Come spesso racconto nei miei incontri in pubblico, l'importanza di studiare e conoscere Leonardo oltre ai confini del personaggio come oggi viene trattato è legata al fatto che così facendo si apre la strada a nuove importanti interpretazioni circa il Rinascimento e gli artisti più importanti che lo animarono.

Tra le molteplici attitudini artistiche, ne esiste una che viene inspiegabilmente relegata dagli studiosi a ruolo secondario, marginale, praticata dall'artista fiorentino, secondo chi ne ricostruisca le gesta, con un approccio quasi ludico, sperimentale.

Alludo alle sue profonde conoscenze musicali, confinate appunto da chi le ha indagate a un qualcosa con la quale, invece, Leonardo si sarebbe "dilettato" a intrattenere la corte di Ludovico il Moro o a creare indovinelli e rebus goliardici, o ancora macchinari fantasiosi, come, ad esempio, il Cannone Musicale (in realtà un carillon che suonava un canone a quattro voci, come lo descrive lo stesso Leonardo, simile a quelli che nella nostra infanzia suonavano Fra' Martino campanaro e troviamo oggi sulle bancarelle turistiche di mezzo mondo).

Come da tempo vado documentando, l'intera esistenza e opera di Leonardo sono state oggetto nei secoli di una azione di distrazione quasi sistematica, volta a restituirci oggi l'immagine di un personaggio posticcio, artefatto, risultato di presunzioni infondate e per questo molto diverso da quello che realmente fu o di cosa ci tramandò attraverso la sua arte e le sue opere.

Lo stesso avviene nella considerazione dei passaggi inerenti alla musica che Leonardo ci ha lasciato, e che spesso sono stati travisati. E con lui, quelli dei più grandi artisti del Rinascimento, Raffaello su tutti.

Le abilità di Leonardo in campo musicale erano di un tale livello da attirare sì il Duca di Milano, che di musica si dilettava, ma non come tutti dicono Ludovico, soprannominato il Moro, bensì Francesco, suo padre, che morì nel 1466:

Fu condotto a Milano con gran riputazione Lionardo a'l Duca Francesco, il quale molto si dilettava del suono de la lira, perché suonasse.

Quest'ultima circostanza, annotata dal Vasari e confermata da diverse fonti documentali, ma indirettamente anche dall'uso che Leonardo fa dei paesaggi nei propri dipinti (che non sono né casuali e nemmeno di fantasia, e rimandano a un territorio ben preciso, quello Lariano, facente parte del Ducato milanese degli Sforza), viene completamente ignorata.

Eppure è una circostanza essenziale per comprendere i tratti biografici e artistici di una delle figure più enigmatiche e emblematiche del nostro passato, in quanto, ad esempio, ci dice che sicuramente prima del 1465 Leonardo era a Milano, già abilissimo musicista (il migliore della sua epoca) e ottimo pittore.

Noi oggi conosciamo il pittore, iniziamo a riconoscere lo scultore, sappiamo delle innumerevoli invenzioni in campo meccanico (spesso erroneamente ritenute tali, quando invece Leonardo si limitava a annotare quello che gli si offriva davanti agli occhi come, ad esempio, il traghetto che era comunemente in uso sull'Adda, il Tanaro e il Ticino, i corsi d'acqua del Ducato milanese), raccontiamo l'attrazione quasi perversa che aveva per lo studio dell'anatomia umana, che lo portava a dissezionare di nascosto cadaveri ancora caldi, la passione per la natura e la curiosità quasi maniacale per le leggi che la regolano.

Alcuni studiosi arrivano a ipotizzare una sua omosessualità, presunta sulla base di accuse rivelatesi in vero infondate (in quanto rientranti nelle dinamiche delittuose della Congiura dei Pazzi, con cui si tese a eliminare la famiglia de' Medici) o travisando alcuni suoi ricordi d'infanzia (o meglio, omettendo una parte importante dell'analisi che di detti ricordi ne fece Freud) quasi a voler rendere ancora più credibile quell'immagine iconica del mito, autodidatta nell'apprendimento, che incarna in sé genio e sregolatezza.

Qualche altro studioso (termine sul quale porrei qualche interrogativo), usando la stessa modalità presuntiva e senza fondamenti documentali diretti, arriva a ipotizzare una sua dieta vegetariana, ma solo perché le leggi attrattive della moderna società lo suggeriscono.

Quelle stesse leggi, ad esempio, che muovono a invocare la paternità del notaio in Vinci (che semmai ne fu tutore) e l'uso iconico su scala massiva di autoritratti che tali non sono (si veda quello di Acerenza) o ciocche di capelli biondi che d'incanto spuntano da qualche collezionista oltre oceano, spacciati per reliquia al pari di quelle dei santi.

La realtà è che Leonardo fu ben altro rispetto a tutto ciò.

