Tra le discipline umanistiche in questo paese la Storia dell'arte è tra quelle più mortificate… È troppo radicata nelle coscienze, infatti, l'idea in base a cui l'arte è un lusso o, se non è un lusso, non è indispensabile, non è una cosa così seria come l'economia, la medicina, la politica. Tutti naturalmente giureranno il contrario se interpellati più o meno formalmente, ma non ci credono.

Le parole sono di Claudio Strinati, una vita dedicata all’arte. Dopo la laurea con il grande Cesare Brandi, ha avuto una lunga carriera come funzionario e poi dirigente generale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Tra il 2001 e il 2009, quand’era Soprintendente speciale per il Polo museale romano, ha promosso la riapertura di spazi espositivi storici, come la Galleria Borghese e Palazzo Barberini. Ha organizzato mostre in Italia e all’estero e scritto numerosi saggi. Ora è in pensione ma la sua passione per la storia dell’arte, o meglio delle arti, lo spinge a portare avanti la sua attività di divulgazione, anche attraverso un canale tematico che ha fondato nel 2015, Dialogues, dove sono a disposizione oltre centotrenta video dedicati ad approfondimenti critici.

Prof. Strinati, lei ha scritto che l’esercizio della cultura può renderci più solidi, e non solo in termini economici. Nelle epoche passate gli uomini di potere, che fossero papi o imperatori, affidavano agli artisti il compito di magnificare la propria immagine agli occhi del mondo. E questo, benché dettato da motivi utilitaristici, ha permesso a noi di ereditare un patrimonio artistico straordinario in termini di quantità e qualità. Esiste ancora, oggi, la propaganda politica fondata sull’arte?

Indubbiamente i tempi sono molto cambiati. Oggi i veicoli di comunicazione si sono moltiplicati in maniera enorme: sono nati la radio, il cinema, la televisione… e, venendo ai nostri giorni, Internet e i social network. D’altro canto, la committenza intesa nella maniera originaria e identificabile con le figure dei monarchi o dei papi è venuta meno da quando queste strutture centralizzate hanno perso la loro leadership, sostituite prima dall’aristocrazia, poi dalla borghesia, poi dal popolo… E sono nate nuove forme artistiche e nuovi mecenati. Oggi esistono i produttori, coloro che finanziano opere perché rendano anche in termini economici. Sono loro che sovente diffondono arte. Pensi solo a quanti film di mirabile bellezza sono stati prodotti da cento anni a questa parte.

Ha ragione ma intanto le città cadono a pezzi, alcuni monumenti si sgretolano sotto i nostri occhi. Cosa ne è della tutela e della promozione dei beni artistici?

Ma lo Stato si è dato questo obiettivo, tanto è vero che ha creato un ministero apposito e dei funzionari che in quel ministero esercitano la loro attività, come ho fatto io per tanti anni e come ora fanno altri. Promuovere e sostenere, proteggere e rendere fruibile, questo si è fatto e si fa. Certo si può eccepire che si potrebbe fare meglio. Quello certamente!

A proposito di forme d’arte di diversa natura, lei è anche un musicologo e ha insegnato in Conservatorio. Cosa pensa in merito alla necessità di potenziare, nelle scuole, non solo le ore di lezione dedicate alla storia delle arti visive ma anche quelle da dedicare alla storia della musica? Non le sembra una questione di cui si parla veramente poco?

Da giovanissimo avevo pensato di dedicare le mie energie alla musica che amavo molto e, grazie alla benevolenza dei miei maestri, oramai tanto tempo fa riuscii addirittura ad avere un piccolo incarico di insegnamento che ho portato avanti per alcuni anni. Poi le circostanze della vita mi hanno orientato verso altre attività ma è rimasta questa grande passione per la musica che penso sia una fonte di grande formazione per l’essere umano. Riguardo all’insegnamento della musica, non posso non essere d’accordo. In effetti questa è una carenza cronica per la scuola italiana. Anche io mi sono sempre chiesto come sia possibile. Lo spazio dato alla teoria e alla pratica della musica, oltre che alle arti visive, è davvero scarso. Sarebbe molto bello, invece, se si potesse coltivare in modo serio queste discipline alle quali il sistema degli studi, per come è stato strutturato in Italia, dà uno spazio così marginale. Magari si potesse attrarre l’attenzione di chi può decidere in merito!

