È di questi giorni la notizia secondo la quale la firma di Leonardo in calce al contratto per la Vergine delle Rocce è in restauro digitale presso l'Opificio per le pietre dure di Firenze. Un terzo del contratto, infatti, risulta oggi illeggibile e solo con la lampada di Wood agli ultravioletti si può superare il degrado in cui versa il foglio.

Il restauro renderà il contratto visibile a occhio nudo nella sua interezza, ma a cosa serve saper leggere il contratto a occhio nudo se nessuno poi sa leggere l'opera nei suoi contenuti sostanziali?

Diceva Leonardo:

Nessuna cosa si può amare, né odiare, senza piena cognition di quella.

Interpretare la sua opera confinandola al solo paradigma della cristianità è il più grande errore che si possa commettere, vanificando l'immenso patrimonio artistico e culturale che questo straordinario personaggio ci ha inteso trasmettere.

Vediamo quindi cosa si cela dietro questo straordinario dipinto.

Leonardo firma il contratto per la Vergine delle Rocce il 25 aprile 1483, insieme ai fratelli de Predis. Quella apposta in calce a questo contratto risulta essere l'unica firma autografa esistente di Leonardo, così come l'unica versione del dipinto realmente a lui riconducibile è quella esposta oggi al Louvre, mentre quella esposta alla National Gallery di Londra è probabilmente una delle tante copie per mano di allievi o emuli del Maestro fiorentino, in cui appaiono particolari che non appartengono allo stile leonardiano (le aureole) e scompare inspiegabilmente il dito con cui l'angelo parrebbe indicare san Giovanni Battista, cinto dal braccio inusuale con cui Leonardo ritrae la Vergine.

Il contratto ingenererà un contenzioso, in quanto Leonardo non rispetterà le volontà del committente, Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione (una confraternita laica maschile), ritraendo invece l'incontro tra Gesù e Giovanni Battista.

Come sempre, anche su questo dipinto si è scritto e detto di tutto, peccando del solito errore di fondo, cioè dimenticare l'estrazione neoplatonica della formazione culturale del giovane Leonardo, e ascrivere di conseguenza il dipinto nel solco della cristianità.

Il primo errore in cui cadono tutti quanti è legato al contesto ambientale in cui Leonardo ambienta la scena: una grotta, questo è certo, ma non di fantasia, come qualcuno racconta, bensì un luogo ben preciso, ai piedi del Monte San Martino, la montagna che fa da sfondo sia all'Annunciazione e sia alla Gioconda.

Parliamo della grotta di San Giovanni Battista a Laorca sopra Lecco, e in cui l'artista sostituisce il naturale paesaggio che si offre al visitatore (la conca di Lecco col il ramo orientale del Lario) con i pinnacoli che popolano la soprastante Val Calolden, una valle che congiunge la grotta stessa con il Nibbio, una formazione rocciosa in località Pian dei Resinelli, sita in linea retta poco sopra.

La grotta è posta in prossimità di un sito probabilmente di epoca celtica, votato alla Dea Madre Tanit, in cui ancora oggi è presente un sedile della fertilità scavato nella roccia, che viene letteralmente illuminato dal sole nascente in fronte a sé, nel chiaro rimando dell'atto fecondativo di stampo pagano.

Sopra al suddetto sedile è ancora perfettamente visibile un'iscrizione con il simbolo della Dea Madre Tanit, è quindi in dubbio il fatto se l'angelo stia indicando Giovanni Battista, in un chiaro rimando geografico al luogo in cui Leonardo ambienta la scena, oppure al ventre della Vergine, richiamando l'atto fecondativo appena descritto. Il ventre è però sgonfio, quindi ciò che Leonardo narra è la rinascita del frutto divino, cioè Gesù.

Infatti la grotta, a differenza del sedile di cui sopra, è esposta al sole nascente durante il solstizio invernale, completando quel percorso simbolico per cui Giovanni Battista e Gesù sono i due momenti nel ciclo solare legati ai due solstizi.

È chiaro come Leonardo, con una scelta iconografica totalmente innovativa, stia narrando il ciclo vitale legato alla Madre Terra e al Sole, che la ingravida energeticamente. A rafforzare questa lettura, ci sono altri due elementi che nessuno ha mai considerato.