Delle sue conoscenze musicali, tutt'altro che marginali, non conosciamo di fatto nulla, sebbene per Leonardo la Musica ha costituito addirittura il fulcro della sua opera e filosofia, tanto che non ho alcun timore di smentita nell'affermare che non si può raccontare l'artista e affermare di conoscere l'uomo omettendone questo aspetto fondamentale.

Al di sopra di tutto quanto di lui conosciamo, in maniera più o meno veritiera, da una analisi approfondita dei suoi scritti e dipinti, in congiunzione con una più ampia conoscenza della filosofia e della storia dell'arte, emerge in maniera prorompente l'importanza che per Leonardo ebbe la musica.

Ed è una conoscenza tutt'altro che da autodidatta, trovando riscontri importanti negli scritti dei filosofi del passato, o nei testi dei suoi maestri contemporanei come, ad esempio, Marsilio Ficino, o ancora in frammenti teorici disseminati qua e là nei suoi scritti, riconducibili ad esempio alle teorizzazioni del Pitagorico Filolao.

Proverò quindi a sintetizzare quale fu la sua attitudine musicale in poche righe, fatto salvo che l'argomento necessiti e meriti una trattazione ben più ampia.

Se la pittura era considerata "figurazione delle cose visibili", per Leonardo la musica rappresentava la "figurazione delle cose invisibili", facendo chiara allusione a quel compendio di vibrazioni che oggi vengono studiate dalla fisica quantistica e che sono la base di quelle regole geometriche e matematiche imprescindibili che determinano la legge naturale che tutto forma e regola: "A le stesse leggi obbediscono sia le onde del suono, sia della luce e dell'acqua", appuntava Leonardo nei suoi codici. In particolar modo alludo a un trattato, andato perso (o meglio sottrattogli da un collaboratore di Leone X, quando nel 1514 Leonardo si trovava a Roma): il De Vocie.

In questo trattato Leonardo affronta la tematica del suono emesso dall'uomo, attraverso un uso proprio di bocca, lingua, trachea, laringe e polmoni, riportando in auge l'importanza del Belcanto e l'uso armonico della voce per il benessere corporale e spirituale, secondo leggi precise.

Queste leggi, tassative e inderogabili in quanto determinanti l'ordine assoluto dell'intero Universo - sebbene l'uomo non perda occasione per infrangerle, nella spasmodica ricerca di una speculazione terrena fine a se stessa - descriverebbero una sorta di codice genetico primordiale ingeneratosi un tempo lontanissimo.

Qualcuno chiama questa matrice il Verbo, qualcun altro il Logos, in Oriente è definito TAO.

Per Verdi semplicemente era "Amor che è palpito dell'Universo", declinando quello che per Dante era invece "Amor che move il Sole e le altre stelle", a sua volta declinando la locuzione di Virgilio "Amor Vincit Omnia" (la trama che tutto lega, e non vince come erroneamente viene interpretato dalle masse la locuzione latina "vincit", ormai inebetite da un'offerta culturale che è sempre più subordinata a un fine speculativo, che sia commerciale e economico, politico o sociale).

Per la Fisica Astronomica (quanto mi manca la rude schiettezza di Margherita Hack, che non ha avuto il tempo di contribuire a questo mio studio come avevamo ipotizzato di fare), questa matrice vibrazionale viene generata da due forze contrapposte che si sviluppano nel momento immediatamente successivo all'esplosione di un Buco Nero, le quali sono le artefici prime del sistema rotatorio duale che sorregge l'Universo intero (ben rappresentate, per l'appunto, dalla raffigurazione grafica del TAO: Yin e Yang, per intenderci), che in virtù di ciò e del suo avanzare continuo sarebbe caratterizzato da un moto elicoidale senza fine.

Il fenomeno che ho appena descritto era così narrato dal filosofo greco Eraclito:

Ciò che è opposizione è accordo e dalle cose discordi sgorga bellissima Armonia. E tutte le cose nascono per legge di contesa.

Non è un caso che diversi artisti, tra i quali Bramante (e più tardi Raffaello) ritraggano Leonardo nei panni di Eraclito, contrapposto a Democrito nella figurazione del tema Filosofo che piange e filosofo che ride, tema che vede contrapposte le due diverse energie, determinando, a seconda del prevalere dell'una o dell'altra, l'eterico/spirituale o il materico/corporale.

L'Armonia a cui Eraclito fa riferimento è proprio quel compendio di vibrazioni codificate secondo regole matematiche e geometriche precise che determina la vita e la forma di ogni cosa alberghi l'Universo intero, come del resto lo era l'Amor dantesco, allusiva al moto delle Sfere Celesti (e così lo raffigura Botticelli, nei sui disegni incentrati sull'opera dantesca), che non a caso Leonardo definiva "il moto che è causa di ogni vita".