Nonostante questo cronico disinteresse per l’arte, ogni tanto pare l’attenzione dell’opinione pubblica sia calamitata da questioni molto specialistiche come, ad esempio, è successo tempo fa con il dibattito riguardo l’attribuzione del Salvator Mundi a Leonardo. Cosa ne pensa?

Io me lo spiego in questo modo: da oramai una ventina d’anni a questa parte, forse più, stiamo assistendo a un calo di interesse da parte dei collezionisti e del pubblico per l’arte antica. Opere che trent’anni fa compratori da ogni parte del mondo avrebbero fatto a gara per aggiudicarsi, oggi non trovano mercato. Ci sono però delle eccezioni, e Leonardo, insieme a Caravaggio, per fare un altro esempio, è tra queste. Sono nomi considerati mitici. Sono talmente mitizzati da sembrare isole che galleggiano su un mare vuoto. Al punto che il pubblico li percepisce come “contemporanei”.

Infatti, in un suo articolo pubblicato sul Messaggero lei sottolineava proprio la stranezza del Salvator Mundi venduto all’asta da Christie's a New York tra i lotti d’arte contemporanea, tra l’altro alla cifra record di oltre 450 milioni di dollari. Lei scrisse, allora, di un mondo dell’arte che sembra oramai mosso da un’anima finanziaria.

Quando lo venni a sapere mi sembrò un fatto impressionante, clamoroso, dato che quel quadro, tra l’altro di ancora incerta attribuzione, solo pochi anni prima aveva una quotazione enormemente inferiore.

Rimanendo su Leonardo ma venendo a fatti più recenti, cosa pensa del tentativo di Italia Nostra di bloccare il prestito dell’Uomo Vitruviano al Louvre attraverso un ricorso al Tar?

Partendo dalla premessa che apprezzo molto il lavoro di Italia Nostra che, da quando è stata fondata ad oggi, ha accumulato infiniti meriti perché si batte per la conservazione, il rispetto e la tutela dei beni culturali, io penso che nel caso in questione abbia fatto una sorta di invasione di campo non richiesta. Ha infatti chiesto che un giudice impedisca il prestito di un’opera d’arte. Io non penso che una cosa come questa sia tra le competenze della magistratura. In Italia c’è un Ministero preposto a questo. Solamente se ci fosse una violazione penale si dovrebbe ricorrere alla magistratura. Italia Nostra, invece, si è appellata per il ricorso a un articolo di legge che dice che le opere che sono altamente simboliche per il museo in cui si trovano non possono essere trasferite per non impoverire la sede di provenienza. Questo è già, a parer mio, non del tutto condivisibile ma, nel caso dell’Uomo Vitruviano è del tutto improponibile in quanto non si può sostenere che quest’opera sia indispensabile alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, perché l’opera non è nemmeno esposta.

Italia Nostra ha anche parlato di fragilità dell’opera e del pericolo di danneggiamenti durante il trasporto.

Ma ci sono degli esperti, c’è un Ministero intero che può giudicare questo. Si tratta di una competenza esclusiva che non può essere contestata da un giudice. È il direttore del museo a dover decidere su questo. Quale magistrato è più competente? E anche se fosse stata nominata una commissione da parte del magistrato, si sarebbe trattato di un’ingerenza. La certezza del diritto implica anche il fatto che se un funzionario riceve dallo Stato il compito di esercitare una competenza, deve poterla esercitare. Ma io non condanno Italia Nostra, io deploro il fatto che lo Stato italiano quando si tratta di organizzare delle celebrazioni adeguate per il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci non si è minimamente compattato su una linea comune, su un’autorevolezza comune che avrebbe poi consentito di evitare questi grotteschi giochetti. La politica culturale non si fa con i ricorsi al Tar, a mio avviso, perché questo lede la dignità delle procedure. (n.d.r. il 16 Ottobre scorso il Tar ha respinto il ricorso di Italia Nostra).

