I fumetti sono stati la sua passione fin da piccolo quando si divertiva a dipingere e disegnare soggetti reali e immaginari. A guardare molti dei suoi quadri sembra che le figure a zig-zag, i colori accesi e le forme incastrate le une nelle altre come puzzle siano un gioco della mente per mettere a posto idee, concetti e parole. È come se avesse coltivato semi immaginari che hanno via via invaso tutto lo spazio e i cui frutti vengono immortalati sulla tela con un linguaggio antico quanto quello dei graffiti. Ogni scrittore porta sempre con sé un taccuino per annotare sensazioni, trame e abbozzi di personaggi. Bicio Fabbri, invece, nel taccuino appunta disegni, schizzi, macchie di colore utilizzando il suo linguaggio interiore di vignettista. Non è facile capire dove collocare la cortina che separa il vero dal falso nelle opere di Bicio, pittore, disegnatore, umorista.

I quadri di questo artista toscano prendono spunto dagli “omini che irradiano” e dai “cani che latrano” del newyorkese Keith Haring, da quel flusso grafico che colora tele e muri da lui dipinti. Ma il suo cavallo di battaglia è sempre stato il fumetto sociale e umoristico che lo ha condotto a collaborare con un ampio ventaglio di riviste di Satira come Frigidaire, Cuore, Renudo, Zut, XL, Emme, Ellin Selae e a pubblicare libri come Vieni avanti creativo, Gesù l'indiano e Ti amo, perché. E di certo è stato fondamentale il suo incontro con Vincenzo Sparagna che ha scritto la prefazione del libro Ritorno a Praga pubblicato con la casa editrice “dei Merangoli”.

In quale occasione hai conosciuto Sparagna e cosa ti ha lasciato in eredità questo incontro?

A Roma negli anni ‘70, nella redazione di Frigidaire. Ero andato lì per fargli vedere i miei fumetti. L’emozione era tanta, già solo essere nel posto dove si creava il fumetto più bello del mondo, davanti al mitico Sparagna, era impensabile fino a qualche giorno prima. Ma lui era lì e mentre fumava uno spinello guardava le mie tavole assorto… È nato un rapporto di lavoro creativo e un’amicizia che dura da molti anni.

Sei mai andato a trovarlo nella Repubblica di Frigolandia?

Sì, certo, dopo la fine dell’avventura “Frigideriana”, Sparagna si è stabilito su una collina vicino a Giano dell’Umbria e ha creato la Repubblica di Frigolandia. Ogni tanto mi reco da lui e, tra cani e galline, insieme a tanti amici, mangiando e bevendo, discutiamo di fumetto, politica e tanto altro. Per due anni, insieme a G. Franzaroli abbiamo fatto uno stage sulla satira e, nei momenti liberi, Vincenzo sfruttava il mio lavoro di giardiniere per pulire dalle erbacce il cortile della Repubblica.

Come ha influito sulla rivista la morte di Andrea Pazienza? E cosa ha significato per te?

Penso che la sua morte non abbia influito sulla rivista, la stagione splendida di Frigidaire si era già conclusa. Invece, la fine improvvisa da Rock star del fumetto di Pazienza è stata un trauma e ha lasciato disorientati per anni gli amanti del fumetto.

In che modo hai sperimentato l’arte “Maivista” che ha ispirato i fondatori di Frigidaire?

Il Maivismo è nato dalla visione ironica del duo Sparagna-Pazienza ed è stato un seme che ha dato un sacco di frutti. Dopo Frigidaire il fumetto è diventato grande, è diventato arte, e tantissimi artisti, scrittori, fumettari, musicisti sono stati contagiati da quest’arte “maivista” prima.

Circa quarant’anni fa, dal movimento del ’77 è nata una satira indipendente rispetto a tutto il sistema della comunicazione. Sei riuscito a rimanere coerente con questa filosofia?

Nel bene o nel male sono rimasto indipendente, ho lavorato per le più belle riviste italiane, da Cuore a Zut, da Emme al Nuovo male, ma mai con un quotidiano o sotto un datore di lavoro. Questo ha significato tanta gloria, tanta libertà e pochi o niente soldi. Con uno stipendio sicuramente è più difficile rimanere indipendenti, ma chissà…

La satira è una vera e propria forma d’arte, il cui diritto è riconosciuto nell’art. 33 della Costituzione che sancisce la libertà dell’arte. Ti sei mai sentito davvero totalmente libero nella tua arte di vignettista satirico?

Sono rimasto me stesso, libero non lo so. Ognuno ha le proprie idee, ma penso che la satira possa esistere solo se sei indipendente, altrimenti non è più satira, a meno che il tuo genio e la tua ironia siano più forti del soldo che ti danno e spezzi tutte le catene.

Visto che l’obiettivo del messaggio satirico è quello di sbeffeggiare il suo destinatario, ti è mai capitato di entrare in conflitto con i diritti costituzionali come è successo a Sparagna e a tanti altri?