In altri termini, a questa stessa Armonia si riferisce Leonardo quando parla di "musica come figurazione delle cose invisibili", riportando alla mente di tutti noi la popolare definizione del Piccolo Principe di Saint-Exupéry: "L'essenziale invisibile agli occhi".

Non è da trascurarsi il fatto che questa entità essenziale e invisibile venga raffigurata dallo stesso scrittore-aviatore francese con un volo d'uccelli che trasporta in cielo il suo Piccolo Principe, allo stesso modo in cui il celebre illustratore Raymond Peynet rappresenta l'Amore che unisce in un trasporto ultraterreno i suoi due famosissimi Innamorati.

L'allusione chiara è alla Langue des Oiseaux. Chiaramente non una lingua, e nemmeno una musica. È vibrazione. Tutto lo è: il colore, la forma, i sentimenti ...

La Musica, unitamente a Matematica, Geometria e Astronomia, è semplicemente il modo in cui l'uomo ha reso tangibile questo invisibile ordine predeterminato, percettibile ai propri limitati sensi (come scriveva Cicerone nel decimo libro del De Re Publica), traducendo la trama dell'Universo intero sotto forma di Contrappunto musicale.

Nel libro X del De Re Publica, parlando del Mito di Er, Platone descrive l'Universo intero come un enorme fuso, appoggiato sulle ginocchia di Ananke, attorno al quale ruotano i vari pianeti del nostro sistema solare.

Il filosofo chiama Necessità la regola che tutto quanto lega e determina, e alla stessa fa riferimento Leonardo, nel manoscritto M, quando afferma:

La Necessità è maestra e tutrice della natura. La Necessità è tema e inventrice della natura e regola della vita eterna.

Leonardo, dunque, ben conosceva l'importanza della Musica nella determinazione degli aspetti della vita terrena, ben riassunta dalla locuzione di Platone "La geometria delle forme è musica solidificata".

Nella musica moderna, questo aspetto viene portato in auge da un maestro dell'arte contrappuntistica come Bach, il cui nome richiama in sé proprio la dualità di quel palpito primo dell'Universo acclamato da Verdi, ma già anticipato da Leonardo secoli primi: Sib La Do Si naturale.

Rifacendosi a questa stessa prima pulsione, accanto alla scenografia per la messinscena della Festa del Paradiso (e non per nulla utilizzando un marchingegno semovente chiamato L'ocel de la comedia), l'artista fiorentino scrive:

B scende, A sale ... Pluton esce in H ... el contrapeso che nasce in gran silenzio, finisce in gran potenza.

È chiaro che Leonardo sintetizzava il momento in cui si innesca la Musica delle Sfere Celesti (un principio tutt'altro che meramente filosofico, come qualcuno vorrebbe), Il moto che è causa di ogni vita, o se preferite l'Armonia che Eraclito fa sgorgare (si noti il termine, che richiama la fonte di vita, in questo caso eterna) dalle cose discordi, che fa da colonna sonora del mondo eterico.

Proprio al concetto di acqua, fonte di vita eterna, si rifaranno Eraclito e poi Leonardo, associando il moto dell'acqua al concetto della Metempsicosi, la trasmigrazione delle anime senza fine.

L’acqua del fiume che tocchi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.

Così scriveva Leonardo, riprendendo il concetto di vita eterna descritto dal motto Pántha Rehî espresso da Eraclito nel suo Trattato sulla Natura:

Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e toccare due volte una sostanza mortale nello stesso stato, ma a causa della impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.

La musica così intesa, coi suoi rapporti geometrico-matematici tassativi, alberga e determina ogni cosa abiti nell'Universo in maniera imprescindibile e vincolante.

Per questo motivo, da che l'uomo ha una coscienza, la regola prima che si impone è essere conforme ad essa, come del resto fa la natura, ripetendo nel proprio essere e agire lo stesso ordine armonico degli astri celesti.

Chiaramente ben lo sapevano i neoplatonici, i quali, emulando il loro riferimento culturale primo (Leonardo), alludendo ad essa hanno impregnato le proprie opere di rimandi musicali.

Se consideriamo la Vergine delle Rocce di Leonardo, ad esempio, sotto il profilo iconografico il dipinto nasce proprio come una Vergine dei Fusi, il cui riferimento a Platone e al Mito di Er è evidente, come detto poc'anzi.

La Vergine di Leonardo con la mano esprime un tetracordo, una indicazione musicale contenuta allo stesso modo in alcuni disegni o con cui la mano del Ritratto di Musico sostiene il foglietto di un Canone Angelico (un contrappunto musicale).

Particolare è il caso di uno dei dipinti giovanili di Leonardo, qualcuno dice fatto in comunione con Andrea del Verrocchio, intitolato Raffaele e Tobiolo e conservato alla National Gallery di Londra.