Lei ha organizzato e curato molte mostre. Ce n’è una che le piacerebbe realizzare, un’idea ancora non posta in atto?

Sì, so cosa risponderle, in realtà una c’è. Mi sarebbe molto piaciuto ma purtroppo non ci sono riuscito. Si trattava di una mostra che raccontasse in modo bello, dettagliato e scientifico la storia dell’arte a Roma negli anni in cui è vissuto Caravaggio, così come io credo di essere riuscito a ricostruirla. In apparenza una cosa banalissima ma in realtà è un capitolo di storia dell’arte meraviglioso che però poi viene per lo più poco e mal ricostruito perché viene mitizzata la figura di Caravaggio e molto mal compreso tutto l’ambiente di quei tempi. Si tratta in effetti della storia di pochi anni, quelli che vanno dalla fine del Cinquecento al 1606 quando Caravaggio fuggì da Roma. Eppure, una mostra sulla storia delle opere di quegli anni era un mio grande desiderio.

So che può risultare difficile sintetizzare, ma cosa è successo in quegli anni che non è stato adeguatamente portato alla luce?

Diciamo che si tratta del transito delle persone e delle idee in una Roma che stava evolvendo in modo sorprendente da un centro quasi esclusivamente religioso a un centro invece di modernità, di rinnovamento culturale, anche di laicismo. Intendiamoci, non sono certo il primo a dirlo, però il racconto capillare di come questo è avvenuto, di quali sono stati veramente i personaggi che hanno vivacizzato questo ambiente, le opere d’arte principali, questo non viene mai raccontato bene e io mi ero illuso di poterlo fare. La genesi quasi contemporanea della scienza moderna e dell’arte moderna, secondo me, è avvenuta in quegli ambienti e in quegli anni ma questo non è mai stato raccontato in modo approfondito.

E, a proposito di mostre, cosa ne pensa delle mostre immersive degli ultimi anni e dell’utilizzo delle nuove tecnologie?

Io penso tutto sommato sia una cosa normale per i nostri tempi. Le tecnologie sono il mezzo che l’essere umano ha per progredire. Poi, certo, c’è chi le usa in modo aberrante o mediocre e chi le usa bene. Così, per quanto riguarda le mostre immersive, ce ne possono essere di bellissime e di pessime. Tutto sta all’intelligenza dell’autore.

Recentemente è scomparso Harold Bloom che, con Canone Occidentale, ci ha lasciato un compendio dei testi e degli autori su cui l’Occidente ha edificato la propria letteratura. Lei modificherebbe quello della storia dell’arte? Oppure introdurrebbe qualche nome che manca o che è stato sottovalutato?

No penso di no, penso che mi atterrei, appunto, a quelli canonici, ai nomi che sono stati già consacrati. Se poi ci mettiamo in un’ottica critica in cui il concetto stesso di canone potrebbe essere messo in discussione, allora sì. Ma forse non sarebbe nemmeno giusto farlo, perché è vero, per esempio, che da Giotto è nata tutta la grande pittura del Trecento, da Piero della Francesca tutto il grande Rinascimento e così via. In effetti i canoni consolidati della tradizione storico-artistica io credo che siano giusti. Il problema più che altro è “come valutarli”. Nel senso che i canoni a un certo punto hanno finito per generare i miti feticistici. E un pensiero critico dovrebbe contrastare questo tipo di atteggiamento che è nefasto e che ha contribuito a distruggere la storia dell’arte perché se si proclama che in definitiva lungo il suo percorso ci sono solo cinque o sei nomi importanti allora si spingono le persone a chiedersi a cosa serva studiare la storia dell’arte. Ecco, è questo che va contestato!