Osart Gallery è lieta di presentare African Textures: una mostra che esplora il panorama artistico emergente dell'Africa del Sud attraverso il lavoro di Jeanne Gaigher (1990, Cape Town), Kresiah Mukwazhi (1992, Harare, Zimbabwe) e Marlene Steyn (1989, Cape Town).

Con il termine texture, la mostra fa riferimento sia alla tecnica utilizzata nelle opere esposte sia alla struttura sociale e politica del continente africano, all'interno del quale si incrociano e sovrappongono culture e contesti differenti. Il tessuto è quindi interpretato come il “ponte” che collega le origini delle tre giovani artiste alla loro identità contemporanea.

La collettiva si snoda attraverso un'accurata selezione di nove opere, che arricchiscono e innovano l'elemento pittorico con un approccio multimediale.

Le opere di Jeanne Gaigher invitano, come fossero libri, ad essere sfogliate; esse si compongono di due o più strati di tessuto e tela sovrapposti (o cuciti) sui quali vengono fissati colori acrilici, inchiostro e inserti in tessuto. Su queste superfici composite l'artista lascia che il suo “mood” prevalga su tutto compresa la scelta dei colori, infatti l'artista dichiara: «I am guided by whatever happens, by not forcing the painting to be what I want to be, of not giving in to the expectation of a painting... ».

Per esempio, tra i lavori esposti, Conditions of the day II (2019) ci offre una chiave di lettura cromatica dettata anche dal fatto che Jeanne predilige una determinata gamma di colori: tra cui il verde ruggine, il grigio e il marrone terra. Un altro elemento narrativo è dettato dai soggetti, infatti, nonostante le opere di Jeanne sembrano tendere all'astrazione, prendono in realtà spunto da esperienze personali, motivo per il quale all'interno delle opere troviamo soggetti più o meno concreti: come ad esempio paesaggi che l'artista ha avuto modo di contemplare (in Sudafrica e altrove) e di momenti di vita vissuta rigorosamente catturati e documentati semplicemente attraverso l'uso del suo smartphone.

La presenza di un numero progressivo nei titoli delle opere, come in The Way through fish Fountain I (2019) e II (2019) , fornisce un'altra indicazione importante sulla metodologia di lavoro dell'artista. Jeanne ama lavorare “ad intermittenza” su tele diverse lasciandosi ispirare dalle sue fotografie, come i bozzetti e gli acquarelli per i pittori del passato.

L'approccio di Marlene Steyn è invece decisamente più figurativo. L'artista lavora principalmente su tela, spesso libera dalla classica ossatura in legno, sulla quale dipinge con oli, acrilici, inchiostro, con l'aggiunta di plastilina e vari materiali di recupero, tra cui oggetti o pezzi di tessuto. La particolarità di questi lavori è racchiusa nel linguaggio visivo che è così simbolico da creare una terza dimensione invisibile più profonda, una dimensione più psicologica quasi onirica: «All of my work – dichiara l'artista - moves towards the same questions and themes, but I'm very interested in the process we follow to create a sense of self in this contemporary time – especially as a female». L'artista rielabora oggetti familiari per creare motivi misteriosi attraverso la ripetizione di elementi e di combinazioni imprevedibili. Tra i pattern delle opere qui esposte troviamo figure femminili (Couple Face Suit, 2013 e Stroke my palms and flush my knee, 2016) accanto a paesaggi naturali (What the forest metabolise, 2015). Marlene analizza, attraverso una lente spirituale e personale, la pluralità dell'identità umana cercando di dare un senso a quest'ultima in relazione al caos che contraddistingue lo spirito del nostro tempo.

Il lavoro di Kresiah Mukwazhi, la più giovane delle tre protagoniste, ha una lettura più sociale. Si propone di indagare, attraverso tecniche diverse, soprattutto il ruolo della figura femminile in relazione alle norme della società patriarcale. L'artista si interroga in particolare sugli appellativi sociali, come le credenze popolari e i pregiudizi, che rappresentano un ulteriore livello di interpretazione della realtà quotidiana, parlando di texture, possiamo definirlo lo strato più superficiale e meno nitido dei rapporti umani.

Al centro dell'indagine vi sono temi molto delicati connessi alla condizione femminile sul territorio africano, quali: la violenza di genere e l'aggressione sessuale. Il punto di vista critico di Kresiah si è formato anche grazie all'esperienza che l'artista ha svolto presso un night club; luogo che ha ispirato i colori, i motivi e i materiali eccentrici che ritroviamo spesso nei suoi lavori come ad esempio l'utilizzo di un viola intenso (Send Me your nudes, 2018), delle stampe camouflage con motivi a macchia di leopardo, gli stralci di pizzo, i lustrini scintillanti, etc., elementi che nell'iconografia popolare vengono di solito associati alla prostituzione e alla pornografia.

Tra le opere esposte, Mubobobo Shuwa Here (2019) fa riferimento ad un rito di magia nera - chiamato appunto Mubobobo – molto diffuso a Mavingo, villaggio natale di Kresiah, e in generale accettato in tutto lo stato dello Zimbabwe, per il quale si crede che un uomo possa avere un rapporto sessuale a distanza con una donna senza il suo consenso; il rito prevede, inoltre, che l'uomo si impadronisca simbolicamente di un indumento intimo appartenente alla vittima. Ed è proprio l'indumento intimo ad assumere un ruolo principale in opere come Kusexira to seduce (2018) e Maboss Lady Acho Awanda (2018). Attraverso l'utilizzo di spalline, pizzo e seta, elementi appartenenti alla lingerie femminile, Kresiah non solo focalizza nuovamente l'attenzione sulla fragilità della condizione femminile in Zimbabwe ma promuove un dibattito attivo basato sulla resistenza provocatoria in opposizione al patriarcato: «The issue of powerful man who have been accused and exposed to sexual assault coincides with my work in a way that I feel is significant».