Qui il concetto della dualità espresso da Eraclito si esplicita attraverso le mani che, in accordi speculari, celebrano il proprio matrimonio avvitandosi una attorno all'altra, nella realizzazione del cosiddetto matrimonio alchemico (o spirituale) rappresentato dalla Gioconda, e ben coniugato dai concetti orientali di Tao, Yin e Yang.

Questo dipinto è molto importante perché lascia intendere chiaramente quali furono i riferimenti ai quali Leonardo attinse, trasversali a tutte le varie declinazioni culturali nel mondo.

Nel caso di specie, la presenza contemporanea dell'Ankh al collo e ai piedi dell'Arcangelo Raffaele (che rappresenta la spiritualità), l'ossirinco nella mano di Tobiolo (che rappresenta la materialità e rimanda all'episodio in cui il corpo di Osiride viene fatto a pezzi da Seth), il cane eterico (ripreso anche da Mantegna nella Camera degli Sposi di Palazzo Ducale a Mantova, che richiama Anubi, il guardiano dell'aldilà), il cilindro nella mano di Tobiolo (che richiama i cilindretti nelle mani delle statue egizie, atti a riequilibrare l'energia corporea), e soprattutto le ali multicolore di Raffaele (che richiamano la dea Egizia Nekhbet, ma al contempo il Nibbio e quell'episodio frainteso da Freud nell'analizzare un sogno giovanile di Leonardo), lasciano chiaramente intendere il profondo attingere anche al bacino culturale egizio, precursore di quell'Orfismo che sottende alla iconografia della Vergine delle Rocce e alla Divina Commedia di Dante, nella quale la musica costituisce uno degli elementi portanti per attingere al mondo superiore delle energie sottili: Orfeo e la Lyra. Connubio e attitudine che ricordano lo stesso Re David.

Non è un caso, allora, che occupandosi della scenografia dell'Orfeo di Poliziano Leonardo abbia riprodotto una montagna che, aprendosi, rivelava al suo interno la presenza di una grotta dalla quale uscivano gli attori della rappresentazione teatrale.

Questa stessa montagna riprende uno degli sfondi della Gioconda, in particolar modo il Monte San Martino di Lecco, ai cui piedi si trova realmente la grotta in cui Leonardo ambienta la Vergine delle Rocce, in un rimando al mito della Caverna di Platone, che come dicevo poc'anzi affonda proprio nell'Orfismo di derivazione egizia la scelta iconografica dell'artista, sostituendosi alla più classica Madonna dei Fusi.

Il fuso è a tutti gli effetti un monocordo da cui scaturisce la Necessità espressa nel Mito di Er da Platone, determinata dal vorticare attorno ad esso dai pianeti.

Non è dopotutto la rappresentazione che fa Botticelli del Paradiso Dantesco?

Potrei continuare all'infinito, raccontando gli innumerevoli e qualificatissimi rimandi al mondo musicale lasciatici da Leonardo, ma non è questa la sede e la finalità, anche se sarò lieto di non sottrarmi a chi, come auspico, vorrà approfondire la conoscenza di chi realmente egli fu e di cosa la sua opera è intrisa, magari con una pubblicazione mirata all'argomento.

Prima di concludere, però, c'è un altro importantissimo documento che vorrei qui richiamare, erroneamente interpretato in passato, e tutt'oggi presentato al pubblico come il testo di una canzone d'amore.

Come tale è stato presentato anche durante uno sceneggiato Rai degli anni '70 sulla vita di Leonardo, liberamente musicato all'epoca da Roman Vlad e interpretato dall'angelica voce di Ornella Vanoni.

Contenuto nel cosiddetto Codice Trivulziano, oggi conservato presso la Biblioteca omonima a Milano, l'appunto recita:

Movesi l'amante per la cos'amata come il senso e la sensibile e con seco s'unisce e fassi una cosa medesima. L'opera è la prima cosa che nasce dell'unione. Se la cosa amata è vile, l'amante si fa vile. Quando la cosa unita è conveniente al suo unitore, li seguita dilettazione e piacere e sadisfazione. Quando l'amante è giunto all'amato, lì si riposa. Quando il peso è posato, lì si riposa. La cosa cognusciuta col nostro intelletto.

L'Amore descritto da Leonardo è chiaramente nell'accezione Dantesca, e "Amato e amante" vengono qui alternativamente associati al "senso e alla sensibile", ovvero i termini con cui nella teoria musicale si descrivono le due declinazioni assunte dal SI nel coniugare i due terminali di una scala musicale - il LA e il DO - nella dinamica propria del contrappunto.

Al tempo stesso, "amato e amante" descrivono qui l'essenza prima di quel "palpito dell'Universo intero" musicato da Verdi e contenuto nella già richiamata dinamica musicale espressa nel nome di BACH, e cioè un Sib, un LA, un DO e un Si naturale.