Non ho mai avuto grossi problemi, forse perché le mie vignette sono molto surreali e toccano il sociale più che il politico. Solo a livello locale una volta mi hanno convocato i vigili per una vignetta su dei crumiri che non avevano scioperato, ma era stata colpa mia, ero andato molto sul personale e mi ero fatto coinvolgere. Ma in fin dei conti cos’è il decoro, la reputazione… In tempi come questi in cui è decoroso essere razzisti, facendo una vignetta a favore dei migranti si rischiano montagne di insulti ed è ciò che mi capita, a volte.

Sparagna ha definito il “satiro”, cioè colui che fa satira in modo autonomo rispetto a tutto il sistema della comunicazione, “un marginale geniale”. Questa definizione ti rappresenta?

Concordo al 110%. Il disegnatore satirico è un vero artista e un vero artista deve essere sincero e spontaneo. Bravo o no, rimane sempre ai margini.

Come sono nati i “Fumettoquadri”, quei “micromondi sentimentali e scanzonati, fragorosi di gente stressata, automobili e schermi televisivi, ma anche di cinguettii, di pensieri liberati, di baci e domande”? E quale valore dai al colore?

Li chiamo “Fumettoquadri” perché ho cercato di portare il fumetto, anzi la satira, su dimensioni maggiori. La vignetta pubblicata su una rivista o sui social dopo poche ore è già finita nel dimenticatoio, invece su tela, su una parete, in un bar o su una panchina vive di più. Nelle mie opere metto il mio mondo interiore ed esteriore, cioè praticamente il caos, e tanto colore perché sono grigio fuori ma molto colorato dentro.

Hai pubblicato e illustrato molti libri, ma con Ritorno a Praga per la prima volta sei l’autore delle illustrazioni e del testo, in questo caso autobiografico. Cosa ha significato questo per te?

Fondamentalmente sono un autore e mi piace raccontare con disegni e testo. Ma, cos’è la scrittura? Agli inizi erano solo ideogrammi: la parola sole era rappresentata con un tondo e così via. Il problema è che con il disegno bene o male me la cavo, con la parola scritta a volte devo chiedere un aiuto.

Leggendo del tuo secondo viaggio a Praga, si ha la sensazione che ti senta un pesce fuor d’acqua. Cosa pensi dei “viaggi organizzati” e come immagini, invece, debba essere il viaggio?

I viaggi organizzati per me sono terribili, seguire sempre una guida che pianifica tutto, il pranzo alle 12, il treno alle 6, poi la fermata per la pipì. Tutto questo fa perdere il mistero. Ma vivo con una persona, Ivana, che li ama e ci siamo accordati per fare alternativamente un viaggio all’avventura e uno organizzato. Così ho scoperto che, guardandoli da diverse angolazioni, anche nei viaggi superpianificati qualche mistero c’è.

Il viaggio per me è dare da mangiare alla propria anima, è fermarsi davanti a un monumento o un albero per ore, è andare in profondità, entrare in simbiosi con il posto che visiti.

Per fermare l’attimo, i tuoi appunti sono i disegni: cosa ti resta nel cuore di quello che rappresenti? Come utilizzi i tuoi “scarabocchi” di viaggio o di vita?

Ecco, questo è il punto. Gli indiani d’America non si facevano fotografare per paura di perdere l’anima, io viaggio sempre con un quaderno o un notes, e scrivo o disegno tutto ciò che mi passa per la testa e che mi interessa. Ma questo lo puoi fare se entri in comunione con ciò che ti circonda. Così non rubi niente, anzi quasi sempre è uno scambio. Poi, dopo anni, quando vado a rileggere questi appunti trovo aforismi, poesie, pensieri e tante idee nuove per quadri, fumetti o vignette.

In Ritorno a Praga sembra che per te “Il Muro di Berlino” non sia mai caduto, quale Muro invece butteresti davvero giù?

I muri sono tanti e in questo periodo di paure alimentate dal razzismo sovranista sono cresciuti e aumentati. Butterei giù il muro che abbiamo dentro di noi, quello che fa dare la colpa sempre agli altri non facendoti crescere e maturare.

Sei Artista per passione e ti sei occupato dell’Arte del Giardinaggio per necessità perché vivere di sola Arte è spesso molto difficile. Ti è mai capitato di attingere idee dalle Piante, dai Fiori e dai germogli?

Nel mondo vegetale, come in quello minerale e animale c’è tutto, la magia è ovunque ma bisogna cercarla. Gli alberi che cercano con i rami il sole e con le radici il buio sono un mistero, i rami che si intrecciano formando sculture e le rose… Una volta, mentre potavo un roseto comunale, nonostante i guanti le spine si conficcarono ovunque, così dal gioco di parole fra “rosa” e “prosa” nacque “Il Poeta Giardiniere: Non c'é prosa senza spine”.

Cosa germoglierà prossimamente dalla tua matita o dalla tua penna?

Uscirà a breve un fumetto sui fatti di Reggio Emilia 1960 con Claudio Bolognini, autore dei testi. E continuo a fare vignette di satira, poi dipingo e seguo le mie sensazioni. Le idee e i progetti sono tanti, ma dipende da come mi sveglio ogni giorno…