Il primo elemento riguarda l'interpretazione che Sigmund Freud dà di un ricordo infantile di Leonardo:

…questo scriver si distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia e mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca con la sua cosa e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra.

Tutti tendono a ricordare la prima parte dell'analisi iperbolica che ne fece Freud, ovvero il rimando della coda del nibbio in bocca a un atto sessuale orale, marcatamente passivo, causa dell'atteggiamento promiscuo dell'artista, che ha determinato precipitose accuse di omosessualità in capo a Leonardo stesso, attratto dalla fisicità dei suoi modelli e allievi.

Nessuno però ricorda che Freud offre a questo ricordo, vergato da Leonardo in uno dei codici conservato all'Institute de France di Parigi, una seconda interpretazione: il nibbio trova una analogia nell'uccello-avvoltoio dell'Enneade Egizia, e quindi secondo lo psicologo Leonardo vuole richiamare la Dea Madre Nut, rappresentata appunto come un avvoltoio dalle piume multicolore.

La coda del nibbio, nel ricordo di Leonardo ma anche nelle fattezze oggettive, richiamerebbe allora lo strumento usato dagli antichi Egizi durante il rituale dell'apertura della bocca, attraverso il quale far rinascere a nuova vita lo spirito vitale, quello che Virgilio definiva col motto Spiritus intus alit.

Ecco allora che assume un senso compiuto il cambio iconografico assunto da Leonardo, disattendente la committenza sottoscritta con Bartolomeo Scorione, con la scena che oggi noi conosciamo.

I quattro personaggi ritratti, infatti, che descrivono il ciclo fecondativo e la conseguente nascita in energia vitale che si rinnova ogni anno dell'Immacolata Concezione (l'angelo annunciante, la Dea Madre, e i due momenti di fecondazione e rinascita, rappresentati rispettivamente da Giovanni Battista e Gesù, corrispondenti nel ciclo solare ai due solstizi), sono iscritti nella sagoma dello sperone di roccia detto Nibbio, soprastante la grotta di San Giovanni Battista a Laorca in cui Leonardo ambienta la scena.

Non a caso Bartolomeo Scorione era priore della Confraternita Milanese dell'Immacolata Concezione, e Leonardo volle dare la sua visione della rinascita, mutuata dalle culture pagane antecedenti alla cristianità. Una visione che al priore non andò molto a genio, parrebbe, vista la contestazione che ne è conseguita.

La Vergine delle Rocce, dunque, nella visione di Leonardo, è la rappresentazione della Dea Madre, e la scelta iconografica descrive il processo fecondativo e la rinascita conseguente all'Immacolata Concezione in spirito propria delle culture pagane.

C'è un ulteriore elemento rafforzativo.

Leonardo si occupa di mettere in scena l'Orfeo di Poliziano, studiandone e costruendone la scenografia. Questa era costituita da una montagna che aprendosi rivelava una grotta, una sorta di grembo da cui Orfeo rinasceva a nuova vita. Ebbene, la montagna e la grotta che Leonardo disegna per questa scenografia sono esattamente il Monte San Martino e la grotta di San Giovanni Battista a Laorca, in cui Leonardo ambienta la scena.

Implicitamente, dunque, Leonardo associa alla stessa dinamica di rinascita a nuova vita che questo sito richiama l'Orfismo, una sorta di culto di mezzo tra quelli dell'Antico Egitto e il Neoclassicismo Greco che vedeva Platone e Pitagora (che ispirarono fortemente Leonardo) tra i suoi più eminenti rappresentanti.

Perché vi dico ciò?

Perché tra le possibili indicazioni dettate dal dito dell'angelo ritratto da Leonardo, v'è il ventre della Vergine, il cui drappeggio ricorda una sorta di uovo sgonfiato, testimonianza di un parto avvenuto, rimando a quell'Orfismo che la scenografia dell'Orfeo di Poliziano vuole evocare.

La conoscenza non può essere vissuta come un fatto di convenienza. Semmai come una opportunità.

Ma perché sia vissuta come tale, deve essere approcciata senza alcun tipo di condizionamento sociale, culturale, emotivo e intellettuale.

Altrimenti diventa un'altra cosa.