Un movimento ascendente, BA (Si-DO), e uno discendente, CH (Sib-LA), espressione prima di quella legge di contesa che sottende l'Armonia descritta da Eraclito e sostiene la trama vibrazionale dell'Universo poc'anzi descritta.

La dualità conduce da una parte all'inferno materico, dall'altra al paradiso eterico.

L'opera stessa, il risultato che ne consegue, è il risultato dell'unione degli opposti:

Quando la cosa unita è conveniente al suo unitore, li seguita dilettazione e piacere e sadisfazione. Quando l'amante è giunto all'amato, lì si riposa. Quando il peso è posato, lì si riposa.

Di nuovo, non c'è distinzione tra ciò che è descritto da Leonardo in questo passaggio, che ripeto essere erroneamente considerato come una canzone d'amore, e ciò che viene sintetizzato da Eraclito nel descrivere la bellissima Armonia che sgorga dalle cose discordi.

L'unione a cui fa riferimento Leonardo è ciò che la Monna Lisa (che non è il dipinto esposto al Louvre, in realtà, come ho comunicato attraverso un articolo apparso su Forbes lo scorso agosto, di cui si può trovare la versione integrale al link) rappresenta: non è certo una dama dell'epoca in carne e ossa, come spesso viene raccontato, nel naturale riflesso di una incomprensione di ciò che sottende all'opera leonardiana, bensì l'Opera, emanazione prima della Monade, frutto di unione tra opposti, cioè l'espressione del Rebis alchemico, il matrimonio spirituale che coniuga le due energie, maschile e femminile, ascendente e discendente (ben espressa dalla Sigizie rappresentata sulla sinistra mentre insuffla lo spirito vitale nella Nascita della Venere da Botticelli).

La Monna Lisa (continuerò a chiamarla così per comodità, in quanto è ciò che il lettore conosce come tale) è dunque l'espressione di un matrimonio interiore tra energie opposte, l'una maschile, discendente, l'altra femminile, ascendente, ben riassunto da Leonardo quando annota:

Le cose disunite s'uniranno e riceveranno in sé tal virtù che renderanno la persa memoria alli omini.

Quello espresso dal più famoso dipinto della storia moderna è lo stesso matrimonio che viene espresso nel TAO dallo Yin e dallo Yang, ma al tempo stesso dal matrimonio vocale e musicale tra Papageno e Papagena nella celebre aria del Flauto Magico di Mozart (che non a caso affonda le radici nell'antico Egitto e vede Papageno nel ruolo di un uccellatore).

Così come è un matrimonio spirituale, alchemico quello di Orfeo e Berenice, Dante e Beatrice, Renzo e Lucia, l'Uomo Vitruviano, il 3 e i 4 del Teorema Pitagorico, il Mosè di Michelangelo, e così via.

Tutto, nella tradizione culturale e artistica, conduce a questo concetto primo, che poi è il concetto primo che sottende alla dualità dell'Universo intero per la stessa Scienza.

Nell'epoca Rinascimentale, questo "matrimonio in spirito" viene sintetizzato da un volo di uccelli contrapposti, che incontrandosi si accoppiano, proprio come le mani di Raffaele e Tobiolo. Lo fanno Botticelli, Perugino, Cranach, tra gli altri. E lo fanno a emulazione di Leonardo.

La sublimazione della profonda e dotta conoscenza musicale di Leonardo, infatti, la troviamo condensata in una partitura musicale magistralmente celata dall'artista fiorentino in uno straordinario e complesso volo di uccelli che non ha eguali in nessun altro dipinto rinascimentale (di nuovo, la Langue des Oiseaux), conservato in forma anonima in un palazzo rinascimentale del Nord Italia, da me recentemente individuato, che trova conferme anche in alcuni fogli sul codice del volo leonardiano (in particolar modo in un foglio conservato presso la Biblioteca Ambrosiana).

Come ho anticipato poco sopra, questa partitura trova la sua soluzione in una descrizione sostanziale indiretta che ne fa Cicerone, nel De Re Publica, laddove scrive:

Tu odi quest'armonia che è formata da ineguali intervalli calcolati secondo proporzioni perfette, e riprodotti dai movimenti delle sfere. I suoni bassi si uniscono a quelli acuti in accordi sempre mutevoli, perché queste colossali rivoluzioni planetarie non saprebbero compiersi nel silenzio, e la natura esige che suoni chiari echeggino ad un estremo e suoni cupi rispondano dall'altro. Così il mondo degli astri che ha moto più rapido rotea con un precipitoso trillo argentino, mentre il corso lunare che gli sottosta emette un suono lento e cavernoso. Così le sfere producono sette toni distinti, e il numero settenario e il nucleo di tutto quello che esiste.

