. Infatti: “Il mondo che cercavo di far vedere era un mondo dove stavo bene, dove la gente era gentile, e dove trovavo la tenerezza di cui avevo bisogno”. E non vi è dubbio che Doisneau quel mondo l’ha perfettamente rappresentato.

Nato nel 1912 a Gentilly – un sobborgo di Parigi che segnerà profondamente la sua vita - la sua formazione ha luogo prima all’école Estienne di Chantilly, e in seguito nello studio del fotografo modernista André Vigneau. A ventidue anni viene assunto dalla Renault come fotografo industriale, e nel 1939 è all’agenzia fotografica Rapho, per la quale lavorerà per circa cinquant’anni.

Genio e talento vivono in Doisneau: fin dai suoi studi di disegno e incisione alle frequentazioni con Jacques Prévert, Alberto Giacometti, Picasso, Léger e Henri Cartier Bresson. Il suo reportage umanistico affonda le radici lungo le strade di Parigi, tra la gente comune, nei bistrot, o in quei caffè esistenzialisti di Saint Germain des Prés – luogo d’incontro per intellettuali, artisti e musicisti – tra i sobborghi e la periferia di cui fu un grande narratore.

Sono così i suoi protagonisti: i Bambini con il latte che, mano nella mano, affrontano la curva del viale, a quelli già grandi di Place Hébert, con grembiulini che strappano tenerezza e dolcezza, o come i due scolaretti ripresi in classe tra i banchi di legno in un momento d’intensa complicità. Ma da buon genio, Doisneau escogitò e ideò immagini che son diventate ben presto vere e proprie icone della fotografia internazionale. Come Il bacio a l'Hotel de Ville, una foto scattata nel 1950, che ritrae una coppia di ragazzi mentre si baciano davanti al municipio di Parigi, con la gente attorno a loro che cammina veloce e distratta. L’opera, per lungo tempo identificata come un simbolo della capacità della fotografia di fermare l’attimo, non è stata scattata per caso: Doisneau, infatti, stava realizzando un servizio fotografico per la rivista americana Life, e chiese ai due giovani di posare per lui. Genialità della fotografia ma anche un modo per interpretare desideri e passioni di una quotidianità.

Così, lungo il percorso espositivo vive una Parigi degli innamorati, ma anche quella delle cantine e dei bistrot, il Be-bop nella cave, e gli intensi e malinconici ritratti come quello di Mademoiselle Anita. E sono sempre le persone al centro dell’obiettivo di Doisneau, costantemente ritratte nei più diversi momenti della giornata o in quelli più surreali della vita quotidiana come testimoniano Inferno (1952), dove un agente di polizia che passeggia lungo il marciapiede sembra venir inghiottito da una grande saracinesca a forma di maschera, o ne Il nastro della sposa dove, di fronte al corteo degli sposi è una corda tesa tra due sedie che segna il grande traguardo. E ancora, assai intenso è il ritratto di Picasso (Les petits pains de Picasso, 1952), e a Prévert – quasi un gioco di rinvii e passioni che testimoniano una profonda affettività. O la costruzione di un pensiero visivo di cui Doisneau è l’originale interprete, umano oltre l’umanità.