E prosegue:

E gli uomini che sanno imitare sulla lira il concerto dei cieli hanno ritrovato il cammino che adduce a questo regno sublime, nella stessa maniera con cui altri si sono innalzati col genio alla conoscenza delle cose divine.

Non è quindi involontario, dunque, che Re David, Orfeo e Leonardo vengano ricordati come abili suonatori di Lira, in quanto conoscitori della via attraverso la quale accedere ai mondi superiori.

Tutti quanti noi conosciamo il ritratto che Raffaello fa di Leonardo ne La scuola di Atene, nei Musei Vaticani, con il dito volto al cielo e il Timeo sottobraccio. Il riferimento a cui allude Raffaello è legato al fatto che nel Timeo, nuovamente, è raccontata la struttura "musicale" che sottende alla struttura dell'Universo, richiamando i rapporti armonici esistenti tra gli astri principali, secondo uno schema che si rifà al monocordo pitagorico.

Ma nessuno vi dice (semplicemente perché nessuno mai ha compreso l'importanza della musica nel senso descritto) che è proprio nei panni di Re David che Raffaello ritrae Leonardo ne La disputa sul Sacramento, dipinto del 1509 presso le Stanze Vaticane, e poi, di nuovo, contrapposto a Bramante nella sua personale traduzione de Il filosofo che piange e il filosofo che ride, solo che questa volta a ruoli invertiti, mentre racconta a tre Papi differenti (Sisto IV, Alessandro VI e Giulio II) il prevalere del pensiero neo-platonico, incentrato sulle regole matematico geometriche che sottendono all'ordine naturale di cui la musica è l'espressione prima su quello cattolico.

L'importanza della musica nell'elevazione dello spirito è conosciuta da sempre, anche se non sempre è stato concesso raccontarla.

Il Rinascimento, con le sue contraddizioni, i Tribunali dell'Inquisizione, le accuse di eresia e la creazione di restrizioni come l'Index Librorum Prohibitorum, non era certo il periodo più facile per farlo, e anche per questo l'arte è stata così importante, in quanto permetteva di trasmettere contenuti neoplatonici che i vari Papati cercavano invece in tutti i modi di osteggiare.

Non si può dire di conoscere l'arte Rinascimentale senza darne una lettura che vada oltre la scelta iconografica adottata.

Il 2020 vedrà avvicendarsi, in una sorta di passaggio di testimone, le celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo e quelle di Raffaello.

Per questo motivo, vorrei dare il mio personale contributo a che la continuità tra questi due straordinari artisti vada ben oltre le loro qualità pittoriche, approfondendo in maniera del tutto inedita alcune analogie finora inesplorate contenute negli strati più profondi della loro opera, inerenti proprio al fondamentale ruolo della musica nel nostro rapporto armonico con l'Universo.

Partirei dal disegno preparatorio per una Madonna dei Fusi, oggi conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, o in maniera ancor più stringente da quanto raffigurato da Raffaello nel disegno preparatorio della Madonna della Melagrana, del 1504, conservato presso l'Albertina Museum di Vienna, dal quale si desume appieno quale fu l'impianto iconografico iniziale della Vergine delle Rocce di Leonardo, prima di un suo radicale ripensamento dettato dalla geografia del luogo in cui ambientò la scena, che urtò la sensibilità del committente, Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione.

Il bimbo era in braccio, da un lato, mentre l'altra mano esprimeva lo stesso accordo musicale raffigurato nella Vergine delle Rocce, gesto che nel disegno di Raffaello viene rafforzato dall'essere appoggiato sul libro della conoscenza (come la mano della Madonna dell'Annunciazione di Leonardo), proprio a esprimere quell'ordine vibrazionale primo che l'accordo musicale espresso dalla mano rappresenta, e che il libro della Conoscenza simboleggia, come ebbe a ricordare anche Galileo Galilei ne Il Saggiatore:

La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

Un secondo passaggio, fondamentale, che voglio sottoporvi è costituito dallo Sposalizio della Vergine, dipinto sempre del 1504 e conservato oggi alla Pinacoteca di Brera, in Milano.

In questo quadro Raffaello esprime lo stesso matrimonio spirituale, interiore, raccontato da Leonardo con la Monna Lisa, con però una piccola, ma sostanziale differenza.

Al pari di ciò che avviene nell'Ultima Cena di Leonardo, il matrimonio tra la componente maschile e quella femminile qui non si realizza.

Raffaello, come Leonardo, è molto critico nei riguardi dell'Istituzione Cattolica che osteggia il diffondersi delle teorie neoplatoniche, e non perde occasione per dimostrarlo, come nel caso della Disputa sul Sacramento, dipinto in cui contrappone Leonardo ai tre Papi avversi al neoplatonismo che l'artista fiorentino incarnava appieno.

Il matrimonio "non concluso" è espresso simbolicamente dalla rottura del monocordo da parte del giovane sposo, sulla destra, che ha le medesime sembianze della sposa sulla sinistra, in cui in entrambi i casi Raffaello si auto ritrae.

Questo sta a significare la non armonizzazione con l'ordine "musicale" dell'Universo (simbolicamente identificato dal ramo, a richiamare un fuso, spezzato), e quindi l'impedimento dell'elevazione in spirito a una condizione superiore, in cui energia maschile e femminile si compenetrano e completano nella realizzazione dello sposalizio, il Rebis.

Ricordando la canzone di Leonardo, possiamo dire che Raffaello esprima lo Sposalizio in cui l'amante si fa vile.

La musica, di nuovo, viene rappresentata come l'elemento attraverso il quale l'uomo può elevare o meno la propria condizione materica e avere accesso "al Regno dei cieli", per dirla con Cicerone, dove la dualità primigenia viene ricomposta.

Oppure, citando Torquato Tasso, un altro illustre del nostro passato che soggiornava spesso a Urbino, città natale di Raffaello, possiamo dire che:

La musica è una di quelle vie per cui l'anima torna in cielo.

Ben altra situazione invece la troviamo in quello che personalmente ritengo il capolavoro assoluto di Raffaello, in cui tutta l'essenza musicale descritta da Leonardo nelle sue opere e nei suoi codici viene esaltata alla somma potenza.

Sto parlando del San Sebastiano, dipinto tra il 1501 e il 1502 e oggi conservato presso l'Accademia Carrara di Bergamo.

Per ciò che rappresenta, nei suoi contenuti esoterici, possiamo paragonarlo alla Gioconda di Leonardo, come per Michelangelo lo è il Mosè, in cui il matrimonio spirituale, lo Sposalizio che nel precedente dipinto non si realizza, qui si manifesta in tutta la sua straordinaria bellezza e armonia, costituendo la rappresentazione del Rebis personale dell'artista Urbinate.

Diversi sono gli elementi contenuti in questa straordinaria opera che riconducono a quanto teorizzato da Leonardo.

Su tutti prevale, prorompente, la freccia, impugnata come un monocordo, che ricorda la maniera in cui lo rappresenta Leonardo in un disegno conservato presso la Galleria dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, a Firenze. Freccia che, vorrei farvi notare, nel caso del San Sebastiano di Raffaello non trafigge il corpo del Santo, a richiamare la condizione spirituale suprema del soggetto rappresentato, confermata dall'aureola che ne cinge il capo.

Nella stessa direzione vanno le scritte che contornano il mantello rosso, che richiamano l'alfabeto Enochiano, o Angelico, a confermare lo stato eterico in cui Raffaello come detto si ritrae, al pari di Leonardo nei panni della Gioconda.

L'alfabeto Enochiano, come quello Angelico, rimanda all'alfabeto "musicale" di Hildegard von Bingen, dichiarata dottore della Chiesa Cattolica di recente, da Benedetto XVI, la cui prerogativa prima era proprio quella musicale, e alla stessa Langue des Oiseaux richiamata in precedenza.

La collana d'oro, che cinge il collo di Raffaello, si avvita su se stessa, nella parte sinistra del dipinto.

Il richiamo è all'andamento elicoidale dell'Universo, che la moderna Geometria raffigura come un Nastro di Möbius, dal nome del matematico che per primo ne concepì la possibilità di realizzazione come figura non orientabile.

Come spesso accade, la scienza moderna assume teorizzazioni che nell'antichità erano già ampiamente conosciute e, nel caso di specie, questo vale ancor più se consideriamo che una delle prime rappresentazioni del Nastro di Möbius la troviamo a Sassoferrato (non a caso nelle Marche di Raffaello, non lontano da Urbino), in un mosaico romano del III secolo che raffigura Aion, l'Eone, l'emanazione prima della Monade in cui la componente maschile e quella femminile sono perfettamente complementari (come nella Gioconda, appunto, nel Tao, nel Rebis, etc. etc.).

Raffigurandolo sotto forma di collana, Raffaello vuole sottolineare una volta di più quale sia la ragione prima della sua condizione spirituale superiore, ovvero la perfetta sintonia con la struttura armonica vibrazionale degli astri, che nel mosaico del III secolo compongono il nastro che avvolge Aion.

Lo stesso Bach, nell'Offerta musicale, comporrà un canone cancretizzante utilizzando nello sviluppo questa forma geometrica.

Tornando a Raffaello e alle peculiarità inserite nel suo dipinto, come avviene per la veste della Gioconda il corpetto del San Sebastiano è contornato dei nodi vinciani, espressivi di quel "legame" sotteso alla locuzione di Virgilio Amor Vincit Omnia della quale ho fatto menzione in precedenza.

Curiosamente ricordano le figure di Lissajous, relativi ai moti oscillatori ortogonali a determinate frequenze rispondenti ai rapporti fondamentali descritti da Pitagora sul monocordo, espressivi di unisono, ottava, quinta e quarta.

Di nuovo, Bach emula i due artisti rinascimentali nel suo stemma, in cui il concetto della dualità degli opposti è rafforzato dal fatto che le sue iniziali sono inserite specularmente all'interno delle figure componenti lo stemma stesso.

La dualità espressa nello stemma di Bach mi dà modo di introdurre in maniera molto sintetica un ulteriore contributo alla materia trattata, che ci permette tra le altre cose di risolvere un enigma che in diversi si sono posti nel tempo, senza mai trovare una soluzione adeguata.

Keplero, parlando di Harmonia Mundi e rifacendosi ai rapporti armonici fondamentali codificati da Pitagora e riassunti nel Tetraktis (rispettivamente 1:1 Unisono, 1:2 Ottava, 2:3 Quinta, 3:4 Quarta) giustifica la costruzione aritmetica della cosiddetta Croce di Malta.

Da tempo vado dicendo che la soluzione del SATOR, il quadrato magico presente un po’ ovunque dall'antichità, è costruita sulle cinque parole IN DISPOSIZIONE PALINDROMA che lo compongono: OPERA - ROTAS - TENET - SATOR - AREPO, secondo le dinmiche fin qui analizzate nella mia trattazione su Leonardo, Raffaello e la musica.

Sovrapponendo la Croce di Malta al Sator, otteniamo la parola AEON, l'androgino raffigurato nel mosaico romano di Sassoferrato di cui sopra, iscritto nel firmamento disposto a forma di Nastro di Möbius.

"L'Opera è la prima cosa che nasce dall'Unione", scriveva Leonardo nel testo di Movesi l'amante. L'OPERA è Aion, l'androgino, l'essere duale, in cui l'energia maschile e quella femminile si compenetrano in perfetta armonia ed equilibrio: il Rebis, l'Eone, il TAO.

In altre parole ... la Gioconda.

ROTAS sono le Sfere Celesti, il firmamento formato da stelle e pianeti, artefici primi dell'Armonia che sottende all'ordine Universale descritto da Eraclito:

Ciò che è opposizione è accordo, e dalle cose discordi sgorga bellissima Armonia. E tutte le cose nascono per legge di contesa.

TENET è appunto la Legge di Contesa descritta da Eraclito. In definitiva, quindi, il Quadrato del Sator e la Gioconda (ma lo stesso San Sebastiano di Raffaello) sono la medesima rappresentazione di ciò che è il prodotto della Legge Universale, ovvero "quest'Armonia formata da ineguali intervalli calcolati secondo proporzioni perfette" come la descrive Cicerone.

Tornando al tema principale di questo articolo, è nel corpetto di San Sebastiano che l'arte e la conoscenza di Leonardo si compenetrano perfettamente con quelle di Raffaello.

Ad uno sguardo più attento, infatti, due sono le cose che non possono passare inosservate nel dipinto: una tastiera e un volo stilizzato di uccelli.

Gli uccelli richiamano quell'ordine armonico vibrazionale di cui l'Universo si compone, che la musica, in quanto figurazione delle cose invisibili, racconta, mentre la tastiera accoglie quel primo vagito da cui tutto deriva, il Palpito dell'Universo intero, per dirla con Verdi, espresso dalla mano armonica della Vergine delle Rocce.

Questo è il vero messaggio che artisti del Rinascimento del calibro assoluto come Leonardo e Raffaello hanno inteso tramandarci, ripetendo conoscenze antiche che l'uomo da sempre e in forma trasversale a qualsiasi società e cultura ha seguito.

Lo hanno fatto nascondendolo nelle loro opere, sfidando la censura Papale e le accuse di eresia, affinché non andasse perduto e potesse permetterci di mantenere viva quella conoscenza assoluta, incondizionata, senza la quale non è possibile elevare il nostro spirito.

Il 2020 è l'anno che costituisce una sorta di passaggio di testimone tra questi due straordinari artisti, in quanto chiude le celebrazioni per la morte di Leonardo e apre a quelle di Raffaello.

Per celebrarli entrambi, nel modo più alto e profondo, ho inteso dunque dedicare loro questo mio articolo per fare luce su un aspetto che gli storici dell'arte omettono di raccontare, ma che è essenziale conoscere per comprendere i loro insegnamenti.

Forse, seguendoli, oggi vivremmo in un mondo migliore.

Anche per alimentare questa speranza è importante sottolineare nei giovani, ma anche nei meno giovani, il valore assoluto della conoscenza e della cultura, due elementi oggi troppo spesso trascurati nella moderna società.

E se qualcuno volesse respingere al mittente tutto ciò dandomi del pazzo, ricorderò a costoro quanto disse Baudelaire:

Ti prenderà per pazzo chi, non udendo alcuna musica, ti vedrà danzare.